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di Giuseppe Vittori

Annunciato da tempo come il trionfo della destra meloniana e zaffiniana, l’elezione del sindaco di Terni si è trasformata per la stessa destra in una vera e propria tempesta perfetta. Una catastrofe storica, nello stesso giorno in cui la stessa destra vince a mani basse in tutta Italia. Tranne che a Terni, dove soltanto sei mesi fa il partito di Giorgia Meloni aveva raggiunto il 30 per cento. Un risultato molto al di sopra della media nazionale e che deve, evidentemente, aver dato alla testa al deus regionale di Fratelli d’Italia, il senatore Franco Zaffini, al quale oggi moltissimi stanno dando la caccia, sia nel suo partito che in tutti gli altri partiti umbri della destra. E non è escluso che la stessa Giorgia Meloni, magari per il tramite del ministro e plenipotenziario del partito, Francesco Lollobrigida, abbia inviato il suo disappunto per questa figuraccia. E così a Palazzo Spada ha fatto il suo trionfale ingresso Stefano Bandecchi che ha battuto Orlando Masselli 55 a 45. Segno che – volendo parafrasare il grande Pietro Nenni (“c’è sempre un puro più puro che ti epura”), – in questo caso c’è sempre un populista più populista di te! E ora? Bella domanda! Certo, perdere le elezioni a Terni in questo modo, con una sinistra completamente assente e incapace di dare un minimo segno di vita da oltre dieci anni, è davvero un capolavoro all’incontrario. Ovviamente gli effetti più diretti ed immediati di questa brutta pagina per la destra umbra si faranno sentire prima di tutto dalle parti di Palazzo Donini, sede della Presidenza della Giunta regionale, sia per una resa dei conti interna alla maggioranza, sia per le stesse mosse che Bandecchi ha già annunciato…”: “prima mi prendo Terni e poi la Regione”. Per la presidente Donatella Tesei, ormai senza più un partito, visto che la Lega in Umbria si è ridotta a consensi che vanno attorno o al 5 per cento, e a Terni -dove aveva sindaco e maggioranza – non è stata nemmeno in grado di eleggere un solo consigliere comunale, quello che ieri poteva apparirle un incubo (la vittoria di Bandecchi) oggi è una realtà.
E Bandecchi – come detto – ora si preparerà all’assalto della Regione. Se qualche osservatore, ipotizzando la vittoria del “parà” a Terni, poteva sperare in un suo cambio di approccio alla politica locale, scegliendo uno stile più istituzionale, a noi pare più certo il contrario. Bandecchi alzerà i toni e lo scontro, dato che ha capito che urlare “Perugia ladrona” elettoralmente rende bene. E alla Tesei non farà sconti, visto come è stato trattato da molti dei leader regionali del centro destra che lo hanno apostrofato nei i modi più negativi, da buffone e saltimbanco. Così la Tesei rischia di dover pagare per tutti. Perché tutti guardano alle regionali del prossimo anno, prima che alle amministrative ed alle europee che si svolgeranno qualche mese prima. È lecito attendersi, quindi, un atteggiamento delle attuali forze politiche che governano la Regione molto più prudente nei confronti di Bandecchi. Anzi, è molto probabile che sin da subito la stessa Tesei assuma con lui un metodo collaborativo; che gli dia ascolto, per disinnescare il pericolo vero, quello dell’assalto alla Regione. Vedremo se Bandecchi ci cascherà oppure terrà il punto: dare il filo da torcere alla governatrice! Qualcuno sostiene che il disastro di Terni potrebbe in un certo senso favorire la ricandidatura di Tesei, visto che lo schema Terni (non ricandidatura del leghista Leonardo Latini) è miseramente fallito. Ma c’è anche l’altra ipotesi, e cioè che proprio la discesa in campo di Bandecchi alle prossime regionali possa determinare l’uscita di scena di Tesei. Perché il problema è insito alla stessa Tesei. Se a Terni Latini godeva di un largo consenso nell’opinione pubblica, non altrettanto si può dire della presidente della Regione che nei sondaggi (ma soprattutto tra l’opinione pubblica) continua a perdere consensi. Se a questo si aggiunge la lista Bandecchi alle regionali del 2024, allora per il centro destra è davvero a rischio anche la Regione. Salvo che non permanga lo stato comatoso in cui versa il Pd e la sinistra in generale, e replichino il catastrofico risultato elettorale ternano. In questo caso il centro destra, nonostante tutto e nonostante la ricandidatura della Tesei, potrebbe continuare a vincere. Ciò in quanto conseguenza di una la legge elettorale per la Regione che è a turno unico e stabilisce che chi prende un solo voto in più porta a casa Presidente e la maggioranza.
È ovvio che le candidature alla Presidenza di una Regione si decidano sui tavoli nazionali. Ma come fare ad assegnare l’Umbria ancora alla Lega (leggi Tesei) che qui ormai è quasi inesistente, mentre Fratelli d’Italia comunque ha una notevole forza elettorale senza avere né un assessore regionale né un sindaco di una qualche città di peso; e la stessa Forza Italia difende un suo più che dignitoso 6-/7 per cento? Quindi a quel tavolo nazionale la Lega stessa potrebbe essere spinta a rinunciare all’Umbria a favore di qualche altro partito della coalizione. Ecco che potrebbero farsi strada altre soluzioni. Assegnare l’Umbria a Forza Italia, e costringere Fratelli d’Italia e la Lega a convergere sulla candidatura a presidente di Regione dell’attuale sindaco di Perugia Andrea Romizi, personalità politica apprezzata anche in aree non di destra, e soprattutto con una immagine ed un appeal elettorale più attrattivo della Tesei. E Perugia, oltretutto e soprattutto, potrebbe dopo oltre trent’anni, tornare ad esprimere la massima carica elettiva in Umbria. Ma, nel caso si ingarbugliasse la vicenda umbra ed i partiti di centro destra non trovassero un accordo su un proprio candidato, potrebbe farsi strada l’altra ipotesi: quella civica di centro destra, vale a dire Paola Agabiti Urbani. Anche questa una personalità politica di tutto rispetto, che in quasi quattro anni di legislatura si è particolarmente distinta in Giunta regionale per la sua sobrietà politica, con un profilo istituzionale sempre attento a non cedere a partigianerie, rigorosa nelle politiche di bilancio, e che è stata la protagonista indiscussa della strategia di rilancio dell’immagine dell’Umbria, i cui risultati le stanno dando ampiamente ragione con un movimento turistico che sta riempiendo ogni angolo della regione. E cosa che le giova ancor più, si è sempre tenuta molto lontana da polemiche, diatribe, scontri politici accreditando di sé un’ immagine di amministratrice competente e capace. Insomma, un riequilibrio della rappresentanza istituzionale nel centro destra sarà assolutamente d’obbligo, se solo si considera che ad oggi la Lega in Regione ha ben otto consiglieri regionali, due assessori e la presidente di Regione. Un po’ tanto per un partito del 5 per cento. Ciò consentirebbe a Fratelli d’Italia di poter vantare una forte “opa” sul futuro esecutivo regionale, visto che almeno tre assessori dell’attuale Giunta sono ormai a fine corsa: i leghisti Luca Coletto ed Enrico Melasecche, e l’esterno Michele Fioroni, di cui non si ha traccia.
Infine, appaiono davvero risibili le giustificazioni per questa figuraccia elettorale a Terni che nelle ultime ore hanno fornito Franco Zaffini ed il suo candidato Orlando Masselli: la vittoria di Bandecchi secondo i due sarebbe colpa del PD. La verità è nei numeri. E i numeri dicono che Masselli già al primo turno ha lasciato per strada oltre dieci punti percentuali rispetto alla dote di consensi che il centro destra aveva espresso a Terni soltanto sei mesi fa alle politiche. Sempre gli stessi numeri dicono che Masselli non è stato votato nemmeno da tutti quelli che hanno votato a destra, visto che ha preso il 3 per cento in meno di quelli delle sue liste collegate. E ancora i numero del ballottaggio dicono che almeno un migliaio di quelli che lo hanno votato al primo turno non lo hanno votato al ballottaggio. Le elezioni di Terni dicono, dunque, una cosa molto seria ed importante: i cittadini hanno votato in piena libertà, ed hanno deciso di punire da una parte l’inconsistenza della sinistra, e dall’altra parte l’arroganza della destra, che pensava di poter disporre a proprio piacimento dell’elettorato. Lo hanno fatto questa volta, come lo fecero esattamente trenta anni fa, quando decisero di punire l’arroganza dell’allora Pds che pensava parimenti di essere autosufficiente, eleggendo il civico Gianfranco Ciaurro.