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di Lucio Caporizzi

Il 21 giugno scorso Banca d’Italia ha presentato il Rapporto annuale sull’economia dell’Umbria. Si tratta di un evento sempre molto utile per fare il punto sugli andamenti delle principali grandezze economiche della regione, da parte di un osservatore autorevole ed obiettivo come Banca d’Italia, al di fuori, quindi dello sterile rimpallo tra chi, essendo al governo, presenta un irrealistico quadro rose e fiori e chi, dall’opposizione, replica dipingendo, invece, una situazione fosca e desolante.

LA “NUOVA PERUGIA” DEVE PARLARE A TUTTA L’UMBRIA di G.Rasimelli

Essendo caduto alla vigilia del secondo turno elettorale che ha interessato il capoluogo e la terza città della regione, il Rapporto è stato forse un po’ “coperto”, in termini mediatici, dalla risonanza dei risultati elettorali, in particolare quello di Perugia. Ma ragionare sull’andamento dell’economia regionale e sui rinnovi dei Consigli comunali, cui si va ad aggiungere, tra pochi mesi, quello regionale, è un esercizio che presenta più punti di contatto di quanto si possa immaginare.
Come si presenta, dunque, l’economia regionale leggendo il Rapporto di Banca d’Italia? Non viene fuori un quadro “fosco e desolante”, quello no, ma neanche tale da ispirare fiducia ed ottimismo, anzi!
Lo scorso autunno, come ogni anno, venivano rilasciati da Banca d’Italia gli aggiornamenti delle analisi sull’economia umbra presentati il giugno precedente.
In tale lavoro si segnalava un marcato rallentamento del Pil regionale – dopo il rimbalzo post Covid – in particolare a partire dal secondo trimestre 2023, fino a giungere in territorio negativo verso la fine dell’anno. Tali previsioni vengono confermate dalle stime di preconsuntivo contenute nel Rapporto, che calcolano un incremento per il 2023 di appena mezzo punto percentuale – tutto concentrato nella prima parte dell’anno – valore pari a circa la metà di quanto osservato a livello nazionale (+0,9).
A deprimere l’attività economica hanno contribuito la debolezza della domanda interna ed estera, con in particolare un calo dei consumi e degli investimenti privati, con la rimarchevole eccezione, per questi ultimi, degli investimenti in tecnologie avanzate, rimasti ad un livello elevato.
L’ottima performance del turismo, dove le presenze hanno ampiamente superato i livelli pre Covid (+ 11,8% nel 2023 rispetto al 2019, seppur con una perdurante debolezza dei flussi dall’estero), rappresenta senz’altro un fenomeno positivo, ma non tale da poter invertire il quadro generale.
Anche grazie all’aumento degli occupati, +2,6% (concentrato nella categoria del lavoro dipendente), nel 2023 è aumentato il reddito disponibile lordo delle famiglie ma, per via dell’aumento dei prezzi, il potere d’acquisto è diminuito dell1,1%, valore sensibilmente superiore a quanto osservato per l’Italia (- 0,5%).
Analizzando un periodo più ampio, vediamo che tra il 2007 ed il 2022 il Pil pro capite in Umbria si è fortemente ridotto (-12,4%), mentre nella media delle regioni europee paragonabili all’Umbria è aumentato del 7,5%.
La causa principale del calo del Pil pro capite è da ricercarsi nel calo della produttività (prodotto per occupato).
Pesa, sulle prospettive di sviluppo dell’Umbria, anche la forte crisi demografica, ben inquadrata nel generale calo di popolazione del Paese, all’interno del quale, però, con appena 1,13 figli per donna, la nostra regione si colloca agli ultimi posti come tasso di fecondità. Valore, questo, che scende a 1,09 se si considerano solo le donne italiane.
Negli ultimi 10 anni l’Umbria ha perso oltre 42.000 abitanti, passando dagli 896.742 del 2014 agli 854.137 del 2023, come se fosse sparita una città come Città di Castello e oltre. Tale fenomeno è il risultato di saldi naturali sistematicamente negativi, non compensati da saldi migratori che restano positivi, ma insufficienti a colmare il divario e, peraltro, anche calanti a livello nazionale.
Il crescente flusso in uscita dei giovani laureati rappresenta un altro, preoccupante campanello d’allarme.
Sicuramente gli interventi finanziati dal PNRR daranno un contributo, ma, anche qui, siamo ben lungi da quanto periodicamente annunciato a titolo di propaganda. Sempre il Rapporto di Banca d’Italia calcola, alla data del 7 dicembre 2023, in 1,5 mld di euro il valore degli interventi da realizzare in Umbria dai vari soggetti attuatori, inclusi i Ministeri e le grandi aziende statali come RFI, Anas e Infratel. Siamo ben lontani dalle cifre che, più volte, sono state comunicate dalla Regione! In rapporto alla popolazione, peraltro, abbiamo un valore pro capite che in Umbria è pari a 1.767 euro, contro i 1.902 della media italiana.
E dunque? Dobbiamo rassegnarci ad un trend di lento ma inesorabile impoverimento della nostra regione, con i cervelli in fuga, la popolazione che cala e diviene sempre più vecchia, la capacità di produrre ricchezza che si indebolisce di anno in anno, livelli retributivi sistematicamente più bassi del Centro Nord ?
Si è ricordato all’inizio il rinnovo dei Consigli comunali di importanti centri della regione, ad iniziare dal capoluogo, cui seguirà a breve quello del Consiglio regionale.
Se il tema dei temi è, come è, la produttività che ristagna o, addirittura, diminuisce, ebbene questa non è una criticità la cui soluzione riguardi solo le imprese ed i lavoratori.
La produttività è un tema che investe tutti gli operatori ed attori di un territorio (si parla anche di Produttività Totale dei Fattori), ivi inclusi, ovviamente, gli Enti pubblici e, quindi, chi li governa.
La qualità politica dei governi locali e regionale, la loro proiezione verso il futuro ed il cambiamento, l’efficienza dei servizi pubblici – ad iniziare da Sanità, Istruzione e Trasporto pubblico – le competenze e l’efficacia delle tecnostrutture, con particolare riferimento alla capacità di programmare e progettare l’innovazione, rappresentano altrettanti asset fondamentali per promuovere la crescita della produttività del sistema regionale e, quindi, del suo sviluppo economico.
In particolare è essenziale che chi governa gli Enti pubblici si avvalga di competenze ed esperienze reali e riscontrabili, dove la solidità e qualità dei curricula prevalga sulle affinità e fedeltà politiche.
Non mancano, in Umbria, risorse umane dotate di competenze ed esperienze nel campo dell’amministrazione della cosa pubblica, se solo le si voglia cercare ed utilizzare.
Infine, diversi anni fa questa regione visse l’esperienza del Patto per lo Sviluppo. Non tutto andò bene, in quella esperienza, in particolare con riferimento ad una troppo vaga finalizzazione dell’attività di “concertazione strutturata” all’epoca messa in atto.
Ma le procedure, gli strumenti e le modalità hanno rappresentato un patrimonio che, come spesso avviene, è stato ingiustamente disperso, secondo la prassi, troppo spesso in uso dalle nostre parti, di “buttare via il bambino con l’acqua sporca”.
Si tratta di un’esperienza che, opportunamente riletta ed aggiornata, potrebbe tornare utile, per provare ad invertire o, almeno, arrestare, il trend di declino che i dati, ormai da troppo tempo, ci consegnano.