di Tommy Simmons
Già all’inizio di febbraio un rapporto della FAO ha sottolineato come globalmente il prezzo delle derrate alimentari aveva raggiunto livelli superiori a quelli del 2011. Gli sconquassi anche logistici della pandemia di Covid 19 hanno continuato a mantenere alti i costi della distribuzione mentre fenomeni climatici estremi in importanti paesi produttori come Argentina, Brasile, Russia, Ucraina e Stati Uniti hanno peggiorato la situazione. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, tra il mese di aprile del 2020 e il dicembre del 2021, il prezzo della soia è aumentato del 52%, quello del mais e del grano dell’80%. Secondo alcuni analisti, in parte il fenomeno è stato causato dal fatto che nel corso degli ultimi mesi la Cina abbia fatto una “sospetta” incetta di granaglie accumulando, pare, il 69% delle riserve mondiali di mais, il 60% di quelle di riso e il 51% di grano. Inizialmente si ipotizzava che questi acquisti servissero a sostenere la ricostruzione del suo settore della carne suina, sconvolto dall’epidemia di Peste Suina Africana, ma il coincidere con la crisi ucraina porta alcuni osservatori a ritenere che il paese si stesse preparando agli attuali sviluppi, cosa che solleverebbe un ulteriore risvolto inquietante per questo conflitto allargato dalle mille interconnessioni.
Mentre nei paesi più abbienti come gli Stati Uniti le famiglie spendono meno del 15% del proprio reddito per nutrirsi, nei paesi più poveri del mondo – in particolare in America Latina e in Africa – tra il 50% e il 60% del reddito familiare viene necessariamente dedicato a questa voce essenziale e ogni rincaro ha un impatto sociale marcato e diffuso. In Africa a causa dei prezzi, del clima, dei conflitti, all’inizio dell’anno si stimava che 106 milioni di persone fossero a “rischio alimentare” – il doppio rispetto al 2018. A livello globale il numero di persone a rischio di fame è passato dagli 80 milioni nel 2018 a 276 milioni all’inizio del 2022. Il conflitto ucraino ha acuito ulteriormente ed esponenzialmente l’allarme globale per la produzione e distribuzione alimentare. Come ha detto David Beasley, il responsabile del Programma Alimentare Mondiale, “appena pensi che l’inferno in terra non può peggiorare, lo fa”.
La Russia e l’Ucraina vengono considerati il granaio dell’Europa e normalmente esportano un quarto della produzione mondiale di grano e la metà dei prodotti derivati dal mais. Alcuni paesi, come il Libano, lo Yemen, la Siria e la Tunisia – dipendono dall’Ucraina fino al 50% del proprio fabbisogno di granaglie. Ma il conflitto in atto ha naturalmente messo in subbuglio anche il settore agricolo ucraino, interrompendo quasi ovunque i cicli produttivi. Come ha dichiarato alla BBC Ivanna Dorichenko, esperta di arbitrato commerciale internazionale, “gli uomini che dovrebbero coltivare la terra ora stanno difendendo la nostra terra” e l’intera stagione rischia di andar persa. Inoltre, dato che l’esercito ucraino ha sospeso ogni attività marittima commerciale ei suoi porti, “i mercantili non possono essere caricati e non posso lasciare le nostre acque… Purtroppo in questo momento nulla può lasciare l’Ucraina”. Mentre le ostilità armate sono geograficamente circoscritte la loro onda lunga influirà pesantemente sui mercati, sull’alimentazione e la stabilità sociale a livello globale.
In aggiunta, secondo Svein Tore Holsether, amministratore delegato della Yara International, una delle più grandi aziende mondiale nel settore della produzione di fertilizzanti, dato che la Russia
produce quantità colossali di nutrienti agricoli come il potassio e il fosfato, l’attuale regime di sanzioni rischia anche di ridurre la capacità globale di concimare i terreni, così come la necessità di usare enormi quantità di gas naturale per produrre ammoniaca, essenziale per la realizzazione di fertilizzanti azotati, rischia di portare ad un loro pesante rincaro. “La metà della popolazione mondiale ottiene il cibo grazie ai fertilizzanti; se questi vengono eliminati la resa di alcuni raccolti diminuirà del 50%… Secondo me è indubbio che ci stiamo addentrando in una crisi alimentare globale; l’unica incognita è la sua entità”, ha dichiarato Holsether. Per far fronte a queste complesse questioni, l’11 febbraio la Germania ospiterà un incontro virtuale dei ministri dell’agricoltura dei paesi del G7.
L’impatto umanitario della crisi provocata dalla Russia va però bel oltre i confini dell’Ucraina e del settore agricolo. La piena attenzione che viene giustamente data all’inattesa violenza che è tornata ad affliggere parte dell’Europa e le risorse economiche, assistenziali e mediatiche che vi vengono investite rischiano di far trascurare e di aggravare numerose crisi preesistenti che riguardano altri milioni di persone. Oltre all’epidemia di Covid 19, che non possiamo assolutamente considerare conclusa (nella sola Italia continuano a morire oltre 1.000 persone settimanalmente), e i variegati effetti dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici, l’osservatorio di Ginevra del New Humanitarian (thenewhumanitarian.org) ne elenca altre otto più localizzate:
Siccità e crisi alimentare nel Corno d’Africa mettono a rischio dai 13 ai 20 milioni di persone;
Nel Myanmar oltre 14 milioni di persone necessitano di assistenza umanitaria a causa del colpo di stato militare;
12 milioni di persone in Afghanistan sono state messe a rischio dalla crisi economica del paese consolidatasi dopo la presa del poter da parte dei Talebani;
Più di 25 milioni di Etiopi sono a rischio di crisi alimentare in una situazione dove l’accesso degli aiuti è già gravemente limitato;
L’interminabile conflitto in Yemen e le carenze di cibo e carburanti continuano a mettere a repentaglio la vita di 20 milioni di persone (i 2/3 della sua popolazione);
L’instabilità politica e gli attacchi jihadisti nel Sahel hanno messo a rischio oltre 14 milioni di persone;
Ad Haiti una serie di disastri naturali, l’instabilità politica e prepotenza di molteplici bande mettono a repentaglio la sicurezza e la stabilità di quasi 5 milioni di persone.
Decine di migliaia di persone continuano a rischiare la vita per attraversare il Mediterraneo nel tentativo di raggiungere l’Europa.
Inoltre, l’International Crisis Group (crisisgroup.org), che ha l’obiettivo di mantenere la pace e prevenire conflitti, nel suo ultimo aggiornamento settimanale, oltre alla situazione in Ucraina mantiene l’attenzione su diversi temi e punti caldi nel mondo:
I negoziati riguardanti l’accordo sul nucleare in Iran avrebbero raggiunto un punto decisivo;
Le divisioni politiche (e amministrative e militari) in Libia si sono accentuate;
La violenza politica in Zimbabwe rischia di degenerare ulteriormente alla fine del mese in occasione delle elezioni;
Sono emersi piani per destabilizzare il Ciad;
Colpi d’arma da fuoco sono stati esplosi presso sedi governative in Guinea Bissau Le pulsioni separatiste serbe (sostenute dalla Russia) in Bosnia Erzegovina
continuano a minacciare la stabilità del paese;
Il completamento della Grand Renaissance Dam in Etiopia rischia di riacuire le
tensioni con il Sudan e l’Egitto.
Il conflitto in Ucraina necessariamente continuerà a far emergere nuove criticità globali e sarà necessario un enorme sforzo collettivo se si vorrà evitare un dilagarsi di emergenze.