di Giampiero Rasimelli
La lunga stagione delle Circoscrizioni ha rappresentato nella vita partecipativa e amministrativa di Perugia una vera e indimenticata innovazione, sia nella macchina comunale, sia nella dinamica concreta di relazione nei quartieri e tra i quartieri, come nella relazione tra questi e la governance cittadina. È stato un passaggio di grande importanza nella storia recente di Perugia, fino a rappresentare un tratto identitario della vita cittadina, sul solco dell’insegnamento e della sfida di Aldo Capitini per “Il Governo di Tutti” e nel vivo delle dinamiche di cittadinanza, delle legittime aspettative di una migliore qualità della vita nei nostri territori, di miglioramento dell’efficienza amministrativa e di miglioramento della risposta della macchina pubblica alle esigenze dei cittadini, alle scelte delle comunità, alle emergenze nei quartieri.
Insomma, qualcosa di indimenticato che però è stato dimenticato, esattamente nel 2000 in conseguenza del Dl 267 che praticamente ha chiuso l’esperienza delle Circoscrizioni con la motivazione della semplificazione e riduzione dei costi della politica e della vita istituzionale. A poco, per lo meno a Perugia, è servita la modifica del 2010 apportata dalla legge 42 del 23 marzo, perché la sperimentazione di nuove forme di decentramento amministrativo in realtà non è mai decollata e mai più si è riaperto un dibattito vero e concreto sul se e come rilanciare in forme del tutto nuove quella straordinaria esperienza di innovazione amministrativa e di partecipazione.
Si è tagliato sul decentramento amministrativo e sulla partecipazione come si è tagliato sulla sanità pubblica, sulle politiche sociali e in pratica, anche sulla scuola. Si è tagliato in omaggio al perseguimento della riduzione dei costi della politica e del welfare, senza valutare la riduzione di efficienza, di radicamento democratico dell’azione amministrativa e i costi sociali che questa semplificazione forzata avrebbe comportato. Oggi il disastro prodotto da quelle scelte è sotto gli occhi di tutti, ma ancora pare che non si sia imparato abbastanza dalle lezioni di questi anni tormentati!!
Guardando Perugia è facile rilevare come la chiusura dell’esperienza delle Circoscrizioni abbia accompagnato un progressivo addormentamento della vita cittadina, se non un degrado di questa in alcune aree. Non è certo una chiave esclusiva di analisi sulle cause della stasi e dell’arretramento palpabili nella nostra città, che sono molto più profonde, ma ne è un esempio incontestabile, che comunica direttamente alla cittadinanza questo senso di abulia, di passo indietro della vita perugina e dell’amministrazione della città.
La prossima Amministrazione Comunale dovrà decidere se intervenire o no in questo campo, non con dei palliativi o peggio con vuote promesse, ma con scelte strutturali di investimento finanziario e procedurale che modifichino la vita cittadina, la macchina comunale e la relazione con la cittadinanza.
Certo, le Circoscrizioni non erano esenti da critiche e difetti e oggi non sarebbe comunque possibile agire come in passato sulla finanza comunale e sulle norme che regolano la vita amministrativa, quindi ogni illusione di un possibile ritorno all’indietro sarebbe errata e impraticabile. Ma l’urgenza di compiere scelte coraggiose e innovative che riaprano il cantiere della partecipazione e del decentramento amministrativo è altrettanto indiscutibile e addirittura pressante se si vuole riallacciare e ricostruire un rapporto fecondo tra cittadinanza, Istituzioni e visione di futuro per la città.
C’è bisogno di uno scatto di idee e penso che il dibattito intorno a queste debba essere un punto importante della discussione sul futuro di Perugia. Idee nettamente innovative, ad esempio : riprendere la discussione sulle forme di autogoverno nella città partendo non soltanto dalla redistribuzione di quote di potere amministrativo, cosa fondamentale che va certamente rielaborata e riproposta, ma soprattutto dalla individuazione delle nuove forme e dei soggetti dell’autogoverno nei quartieri e di come la macchina comunale debba accompagnare le reti dell’autogoverno in città.
Una nuova stagione della partecipazione e dell’amministrazione partecipata dovrà infatti dare luogo a nuovi modelli più aderenti al contesto attuale, individuando uno spazio di innovazione effettivamente credibile e praticabile oggi per le condizioni della macchina pubblica e per le caratteristiche dello spazio sociale che andrà ad incontrare nella vita concreta dei quartieri. Oggi viviamo in un contesto di finanza pubblica e locale in particolare, che è di ristrettezza relativa rispetto al passato e che difficilmente incontrerà, per vari motivi, un miglioramento strutturale. Viviamo nella stagione di una pervasiva esternalizzazione dei servizi pubblici, in particolare quelli sociali e culturali. Viviamo una crescita di ruolo e di funzioni del terzo settore e delle reti associative che oggi assolvono a compiti insostituibili nella vita cittadina e per una parte importante a compiti che un tempo erano a carico della macchina pubblica. Siamo in presenza di diverse emergenze sociali, tutte preoccupanti. Innanzitutto la mancanza di lavoro che crea un profondo disagio sociale, soprattutto tra i giovani. Siamo chiamati inoltre a fronteggiare una epocale emergenza climatica e ambientale, siamo in via d’uscita da una disastrosa crisi pandemica che ha messo in evidenza la debolezza della organizzazione sanitaria attuale proprio in relazione ai territori, alla prevenzione e alla medicina territoriale. Siamo in un contesto sociale caratterizzato da un aumento sempre più marcato delle diseguaglianze sociali quasi ad ogni livello e siamo, infine, entrati nel vivo dell’era digitale che ridisegna le relazioni sociali, ogni procedura amministrativa e la vita di ogni cittadino. Quindi non può bastare un progetto Circoscrizioni 2.0 per rilanciare una stagione della partecipazione e di una efficiente amministrazione partecipata.
Per questo è urgente fissare alcuni principi di una proposta praticabile e innovativa
1. Innanzitutto c’è bisogno di porre al centro del progetto un nuovo rapporto tra amministrazione comunale, reti associative della cittadinanza e vita dei quartieri. In assenza dei vecchi modelli di decentramento amministrativo, le reti associative e il terzo settore rappresentano direttamente e in modo importante lo sforzo e le capacità di rappresentanza e autogoverno dei quartieri. Questa realtà deve e può diventare un modello che va strutturato e regolato per quanto possibile.
2. Il Comune deve legittimare e accompagnare questo modello, definendone e sostenendone le infrastrutture e definendo anche le funzioni minime, ma indispensabili, che la macchina comunale deve mettere direttamente a disposizione di una nuova fase del decentramento amministrativo. In primo luogo vanno individuati quanti e quali presidi, che chiameremo Case della Comunità, verranno messi sul territorio a disposizione dell’incontro tra reti associative e cittadinanza e tra queste e l’Amministrazione Comunale. In secondo luogo il Comune dovrà decidere quali e quante funzioni amministrative dovranno avere una presenza diretta in questi presidi. Il risultato dovrà essere che queste Case della Comunità potranno diventare il catalizzatore e il motore della vita dei quartieri raccogliendo e organizzando su base volontaria sul proprio territorio lo sforzo di partecipazione delle reti associative e dei cittadini. Ma dovranno essere anche le sedi nelle quali sia possibile per ogni cittadino rivolgersi direttamente all’amministrazione comunale per emergenze o per un certo numero, di funzioni amministrative, riducendo la distanza insopportabile che si è creata in questi anni.
3. Le case della Comunità saranno la sede nella quale si raduneranno almeno tre volte l’anno le Assemblee della Cittadinanza, aperte a tutti e coordinate a rotazione da un gruppo di associazioni elette dalla Assemblea stessa. Queste assemblee definiranno le priorità delle esigenze del quartiere o della zona di competenza da sottoporre alla Amministrazione Comunale e i progetti che le associazioni e i gruppi di lavoro cui le Assemblee daranno vita saranno riusciti ad elaborare col consenso della cittadinanza. Il tutto secondo una procedura formale definita in un regolamento comunale. Il Consiglio Comunale deciderà il numero, l’articolazione geografica e quindi i territori di competenza delle Case della Comunità.
4. Il Sindaco dovrà istituire un Assessorato alla Partecipazione e al Coordinamento del Programma e impegnarsi a portare in approvazione al Consiglio Comunale ogni anno una relazione sul “Bilancio della Partecipazione” che dia conto costantemente e concretamente dei processi partecipativi messi in atto e degli esiti ottenuti. Questo atto sarà reso pubblico in una Assemblea Generale della Cittadinanza da tenere ogni anno. Il Comune inoltre dovrà definire e attivare le Commissioni ordinarie e speciali del Consiglio Comunale che sino ad oggi solo in parte sono state definite e ancor meno attivate e che invece dovranno essere Insieme all’Assessorato alla Partecipazione e al Coordinamento del Programma il filtro dei processi partecipativi, dei progetti che questi matureranno, dei dati che emergeranno dalle Assemblee. Queste Commissioni dovranno avere anche funzioni di stimolo e di indirizzo verso le singole zone o verso tutto il processo partecipativo in ogni campo di attività. Così il Consiglio Comunale ritroverà anche una sua centralità nella governance cittadina, una centralità che invece è andata indebolendosi in questi anni e che potrà tornare ad essere un elemento importante di raccordo tra azione comunale e azione dei cittadini. Il sommarsi della delega al Coordinamento del Programma a quella sulla Partecipazione, garantirà all’Assessorato di portare nella Giunta Comunale e all’attenzione del Sindaco sia la selezione delle esigenze e dei progetti proposti dalle zone e dai quartieri della città, sia la realizzazione operativa da parte dell’Amministrazione Comunale delle scelte conseguenti nell’ambito del bilancio.
5. Le Case della Comunità potranno essere inoltre, col protagonismo delle reti associative, il motore della vita sociale e culturale dei quartieri e delle zone della città, svolgendo quel ruolo insostituibile di aggregazione e promozione sociale e culturale dei territori che è la chiave del miglioramento delle condizioni di vita delle città e della nostra città. Un contributo collettivo alla riduzione delle diseguaglianze, alla sollecitazione del protagonismo dei giovani, alla promozione della vita attiva degli anziani e dell’ identità femminile in ogni campo della vita sociale. Insomma, con contenuti e forme nuove, in un contesto completamente diverso, si potrà ricreare quella spinta collettiva che in passato ha prodotto risultati di grandissimo successo e impatto sociale come la creazione dei Centri di vita Associativa in ogni quartiere, Il Teatro in Piazza o, su un altro versante, l’apertura dei manicomi e il suo esito nella vita cittadina.
Da tutto questo potrà nascere nuova compattezza ed energia nella Città, nuova economia e nuovo lavoro, nuova propensione al servizio volontario per la città, nuova creatività. E tutto questo potrà portare conseguenze positive per il disegno della città, per la percezione del futuro di Perugia, città universitaria e capoluogo di regione, per la sua proiezione nazionale e internazionale: una città viva e coesa è infatti un valore anche per l’economia e il turismo. Insomma, un altro destino rispetto a quello cui sembrano averla consegnata il non governo e le scelte errate delle amministrazioni di centro destra. Sì, la partecipazione non è un lusso, è un valore vivo per potenziare la ricchezza di Perugia e la sua visione di crescita e di futuro.
Per ora queste sono solo idee di progetto, un contributo alla discussione sui problemi di fronte a cui Perugia si trova. Ma è urgente e da più parti richiesto, che questa materia si trasformi rapidamente in uno degli elementi importanti di confronto sul futuro di Perugia, un confronto culturale e politico che definirà le scelte della città per gli anni a venire.