di Sud
Nutella, la crema spalmabile più venduta al mondo, il marchio che ha reso i Ferrero la più ricca famiglia d’Italia, ha un’origine povera. Nell’Ottocento, ai pasticceri torinesi venne in mente di produrre un cioccolato con meno cacao, sostituendo le esotiche e costosissime fave con le nocciole del Basso Piemonte, abbondanti ed economiche, “tonde e gentili” (come le definisce il disciplinare IGP).
Nacque così il Gianduja, da cui Pietro Ferrero, un pasticcere di Alba, ricavò nel 1946 la pasta progenitrice della Nutella. Nella ricetta attuale è entrato ovviamente anche l’olio di palma, ma le nocciole, con il loro olio, restano ancora, con il 13%, il terzo ingrediente (primo ovviamente lo zucchero). Sono 50.000 tonnellate l’anno, per metà provenienti dai 7.000 ettari di noccioleti che circondano Alba, dove è ancora oggi la sede storica della Ferrero.
Oggi l’olio di nocciole ha guadagnato il suo spazio tra le eccellenze delle Langhe, accanto ai grandi vini e al tartufo bianco; e gli chef e i pasticceri più rinomati lo centellinano nelle loro ricette come condimento o come alternativa vegana al burro. Uno di loro si è talmente innamorato della raffinata essenza da aver commissionato a un allevatore vitelli nutriti a nocciole, facendo entrare di diritto la carne di “vicciola” nella haute cuisine.
Un uso dell’olio di nocciole trascurato dai grandi chef affiora dalle storie resistenziali di Beppe Fenoglio, con i loro personaggi antieroici, immersi nella paura e nel dubbio, nella fatica e nel freddo. E nella fame. La ricetta (se così la si può definire) è semplicissima, e la troviamo descritta, identica, negli Inizi del partigiano Raoul, uno dei racconti della raccolta Ventitré giorni della città di Alba, e nel Partigiano Johnny: carne arrostita nell’olio di nocciole.