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di Fabio Maria Ciuffini

Consentitemi, tanto per parlare ancora dell’acquedotto medievale, del VERO E COMPLETO acquedotto medievale, un prologo condito da dotte citazione tratte dalla Storia della Città di Perugia del Bartoli. Abbiate pazienza e capirete perché ve lo anticipo.
… Non erano passati che pochi anni da quando l’acqua di Monte Pacciano il 13 Febbraio del 1280 ”allagò in grandissima copia la vaghissima fonte” che il novissimo
acquedotto, pensato nel 1254 da Fra Plenerio cominciò a dare gravi problemi. L’opera era stata completata in soli tre anni dopo la misteriosa scomparsa di Plenerio(di cui niuna scritta nell’acquedotto ricorda il nome, e che la storia aveva taciuto benché i nostri atti municipali ne favellino) ed un lungo periodo di stasi dei lavori. Altri due frati si erano dati da fare : Frate Alberto e Fra Bevignate (a quest’ultimo, giustamente famosissimo, ingiustamente la storia ha attribuito tutto il merito). Ma, a parte la magnifica e speriamo imperitura Fonte Maggiore, tutto il loro lavoro stava andando in crisi. Infatti come ci racconta il Bartoli “non passava un decennio che o l’attrito o la qualità dell’acque (conducenti gran copia di tartaro) o la dispersione di alcune vene, o la mala funzione dei tubi operarono che mancasse l’acqua nella città”. E la speciale Magistratura eletta “ a sovrastare l’acquedotto” cercò invano di provvedere a riparazioni e interventi, ma sta di fatto che quegli sforzi non furono premiati dal successo: “soltanto languidamente si mantenea l’acqua alla fontana, che a intervalli asciugava, ed anziché zampillare, gocciolava”. Insomma, la nuova gloria di Perugia, di cui già si parlava tantissimo perché i perugini erano riusciti a mandare l’acqua in salita, periclitava. Capitò persino in quegli anni di flussi languidi o del tutto cessati, che essendo in visita a Perugia il Papa, non si volle che egli vedesse la Fonte Maggiore in secca. Così “con acque trasportata a braccia fecero i magistrati empire la più vicina conserva, perché il Pontefice non si accorgesse della penuria del grave elemento”. Il Bartoli – che continuo a citare e citerò ancora – chiama questa trovata “Pomposa vanità” e non sa quando scrive (1848) che la stessa cosa accadde quando Mussolini venne ad inaugurare il nuovo acquedotto dello Scirca, non ancora completato, e pompe faticosamente azionate a mano provvidero a portare acque alla Fonte. Corsi e ricorsi di “pomposa vanità”! Intanto, correva l’anno 1317 quando “caduti in più parte e rovinati i muramenti e gli archi dell’acquedotto” e “rubati i tubi di piombo ad obbrobrio della città” si dovette infine rinunciare al primo tracciato (che definitivamente scomparve) e si decise che “a qualunque costo si riconducesse l’acqua in città”. Datone incarico ai Frati della Penitenza, fu pensato un nuovo progetto su un nuovo tracciato. E per la “compra del piombo pé tubi e poscia per la continuazione e compimento dei lavori un Cecco di Baroncio eletto a sovrintendente del proprio anticipò il denaro per l’acquisto del piombo e dell’oro per inaurare le figure della fonte”. Fu grazie a quelle somme che nel 1322 finalmente l’acqua stabilmente tornò, ma su di un altro tracciato, più corto e che passava in aperta campagna, più lontano dall’ ”obbrobrio dei furti”. Ma va detto che quel nuovo tracciato, quando raggiungeva il punto più basso dell’acquedotto, allo Spinello, (i lettori di Passaggi Magazine ormai sanno dov’è) faceva registrare un enorme dislivello dall’opera di presa e quindi una altrettanto enorme pressione. Di cui forse quei frati non ebbero mai precisa contezza. Tanto che ci riferisce il Bartoli che “il lavoro sul secondo disegno che conduceva l’acque sugli archi molto alti ed arditi per la costruzione, era per la manutenzione dispendiosissimo, e di frequente, o per causa naturale, per poca cura, rovinavano gli archi, ed erasi necessitati a sostenere la conduttura con opere di legno temporanee” E quell’acquedotto completato nel 1322, che è poi è quello che cerchiamo oggi di rimettere in vita, per tutti i secoli successivi fu continuamente fonte di centinaia rotture (oltre ai soliti, immancabili furti), fino alla definitiva chiusura per via dei Sanfedisti. Di cui i lettori di Passaggi Magazine sanno già tutto, ma converrà qui dirne come li giudica il Bartoli “orde levate in massa a ladroneccio e saccheggio per cupidità del piombo”.
E’ bene anche ricordare che, ben prima della distruzione sanfedista i maestosi archi dello Spinello che ancor oggi vediamo (chissà ancora per quanto?), anche per via di quella loro “arditezza”, furono rifatti varie volte.
Insomma una storia tribolatissima questa dell’acquedotto di Perugia. Tanto meraviglioso, innovativo e coraggioso per l’epoca, quanto continuamente in panne. E che meritò ai perugini che si intestardivano a tenerlo in vita la nomea di “avere la mania dell’acquedotto”.
E va ricordato anche come arduo fu sempre il problema del finanziamento dei lavoro del nuovo acquedotto medievale. Si cominciò con il dedicargli i “proventi delle acque del Chiugi” (cioè del Lago di Chiusi, che allora era sotto il dominio perugino) poi – sia pure in modo temporaneo “quelle del Trasimeno” – poi anche il “prodotto del
grano serbato alla pubblica annona”. Ma i soldi non bastarono mai tanto che non ci si rifiutò di sopperire alla bisogna con ogni tipo di provento, anche il più incredibile. Il “riscatto” degli omicidi! E infatti …
Il libro del Bartoli da cui sono tratte queste citazioni è uno dei tanti libri fin qui raccolti che hanno già creato le premesse per un validissimo Centro di Documentazione sull’Acquedotto. Cui dedicare un prossimo articolo.
Perché dunque questo lungo Prologo?
Perché le difficoltà odierne emulano quelle passate; per fare un appello ad imprese perugine perché emulino gli antichi finanziatori; per una richiesta di chiarimenti su ipotetici altri finanziamenti! Infatti la Storia in maiuscolo di quell’opera prodigiosa, nonostante tutto ha molto in comune con quella, ancora tutta in minuscolo, della sua sperata rinascita iniziata il 6 Luglio 2022 con un incontro con il Sindaco Romizi e formalizzata il 14 Giugno con la firma di un patto di collaborazione (vedi Passaggi Magazine) tra Comune e volontari. Dunque “la mania dell’acquedotto” rinasce oggi a nuova vita, sperando nella rimessa in pristino dell’intera opera. Ma purtroppo non è solo questo l’elemento in comune della nuova storia con la vecchia: rinascono ancora le antiche tribolazioni, con un continuo oscillare tra annunci, esitazioni, problemi e, soprattutto, vane ricerche di finanziamenti. Né si possono certo battere le antiche strade: sai com’è, l’acqua del Chiugi è andata, quella del Trasimeno pure, i riconosciuti colpevoli di omicidio, ancorché possidenti, vanno per fortuna in galera. Non resta – per ora – che contare sul Comune di Perugia, che preso com’è nelle sue ristrettezze di bilancio, afferma di non poter intervenire se non con futuri impegni da inserire nei suoi piani strategici triennali. Allora, in attesa che arrivi qualche somma – anche piccola – per cominciare almeno il progetto, non resta ai nuovi “maniaci” che sperare in un provvidenziale Cecco di Baroncio che a sue spese anticipi quei pochi euro che servono almeno per cominciare. Ma improvviamente pare che l’epigono di quel lontano benefattore si materializzi nella figura di Cucinelli & Famiglia: tutte le gazzette perugine annunciano infatti che “Cucinelli finanzia il restauro dell’Acquedotto Medievale”. Dunque voi volontari “maniaci” di cosa vi lamentate? E però salta fuori subito che quell’annuncio è perlomeno fuorviante. Il restauro di cui si parla riguarda solo i 200 metri degli arconi di Via Appia. La parte iniziale urbana di un’opera lunga almeno tre Km ed in cui i resti delle antiche glorie – gli arconi delle Piagge, dello Spinello, di Ponte D’Oddi – versano in condizioni miserande ed altre sono addirittura interrate e vanno riscoperte. Forse se qualcuno avesse chiesto a suo tempo di finanziare la messa in sicurezza di tutte le opere piuttosto che il restauro di soltanto un pezzo, non credo che Cucinelli – di cui non si possono che tessere le lodi – si sarebbe tirato indietro. Ma la richiesta del Comune pare gli fosse stata fatta prima che venisse alla luce il problema nel suo complesso.
Però, appena dopo che si è chiarita la vera portata dell’intervento di Cucinelli, il cuore dei “maniaci” si apre nuovamente alla speranza: il Comune assicura che a fine settembre si farà una conferenza stampa per esporre le sue strategie sul resto dell’acquedotto medievale e, intanto finanzierà – sia pure per poche migliaia di euro – l’opera di decespugliamento delle aree circostanti gli arconi! A che serve il decespugliamento? Si tratta di eliminare ammassi di rovi e altre piante infestanti che circondano i manufatti, per renderne possibile effettuare misurazioni geometriche, fare dei saggi di resistenza dei materiali, valutare il grado di penetrazione delle radici dei rampicati che soffocano (e forse sostengono) i piloni e stabilire cosa fare per eliminarli o almeno diradarli. In altri punti poi si tratta di liberare tratti impraticabili dei sentieri che fiancheggiano l’antico percorso. Bene, il Comune indice pure una gara informale per trovare l’Impresa che effettuerà il decespugliamento e ci si appronta finalmente ad effettuare le rilevazioni che servono al progetto di fattibilità per la messa in sicurezza degli arconi definendone il costo.
Ma ecco, ai primi di agosto il contrordine: non c’è un euro per il decespugliamento, si è trattato di fake news . Pare che un’entrata imprevista su cui si basava quella promessa sia stata dirottata verso altri impieghi.
E domando personalmente al Sindaco Romizi, scusandomi per l’ardire: è possibile che il Comune di Perugia non riesca a trovare, magari per cassa, poche migliaia di euro, necessarie ad avviare un intervento di somma urgenza? Che una volta accertato come tale può aggirare i vincoli di bilancio? Sono a questo punto le finanze comunali? E che si tratti – a mio avviso -di un intervento di somma urgenza lo dicono le ultime foto fatte con un drone che certificano una situazione di evidente precarietà. Guardiamo ad esempio la ricostruzione dei resti degli arconi dello Spinello.
Si tratta di un elaborato provvisorio, frutto del lavoro di tecnici tra i volontari basato su di una ricostruzione fotografica. Il decespugliamento consentirebbe di misurare finalmente con precisione gli effettivi interassi degli arconi, la loro altezza e soprattutto la consistenza fisica, cosa oggi impossibile proprio per la loro sostanziale inaccessibilità. Non è possibile nemmeno inoltrarsi nella boscaglia per trovare eventuali altri resti degli antichi arconi caduti. Però si è da poco riusciti a fare una esplorazione fotografica con un drone che ci permette di vedere, a più di 30 metri di altezza, lo stato della muratura in corrispondenza della sommità degli arconi. Cominciamo con il pilone 2, da cui si vede la luce penetrare da un foro nella muratura. Con l’ausilio di un drone e da un diverso angolo di ripresa sempre sullo stesso pilone si può osservare il distacco tra la parte alta dell’arco di scarico e la muratura sottostante: la luce penetra nelle murature. Si vedono gli alberi che sono al di là.
Lo stesso processo di degrado sta interessando anche il pilone 3. Nella stessa foto è possibile vedere anche lo stato dell’arco principale che è analogo a quello degli altri tre archi supersiti. Un solo strato di mattoni pronto a crollare se i piloni divergessero, con quel meccanismo di crollo che ha ridotto il viadotto dai primitivi 14 arconi ancora tutti in piedi ai primi del ‘900, ai sette nel 1992 e a soli quattro oggi.
struttura, su quell’orientamento è completamente avvolta dai rampicanti.
Queste foto rappresentano con grande evidenza lo stato degli arconi per evidenziarne la precarietà. Si può considerare meno che urgente un intervento teso a fermare il degrado?
Chiedo scusa ai lettori per questa parte che è più una relazione tecnica che un articolo. Ma è necessaria per dare finalmente a tutti un’idea della situazione. Ai lettori, sperando che tra loro vi siano coloro che potranno far qualcosa per risolverla. Magari imprese perugine che vogliano emulare Cucinelli! Fornendo finanziamenti e/o attrezzature e mano d’opera per cominciare a tracciare progetti con il necessario dettaglio. Insisto : gli arconi “trasparenti” nelle loro scheletriche condizioni, hanno bisogno di interventi non più rinviabili per la loro messa in sicurezza. Per scongiurare che un bel giorno non ci dovessimo accorgere che è avvenuto un ulteriore crollo. Si tratta di mettere delle centine che sorreggono gli archi, forse delle catene. Ma è comunque necessario potersi avvicinare agli arconi per capire quale potrebbe essere la cifra minima per effettuare l’operazione. E dico “minima” perché, nello stato di assoluta carenza di finanziamenti, è bene stabilire la prima soglia finanziaria utile ad operare in condizioni di “somma urgenza”. Altre immagini evidenziano lo splendido contesto naturalistico in cui sono inquadrati gli arconi dello Spinello ed a sinistra una parte del Monte Pacciano. Questa vista potrebbe sollecitare una tendenza pericolosa. Lasciamo le cose come stanno: sono così pittoresche e romantiche quelle rovine! Ma se non si agisce subito quegli scheletrici resti rischiano di scomparire definitivamente.
Impenetrabili ma pittoreschi anche loro, no? Non altrettanto però lo sono le metaforiche spine che ancora impediscono di attuare i primi modesti interventi di cui ho parlato fin qui.
Ci si può domandare perché il decespugliamento non lo fanno i volontari. Giusta domanda che non tiene conto della necessità di utilizzare macchinari specifici e di agire in sicurezza e con le necessarie coperture assicurative in una situazione in cui, in ogni momento, si può staccare un pezzo di muratura e cadere in testa agli operatori
Una situazione analoga è quella degli arconi di Ponte D’Oddi, dove l’uso del drone sarebbe del tutto inutile, in quanto le strutture sono totalmente ricoperte dai rampicanti.
Ne abbiamo già parlato in un articolo di Passaggi Magazine, quando alcuni coraggiosi sono penetrati in quel viluppo ed hanno scoperto che gli arconi, per fortuna, ci sono ancora. E dovrebbero corrispondere a quelli del rilievo del Cervellati del 1733. Per ora l’unico rilevo disponibile! Recentissimo no?
Per finire voglio però dirvi dell’ultimo annuncio, questa volta della Lega. È di Perugia Today che titola : “Interventi per milioni di euro per i beni culturali dell’Umbria”. Dovrebbero essere fondi del MIT e nello specifico si parla della Basilica di S. Maria degli Angeli e dell’Acquedotto medievale di Perugia. Proprio così: acquedotto medievale! Sarebbero solo 200mila euro per cominciare, ma magari averceli, anche solo una parte. Che Cecco di Baroncio assuma le sembianze del Ministro Salvini? O non sarà l’ennesimo annuncio che impedisce di trovare finanziamenti veri, anche minimi, e soprattutto immediatamente disponibili? Forse varrebbe la pena saperne di più!
Figura 9 Gli Arconi di Ponte d’Oddi nel rilievo del Cervellati 1733