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di Gabriella Mecucci

Lo spettacolo che ha dato il sindaco Stefano Bandecchi in consiglio comunale si commenta da solo. Inutile dilungarsi ancora su quello scempio istituzionale che nessuno del numeroso gruppo di Alternativa Popolare ha osato condannare prontamente, dimostrando così un’autonomia pari a zero dal leader, che non si mette in discussione nemmeno in un’occasione tanto grave.
L’interrogativo più inquietante non va rivolto però solo ai compagni di partito del primo cittadino, ma a tutti i partiti e all’intera città. Come e perché Terni è arrivata a scegliere come sindaco un esponente politico le cui caratteristiche erano emerse ben prima delle elezioni amministrative di giugno? Basta leggere l’articolo di Walter Patalocco, ripubblicato qui sotto e scritto alcuni mesi fa su Passaggi Magazine, per rendersi conto che il temperamento – diciamo così – fuori misura e molto aggressivo dell’allora candidato era ben noto a tutti. Le sue sceneggiate da presidente della Ternana avevano riempito le colonne dei giornali sportivi, e non solo. Perché allora, i cittadini ternani hanno votato in massa Bandecchi? Questa scelta è sintomo di due profonde crisi.
La prima è quella dei partiti politici della città. La sinistra si è presentata a pezzi: con quattro candidati, uno più debole dell’altro. Ed è riuscita nel capolavoro di non arrivare al ballottaggio. Pur avendo governato a lungo, questo schieramento aveva già manifestato una totale perdita di progettualità e di capacità di governo, nonché un deterioramento delle sue classi dirigenti. I Cinque Stelle trassero vantaggio da questo sfaldamento. E restano ancora abbastanza forti da essere condizionanti, ma non sono stati capaci di avanzare proposte e di costruire alleanze. Il Pd, dopo la sconfitta di cinque anni fa, è diventato una palude litigiosa.
Il Centrodestra che aveva governato nell’ultimo quinquennio con a capo un sindaco leghista ne ha combinate di tutti i colori: basti dire che tutti i consiglieri del Carroccio, meno due, avevano abbandonato il gruppo. E Palazzo Spada era diventato teatro di un continuo cambio di casacche. Fratelli d’Italia, che sentiva di avere il vento in poppa, decise così di cambiare il candidato. Fece fuori Leonardo Latini per mettere un meloniano di ferro. La scelta non era sbagliata in sé, ma il metodo usato fu quello del colpo di mano. I risultati furono catastrofici.
Insomma, il quadro politico che venne presentato agli elettori in giugno era devastato e devastante. Nonostante ciò appare comunque difficile capire perché tanta gente abbia deciso di votare Bandecchi. E qui occorre analizzare la seconda crisi che ha investito potentemente Terni: quella identitaria. Tramontata l’immagine della città operaia – caratterizzata da forza e compattezza, ma anche da dogmatismo e chiusura – sono rimaste solo macerie. Con le Acciaierie che arrancano, pur riuscendo a sopravvivere e restando l’unica realtà con una sua vitalità. I cittadini avvertono questa fine di una narrazione – un tempo costruita e raccontata dal Pci e dai sindacati – e non trovano più interlocutori. Reagiscono così rabbiosamente.
Espressione di questa rabbia sono stati prima i leghisti. E poi, nella continua ricerca della salvezza in un indefinito altrove rispetto al passato, il grido impotente è stato lanciato verso Bandecchi. Lui è diventato l’altrove dove è approdato. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Una sorta di memento questo per tutta l’Umbria. Un richiamo forte al senso di responsabilità delle forze politiche e degli stessi cittadini.