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di Veruska Picchiarelli e Marina Bon Valsassina

Contrariamente alle opere degli esordi, la produzione della piena maturità di Perugino non pone grossi dilemmi attributivi, al di là dell’esercizio conoscitivo di distinguere nelle sue imprese – specialmente in quelle di più vaste proporzioni – le mani dei collaboratori che lo affiancavano, per consentirgli di gestire le molte commissioni fra le quali egli si divideva.
Vi è però un’eccezione, rappresentata dalla piccola tavola attorno alla quale è nato l’evento espositivo della Galleria Nazionale dell’Umbria Nunzio incontra Perugino, che ha accolto e dato concretezza, grazie anche a una costruttiva collaborazione di Regione Umbria e Sviluppumbria, a un’idea del collezionista Giuseppe Cascetta: far dialogare due mondi diversi è una sfida impegnativa, perché non sempre due linguaggi artistici riescono a entrare in sintonia, a comprendersi e fondersi, soprattutto quando uno dei due è per sua stessa natura cristallizzato, inamovibile nella sua iconicità, come nel caso di Perugino. Solo un’artista come Nunzio, la cui capacità espressiva e il cui sedimento intellettuale è capace di imprimere dinamismo non soltanto all’opera ma più complessivamente al ‘colloquio’, poteva riuscirci dando, come ha fatto, concretezza fisica ed emozionale al mio sentire. (G. Cascetta, in Nunzio incontra Perugino, Milano, 2022).
Il dipinto del Vannucci con il quale Nunzio ha scelto di colloquiare attraverso le due svettanti sculture in legno combusto realizzate nei mesi scorsi, è la cosiddetta “Annunciazione Ranieri”, un inno alla grazia nel quale si riflette un mondo di imperturbabile armonia dove ogni elemento fisico risponde ai principi dell’ordine e della misura cui ambiva il colto umanesimo rinascimentale.
Le opere, affrontate le une all’altra, sono esposte fino al prossimo 8 gennaio nella Exibition box, uno spazio circoscritto e raccolto che inaspettatamente si apre lungo il percorso espositivo della Galleria, all’altezza della sala 17.
Incurante degli oltre cinque secoli che li separano, quell’opera ha rappresentato per Nunzio quello che Marco Pierini individua come il “sedimento sul quale far sviluppare la propria ricerca. Sedimento che agisce nel (e dal) profondo, tanto da rimanere perlopiù occulto. Al contrario dell’anacronismo, che si alimenta di esempi da rimasticare e ricondurre a un’artificiosa attualità, il sentimento della continuità, dell’inesorabile dipanarsi nel tempo del lavoro artistico, consente un atteggiamento distaccato, il cui esito estremo può benissimo individuarsi nella chiusura da parte dell’artista a ogni ricordo, suggestione, influenza del passato, tanto recente quanto remoto. Oblio delle forme che tuttavia non preclude, se operato con la necessaria consapevolezza, il ruolo fecondo dell’arte antica nella coscienza dell’artista contemporaneo” (M. Pierini, in Nunzio incontra Perugino, Milano, 2022). Non ci si aspetti, dunque, alcuna “derivazione”, né si cerchino echi perugineschi nell’installazione di Nunzio; piuttosto ci si immerga, da visitatori, in quella stessa dimensione metatemporale suggerita dall’allestimento, una penombra nella quale emergono, potenti, le forme imperturbabili della piccola tavola e delle due sculture, unico elemento immediatamente percepibile che, potremmo dire, unisce due linguaggi e spiega – se proprio di una “spiegazione” si senta la necessità – quella corrispondenza di sensibilità che, pur a distanza di secoli, accomuna con palmare evidenza i due artisti.
La mostra è anche, intenzionalmente, il prologo alle celebrazioni peruginesche che accompagneranno nel 2023 il cinquecentenario della morte dell’artista, anniversario che la Galleria sostanzia nella preparazione della mostra “Il meglio maestro d’Italia. Perugino nel suo tempo” dedicata all’artista pievese, al quale si tenta di restituire, dopo mezzo millennio e oltre centocinquant’anni di critica storica viziata da un’ingenerosa e soprattutto inobiettiva visione, il ruolo che gli spettò incontestabilmente per larga parte della sua fortunata carriera e della sua lunga vita: non è solo il più grande dei maestri umbri d’ogni tempo ma per un quarto di secolo almeno fu il maggiore tra i maggiori dei maestri italiani e in tal senso le parole di Agostino Chigi ne rappresentano una testimonianza inequivocabile.
Tornando alla Annunciazione e alla sua misurata eleganza, l’abilissima regia dell’autore conduce il nostro occhio lungo tre piani sequenza. Il primo è occupato da due evanescenti creature. Il messaggio recato da un composto Angelo non genera turbamento nella Vergine, ma appena un moto di sorpresa, che sembra tradito più dal sollevarsi improvviso del velo, che non dal gesto delle mani delicate. Una fitta trama di dorature a conchiglia e a missione accende di lievi bagliori le vesti e le capigliature dei personaggi, oltre alle spettacolari ali del messo divino, che riassumono nel loro contrappunto l’intera tavolozza di bruni e rosati sui quali è giocata la cromia della scena. Il secondo piano è quello dell’architettura. Un cortile improbabile costruito più da vuoti che da pieni, ma chiaramente riferibile al modello del più che reale Palazzo Ducale di Urbino, fa da eco alla verticale della Vergine eretta e alla forma curva dell’Angelo, replicando senza chiasmi le forze e i vettori sui quali si innerva la composizione. Dettagli di assoluta quotidianità, quali l’anta sollevata da una canna per dar luce a un interno immerso nell’ombra, sposati a soluzioni puramente cerebrali, come i due livelli di inutili finestre dalle elegantissime mostre, alzati sopra gli archi ampi e regolari del diaframma di fondo. Una pavimentazione scorciata a intarsi marmorei misura la profondità dell’irreale costruzione verso queste ariose centine, che si aprono su una visione di paese intrisa di luce e vapori. Non un mero paesaggio, questo terzo piano, ma un’epifania di acqua e di aria, tra le quali prendono corpo appena percettibilmente fronde, picchi e cupole.
Interrompiamo qui la disamina del dipinto, sottraendolo volutamente all’analisi storica e storico- critica per consegnarlo, in queste pagine, alla sola percezione visiva che la piccola mostra propone. È infatti il dialogo attuale, quello maturato oggi, nel tempo che viviamo e che Eduardo Cicelyn, giustamente, definisce “convulso e sconclusionato” a catturare la nostra attenzione. Nel dittico scultoreo affrontato al piccolo capolavoro peruginesco, con le due colonne scanalate collocate in posizione sfalzata a inquadrarlo in prospettiva sullo sfondo, quasi si trattasse di un sereno orizzonte irraggiungibile, le forme combuste di Nunzio dichiarano la sua poetica, affermano con forza il suo punto di vista, fermato dalle lignee monumentalità delle due opere. Queste forme sfuggenti invitano, quasi partecipassimo anche noi alla conversazione, a farci avviluppare da quel contrasto, spettatori muti e confusi, costretti a riflettere sul peso e sulla sola spazialità materiale di tutte quelle forme; tutte, appunto, comprese quelle di chi, entrando nella “cripta”, vive e partecipa la strana dimensione instaurata da questo dialogo fuori da ogni temporalità.

Info mostra
Nunzio incontra Perugino
da un’idea di Giuseppe Cascetta
Galleria Nazionale dell’Umbria, 11 novembre 2022 – 8 gennaio 2023 Orari: lunedì 12.00-19.30 / martedì -domenica 8.30-19.30
ultimo ingresso consentito 18.30
Ticket €. 10,00 intero / ridotto €. 2,00