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Questo articolo è stato scritto grazie alla collaborazione di quattro persone molto competenti e appassionate. Si tratta di Don Paolo Cherubini, parroco di Fontignano, di Gianluca Delogu, soprintendenza Archeologia, Belle Arti, Paesaggio di Perugia, di Liana Francisci, infaticabile storica locale, di Carla Mancini, restauratrice. Li ringrazio tutti e quattro. E’ un piacere incontrare persone che amano e studiano con amore il nostro patrimonio culturale. L’immagine è la riproduzione dell’affresco Adorazione dei Pastori che un tempo appariva sopra l’abside della chiesa Trecentesca di Fontignano e che ora si trova al Victoria and Albert museum di Londra.

di Gabriella Mecucci

Immagini appena percettibili, lacerti di colore, segni del progetto di affresco. Sopra l’abside di una preziosa chiesetta trecentesca affiora un Perugino mai visto. Vai a Fontignano per visitarne la tomba e scopri l’anima della sua arte.
Una facciata di pietra, un portone di legno per raggiungere il luogo dove è sepolto. Entri e sul muro di destra c’è una “Madonna in trono con Bambino”, opera del divin pittore, in buono stato di conservazione. La terminò poco prima di mettere mano alla grande opera (sette metri per tre) sulla parete di fronte all’ingresso: “L’adorazione dei pasttori”. In alto, scorgi il fantasma dell’ affresco. Profili diafani che sembrano esprimere la fatica, il respiro stanco e sempre più spento di un uomo ultrasettantenne che lavora alla sua ultima creazione. Vedi l’impegno di chi non molla per rimanere legato alla vita che lo sta per abbandonare.
E’ malato Pietro Vannucci. A partire dal 1522 la peste, che ucciderà il 30 per cento dei perugini, impazza ovunque. Lui si è ritirato a vivere a Fontignano per realizzare il dipinto commissionatogli dalla Confraternita dell’Annunziata, già nel 1521. Lavora, nonostante l’età, di buona lena quando la grande nemica lo raggiunge, lo fiacca, lo uccide. Eppure, in quel breve periodo che lo conduce alla morte, il suo spirito è ancora vivo e la volontà è ferma, tanto da indicare con precisione agli allievi, cerchiandoli di sua mano, i punti dove devono iniziare a dipingere e la prospettiva. Le “quadrettature”, i disegni emersi sotto l’affresco strappato, restituiscono la testimonianza di quanta pazienza, studio, tecnica sia fatta un’opera d’arte. Quanta fatica occorresse a Perugino per creare la bellezza.
Era il 1523 quando dipinse una delle sue opere più affascinanti. E l’affresco restò – grande e magnifico – per più di tre secoli in quel piccolo paese. Poi, mani improvvide lo strapparono dal muro e gli inflissero una ferita insanabile. La decisione fu presa da Nazareno Bonomi, vicario generale dei Paolotti di Santo Spirito, che dal 1581 erano i concessionari della Chiesetta dell’Annunziata di Fontignano. Dopo aver consultato un restauratore, molto conosciuto e stimato, Bonomi autorizzò, a metà dell’Ottocento, il distacco dell’affresco e il suo successivo trasferimento su tela. Questa venne poi acquistata dall’inglese W.B. Spencer. Il dipinto, trasferito a Londra, sostò per restauri alla National Gallery. Alla fine di questa odissea finì su una parete del “Victoria and Albert Museum”. Pur restando bellissimo, perse però una parte delle sue caratteristiche originarie. L’ultima opera di Perugino era stata dimezzata.
Ora per poterla ammirare occorre attraversare la Manica. A Fontignano ne restano però le impronte indelebili, tipo quelle che permangono quando stacchi una decalcomania. L’hanno scoperte i restauratori che lavoravano nella chiesetta nel quinto centenario della morte. Mentre pulivano la parete, in profondità, quasi per miracolo, sono affiorate le pallide immagini della “Venerazione dei pastori”. Come se il pittore parlasse dall’oltretomba e mostrasse l’anima più nascosta della sua arte: con quale tecnica, con quale professionale pignoleria, con quale spirito, con quale passione lavorasse. I disegni emersi raccontano tutto questo. E i visitatori percepiscono la scienza e la fatica che c’è dietro quei colori fantasmatici. Scoprono un Perugino inedito, stabiliscono un diverso dialogo con lui, vivono un’ esperienza spirituale oltreché estetica. Qualcuno si commuove per questa sorta di transfert. Per riuscire a vedere dietro e oltre un capolavoro.
A duemila chilometri di distanza, al “Victoria and Albert”, un grande intellettuale inglese ottocentesco provò un’emozione altrettanto intensa guardando l’altra parte del dipinto, quella strappata dalla parete, pagata e portata via da Fontignano. Si tratta di John Ruskin che dopo un’accurata visita al museo, scriveva ad un’amica: “Se percorri tutta la galleria e poi giri a sinistra, sulla parete, scorgerai l’affresco più bello che ho visto fuori dall’Italia”.
Purtroppo né a Fontignano né a Londra, si può più avvertire il fascino dell’opera nella sua interezza: sia nell’uno che nell’altro luogo ne manca un pezzo. Ma forse è proprio questa bellezza spezzata eppure non cancellata, ad essere toccante. Un’immagine di resistenza alle insidie degli uomini e del danaro.
Ma nella chiesetta c’è qualcosa di più: il fantasma del dipinto è a pochi metri dalla tomba dove è sepolto il corpo del suo autore. Pietro Vannucci, dopo la sua ultima fatica, morì fra i dolori e gli stenti della peste bubbonica. Forse, nell’accettare la committenza del piccolo paese vicino Perugia, aveva sperato di sfuggire a quel morbo mortale. Ma non bastò stare lontano dalla città. Ormai settantacinquenne, si ammalò e se ne andò quando aveva appena finito il lavoro del suo congedo. Quando aveva lasciato le sue ultime pennellate alla piccola comunità di Fontignano.
Dopo la morte iniziò la seconda odissea: quella del suo corpo, passato da un luogo di sepoltura ad un altro. Esalato l’ultimo respiro, Perugino venne avvolto in un lenzuolo e sepolto sotto una grande quercia ai piedi di un greppo scosceso, proprio di fronte alla chiesetta da lui affrescata. I pietosi allievi scavarono velocemente la fossa cercando di non farsi notare da nessuno: il corpo di un appestato provocava il terrore di ulteriori contagi.
Poi, nell’Ottocento, le ossa vennero trasferite accanto alla parete esterna della cappella trecentesca, come narrano alcune testimonianze, ma il luogo preciso non era mai stato individuato. Durante i recenti lavori di ripristino, è stato identificato. Una restauratrice ha notato i segni di un interramento circolare e ha sospettato che lì sotto ci potesse essere la seconda tomba. Avvertita la soprintendenza è iniziata la ricerca. Dopo che mani esperte hanno rimosso uno spesso strato di terriccio, è emersa una conca circolare scavata sulla roccia. Lì hanno riposato per secoli le ossa di Pietro Vannucci. Ora non ci sono più: sono state portate all’interno della chiesa. E anche qui sono state spostate per ben due volte.
Nel 1929 ci fu la sepoltura definitiva con accanto una piccola architettura. Alla cerimonia di inaugurazione era presente – così dicono alcune cronache d’epoca – nientemeno che il ministro Bottai.
Ma è proprio Perugino quello che riposa in questa quarta tomba? Non c’è dubbio: la fisiognomica del teschio è esattamente quella dell’autoritratto sulla parete del Collegio del Cambio, e l’analisi delle ossa dice che risalgono al Cinquecento. Fontignano non ha mai voluto separarsene spuntandola contro le pretese di Perugia, che voleva ospitare i resti di chi ha portato il nome della città nel mondo. Sono rimaste lì, accanto all’ultima fatica del pittore, di cui resta l’affascinante fantasma.