di Ruggero Ranieri
Il 2014 sarà ricordato a lungo a Perugia perché ha segnato la fine di una lunga striscia di amministrazioni comunali di sinistra. La sinistra, guidata dall’allora PCI, aveva riconquistato il comune nel 1970, mandando a casa una giunta di centro-sinistra che governava dal 1964. Prima ancora, però, fino dall’immediato dopo guerra tutte le amministrazioni succedutesi erano chiaramente di sinistra, con una componente maggioritaria del partito comunista e un sindaco socialista. Si potrebbe, quindi, dire che vi sono stati, pur con una breve interruzione, circa settanta anni di dominio rosso a Perugia. Quello che si verificò, quindi, non fu un mero cambio di colore, ma una vera e propria svolta di cui si parlerà nei libri di storia. Su questa vicenda fino ad oggi si era scritto pochissimo e sono quindi benvenuti i primi libri di ricostruzione e di memoria.
Questo libro di Francesco Calabrese è stato per me una piccola rivelazione, per come è scritto, per la personalità vivace e cordiale dell’autore e soprattutto per gli squarci che apre sulla sconfitta della coalizione di sinistra guidata da Boccali e sulle vicende e i percorsi della prima giunta Romizi, eletta nel 2014. Francesco Calabrese non ha partecipato alla attuale, seconda giunta Romizi, per ragioni che non esplicita. Il suo racconto si ferma quindi al 2019. Del resto, nella sua carriera politica comunale egli non è nuovo a accelerazioni e frenate. Eletto nel 1995, è stato per 15 anni consigliere, per poi dimettersi nel 2009 e ricandidarsi, con il gruppo di “Progetto Perugia” sostenendo la candidatura a sindaco di Andrea Romizi. Perugino di seconda generazione appartiene, anche per radici familiari ̶ suo nonno Mario esponente del PPI, poi senatore della DC per varie legislature ̶ al mondo cattolico e ha navigato le rapide di quella parte che non voleva confluire insieme al mondo post-comunista. Dicevo della sua volubilità, che è segno anche di indipendenza e vivacità, quando ha minacciato e poi offerto le dimissioni nella prima fase della giunta Romizi, non vedendo accolte alcune sue istanze. Comunque sia, il merito di questo libro agile, ma non privo di contenuti, è di aprire una finestra sul mondo opaco della battaglia politica cittadina, di cui tutti i protagonisti credono di conoscere gli anfratti, mentre in realtà conoscono poco e interpretano male.
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Andiamo con ordine: una parte del libro è una sorta di diario personale, ricordi familiari,
amici, le prime esperienza giovanili e poi gli anni trascorsi nelle consiliature dal 1995 al 2009. Per quanto scritte bene, mai troppo autoreferenziali e ingombranti, leggermente sbarazzine come il personaggio, non mi soffermerò su queste pagine. Chi vuole, può sicuramente trovarci nomi ed episodi della vita cittadina tra gli anni Sessanta e gli anni Duemila.
La prima parte sostanziosa del libro è dedicata alle vicende della battaglia elettorale comunale del 2014. Ne traccia brevemente gli antecedenti e ne rivela alcuni passaggi importanti. Faccio qui una breve digressione: anche io ho vissuto quei giorni e gli anni precedenti. Li ho vissuti, però, da una prospettiva molto diversa, quella delle liste civiche. Nel 2004 mi trovai a rappresentare la lista Altra Perugia, come candidato sindaco (prendemmo il 2%). Nel 2009 partecipai alla aggregazione Socialisti-Liberali (con Ada Girolamini), un misto civico-politico e, infine, nel 2014 presi parte, non direttamente come candidato, ma come organizzatore e uno degli ideatori, alla creazione di due liste che sostenevano Urbano Barelli come sindaco.
Due parole qui sull’esperienza delle liste civiche. Si trattava di aggregazioni spontanee, piene di passione, e anche di rabbia che sentivano la necessità di un forte cambiamento nella città. Composte da uomini, donne di varie opinioni (ambientalisti, radicali, indipendenti di sinistra, centristi insoddisfatti, liberali tormentati, arrabbiati di destra) faticavano a esprimere posizioni coerenti, pur agitando molti problemi giusti e urgenti. Soprattutto erano composte da outsider con pochi o nessun riferimento all’interno del palazzo, di cui intuivano ma non conoscevano le vere dinamiche.
C’è da dire che su due punti, sui quali insiste Calabrese, eravamo pienamente d’accordo anche noi. Il primo era l’analisi della crisi del sistema organizzato della sinistra. Calabrese ne parla brevemente, ma abbastanza efficacemente. Egli osserva come la spinta propulsiva delle giunte di sinistra si era esaurita già con la giunta Maddoli del 1995. E questo per due fattori: innanzitutto la crisi economica, la città si era impoverita e per rimetterla in moto le giunte Locchi spinsero l’acceleratore sui grandi progetti pubblici, incoraggiando anche una diffusa cementificazione. Quello che era assente, però, era la relativa domanda di edifici mentre le risorse per sostenere quest’artificiale espansione erano insufficienti. Da qui debiti ed edifici vuoti (per non parlare di clientelismo, una certa arroganza del potere e altro ancora) Si inseguì, in questo modo, un illusorio ruolo guida del Comune negli investimenti e nella tecnologia, operazione che culminò nella costruzione del minimetro. Si diceva: il comune progetta e gli imprenditori seguiranno. Ma si diede così vita a un sistema malato.
Calabrese aggiunge un altro particolare che al sottoscritto era sfuggito, ma che sicuramente era noto agli insider del palazzo: per rafforzare una giunta che aveva già mille problemi, Locchi ricorse al sistema della competizione delle preferenze. Forzando il significato della riforma amministrativa del 1993, che intendeva separare il Sindaco e la sua giunta dal Consiglio, Locchi affermò il principio che gli assessorati sarebbero andati ai candidati di lista più votati. Il risultato fu quello di innescare una competizione interna distruttiva, di rendere la giunta meno coesa e meno competente.
La seconda analisi che condividevamo era che il centro destra non solo era debole, ma era complice e qui Calabrese dice parole molto chiare e documentate. Il centro destra non solo non voleva vincere, ma faceva di tutto per non vincere. Come si concretizzava questo meccanismo? I partiti, a partire da quello di Berlusconi erano diventati molto personali e verticistici. Non c’erano più né congressi né dibattiti, ma un delegato regionale, emanazione del capo, che decideva le candidature. Lo faceva tardi, in tempi ristretti e con scelte di secondo piano, in modo da far sì che non emergesse alcuna spinta dal basso, permettendo così al centro destra sconfitto di contrattare le briciole al tavolo delle istituzioni. L’ultimo esempio di questo gioco truccato fu la candidatura di Corrado Zaganelli, appunto poche settimane prima della scadenza per la presentazione delle liste: una candidatura debole che aveva pochissime chance e a cui l’interessato si sottrasse. Questo gioco del centro destra ufficiale era abbastanza chiaro, ma non per questo l’ambiente delle liste civiche ne aveva compreso a fondo il meccanismo, come lo illustra Calabrese.
Non avevamo neppure fino in fondo capito che il 2014 era per il centro destra un momento di grave debolezza nazionale e che questo non poteva che riflettersi su Perugia. C’era stata la condanna di Berlusconi, la sua espulsione dal Senato, la scissione del Nuovo centro destra, la ricreazione di Forza Italia e parallelamente l’ascesa di Renzi in funzione anti-populista (con vittoria risonante nel giugno successivo). Insomma, il centro destra era alla frutta e questo lasciò spazio all’emergere di una proposta parallela e concorrente, quella dell’aggregazione, poi lista, “Progetto Perugia”. Chi la formò? Calabrese ne attribuisce il merito al suo gruppo, che aveva individuato in Otello Numerini il proprio candidato. Rivendica la sua impostazione di carattere preminentemente civico, la volontà di uscire dai giochi politici e presentarsi in primo luogo con un programma. Certo è che l’idea maturò nel mondo cattolico, anche in contrapposizione con la candidatura, del resto clamorosa, di Pino Sbrenna nelle file dello schieramento di Boccali. Era un’idea coraggiosa che si nutriva degli umori e delle richieste che lievitavano in vari ambienti della città.
Passaggio chiave fu che il centro destra ufficiale, ridotto in un angolo, cercò un accordo con “Progetto Perugia”, intorno alla candidatura di Andrea Romizi di Forza Italia, attraverso i buoni uffici di Fiammetta Modena, allora parlamentare. Per ragioni di età e di formazione di Romizi, l’incontro apparve una possibilità concreta e dopo qualche contorsione diede vita a una candidatura unitaria. La campagna, però, rifletteva l’impostazione del gruppo di Calabrese e fu più aperta e coraggiosa di tutte quelle precedenti.
Come si arrivò alla vittoria? Le cifre del primo turno interpretate sulla carta non lasciavano adito a molte speranze. Il centro destra raggiungeva il 26%, il centro sinistra quasi il 46,5%, con i Cinque Stelle al 19% e le Liste civiche di Barelli e di Wague intorno al 6%. Le liste civiche, videro giustamente nel ballottaggio una finestra di opportunità per porre fine a una situazione ormai soffocante.
Nacque così, dopo vivaci dibattiti interni, la proposta delle liste Barelli e Wague di un apparentamento al secondo turno con Romizi. Non fu facile farla passare, perché vi erano molti umori contrari alla destra in qualunque forma si presentasse, ma ci riuscimmo con la prospettiva di un grande rinnovamento cittadino. Questo apparentamento, e Calabrese lo riconosce, fu importante per l’immagine che proiettò: si creò un fronte di forze eterogenee affatto schiacciato sul centro destra. Fu importante anche la decisione di comporre una giunta fuori dei partiti, composta di personalità e competenze della città. Dopo la vittoria elettorale, clamorosa, ma non del tutto inaspettata viste le vicende che avevano contrassegnato l’aspra campagna, si arrivò alla costituzione della giunta. Calabrese, di fronte al fatto che Vice Sindaco fu nominato Barelli al posto di Numerini, dichiarò la sua sorpresa, ma l’operazione era stata concordata in precedenza ed era frutto appunto di quell’apparentamento. Anche i più navigati, quindi, furono colti di sorpresa.
A noi delle liste civiche parve quasi un miracolo che il centro destra accettasse senza resistenze le nostre proposte. In realtà, oggi lo sappiamo, questo fu possibile proprio per un processo convergente: da una parte le nostre idee molto sentite e forti, dall’altra, già nello schieramento di Romizi era passata fin dall’inizio la proposta, propugnata da “Progetto Perugia”, di mettere da parte le alchimie e le gerarchie. Ci furono, insomma, due piccole rivoluzioni, una maturata in tanti anni di lotte e delusioni del nostro schieramento civico, che pur con pochi voti sentiva di avere mille ragioni alle spalle e l’altra, diciamo una rivoluzione di palazzo, che aveva fatto scendere dagli scanni i signori delle tessere e delle preferenze. Così maturò quella svolta. Senza le liste civiche, tutto il progetto di Calabrese sarebbe probabilmente rimasto per aria.
La giunta si formò con un solo esponente, a parte il Sindaco di Forza Italia, delle forze politiche di destra, Emanuele Prisco, passato della neonata formazione di Fratelli d’Italia. Gli altri erano civici, con Romizi regolatore e mediatore. Calabrese dedica alcune belle pagine a tracciarne i profili e le competenze e ne sottolinea lo spirito di gruppo. Questa è la storia di quella fortunata avventura, per alcuni certo esaltante, per altri forse traumatica.
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La seconda parte del libro racconta alcune vicende della prima giunta Romizi, in modo non sistematico. Calabrese fu Assessore alle infrastrutture, lavori pubblici, Perugia digitale e seguì molti importanti progetti. Alcuni di questi creati e voluti da lui, come la digitalizzazione della città con la banda ultra larga portata all’interno di molti edifici e abitazioni. Il racconto di questi sviluppi è sicuramente appassionante, è la storia di un successo, di interlocuzioni del Comune di Perugia ad alto livello, fino alla partnership con Enel Open Fiber. Per dare un giudizio complessivo mancano, mi sembra, alcuni tasselli e questo rimane una bella cronaca di una vicenda importante che attende però una ricostruzione compiuta.
Molto interessante è la sezione dedicata alla crisi di bilancio che la nuova giunta si trovò sul tavolo appena insediata. Lo sbilancio fra spese ed entrate previste era talmente grave e sembrava condurre inevitabilmente alla procedura di dissesto. Né si vedeva in quelle prime settimane torride dell’estate 2014 una chiara via d’uscita: non era possibile fare risparmi cospicui in pochissimo tempo. Venne in soccorso una legge del governo Renzi che alleviava la situazione dei bilanci comunali permettendo un deferimento delle spese. Romizi e Calabrese istituirono comunque una commissione per la revisione della spesa comunale, che lavorò per circa 6 mesi facendo un’analisi certosina delle singole voci di bilancio, per individuare possibili risparmi futuri. Questo permise poi alla giunta di lavorare con maggiore conoscenza di causa e tagliare molti nodi; una sorta di operazione trasparenza non risolutiva nel breve termine ma utile in termini di conoscenza e di coinvolgimento degli uffici nel medio-lungo periodo. La città rimase distratta, ma anche a livello di comunicazione l’operazione ebbe qualche effetto.
Ci sono poi pagine dettagliate sul rinnovamento dell’illuminazione pubblica cittadina, sulla annosa questione delle buche, vera e propria emergenza, sul riallestimento della chiesa di San Francesco e su altro ancora.
Rimane in chi legge un grande punto interrogativo. Perché fu seguito sempre e comunque il cosiddetto metodo Romizi? Il metodo consisteva nel parlare poco, non denunciare la situazione esistente ma cercare di porvi rimedio alla chetichella. Nasceva sicuramente da una percezione di debolezza: la nuova amministrazione si sentiva circondata da poteri ostili, interni ed esterni, soprattutto da una Regione poco amichevole.
Calabrese non contesta questa scelta, anzi la rivendica, pur essendosi distinto per una certa combattività e indipendenza di giudizio, per esempio quando contrastò la Regione sui progetti di digitalizzazione. Purtroppo, però, questo metodo, gli inglesi lo chiamerebbero “softie softie”, prevalse, è continuato e sembra essersi affermato un po’ fino ad oggi. Le liste civiche lo ritennero del tutto inadeguato e dannoso, anche se la loro influenza, finita la campagna elettorale, scemò rapidamente. C’è stata in città simpatia per il giovane sindaco Romizi, la sensazione di una giunta più aperta e amichevole, ma la consapevolezza di quale fosse stato il lascito delle giunte precedenti mi sembra sia mancata e manchi anche oggi. Credo che una battaglia e una denuncia pubblica, pur senza inutili estremizzazioni, avrebbero arricchito la nostra vita democratica e prodotto risultati importanti per il futuro.
Questo forse indica che c’è ancora spazio per nuove liste civiche nel futuro della politica perugina?
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