Le elezioni hanno acceso i riflettori sulla sanità ed è materia di forte discussione fra le forze politiche la disfunzione di questi servizi in Umbria. Approfittiamo della forte attenzione verso questo tema per segnalare alcune fra le cose che non vanno. Cominciamo dalle prime quattro.
di Porzia Corradi
1)Nel 2022 la sanità pubblica umbra ha pagato più di 11 milioni alle altre Regioni per assistere un numero crescente – ormai un fiume ininterrotto – di malati che devono andarsi a curare altrove perché localmente non possono. Un identico andamento c’è per le prestazioni specialistiche con forti fuoriuscite di danaro. Una fuga che non depone a favore del buon funzionamento del servizio. Questa costosa mobilità verso l’esterno è un fenomeno degli anni recenti, mentre in passato il percorso era esattamente opposto: tanti pazienti venivano in Umbria per curarsi. C’era insomma quella che viene chiamata mobilità positiva, segno di una sanità in buona salute.
Ma vediamo più da vicino quali sono i numeri che hanno portato nel 2022 ad un passivo superiore agli 11milioni di euro. I dati sono forniti da Agenas, agenzia pubblica nazionale per i servizi sanitari regionali, che non ha ancora reso noti tutti quelli del 2023. La fuga dei pazienti è iniziata dal 2020 e ha fatto registrare in quell’anno una perdita di 3milioni e 200mila, che nel 2021 ha superato i 9 milioni e nel 2022 gli 11. Prima del 2018 i pazienti venivano invece a curarsi in Umbria in numero superiore a quelli in uscita. E facevano segnare una mobilità attiva che ha raggiunto nel 2017 i 9 milioni. Lo stesso trend negativo si registra per l’attività specialistica. Da allora, un calo leggero, rimanendo però in territorio positivo. E poi, l’inizio del precipizio. E’ questo il primo della raffica di dati negativi che fornisce Agenas che non è certo un organismo di parte, ma che collabora col governo nazionale, sulla sanità regionale.
2)Durante il Covid apparve chiaro che c’erano pochi posti letti nelle terapie intensive e semintensive. Si decise di metterne all’ordine del giorno un rapido aumento. L’Umbria è stata una delle Regioni fanalino di coda nel fare l’operazione. Per quanto riguarda le terapie intensive ha realizzato solo il 14 per cento dei posti utili, un po’ meglio va per le terapie semi intensive dove si arriva al 23 per cento, comunque meno un quarto del dovuto.
3)E siamo arrivati alle Case di Comunità, luoghi fisici a cui i cittadini possono accedere per trovare servizi sanitari. Si tratta di strutture territoriali in grado di far fronte ai bisogni per soddisfare i quali non c’è bisogno di ricovero in ospedale. Sono a metà strada fra il medico di base e l’ospedale e dovrebbero costituire un presidio fondamentale. Ce ne dovrebbe essere una ogni 40-50 mila abitanti. In Umbria non ce n’è ancora nessuna.
4)A causa della perdita di credibilità e di efficienza del sistema sanitario umbro molti medici non vogliono venire più a lavorare nella nostra regione. Di recente è accaduto un episodio particolarmente serio. Alberto Patriti era stato nominato primario della Chirurgia del Santa Maria della Misericordia Di Perugia, ma ha dichiarato subito al Corriere Adriatico che non ha nessuna intenzione di trasferirsi a lavorare nel capoluogo umbro. Ci sono dunque gli specialisti che se ne vanno e quelli che non vogliono venire. Una pessima situazione. Per non dire della mancanza di infermieri che sta diventando sempre più pesante.