di Lorena Pesaresi*
La violenza maschile contro le donne accompagna ormai la nostra quotidianità, identifica e aumenta le distorsioni della società. Il copione dei femminicidi, tutti uguali e tutti diversi, si ripete con costanza, ogni giorno e con ferocia. Giulia Cecchettin rappresenta solo l’ultimo, insieme ad altre donne-ragazze scomparse anche in questi giorni, di una catena interminabile e intollerabile di una violenza efferata sui corpi delle donne, di soprusi, abusi e violazioni della libertà femminile.
Non possiamo sottovalutare un fenomeno che ci riguarda tutti a partire dall’ostacolo culturale che impedisce nei fatti azioni efficaci di contrasto. “Cultura” è identificazione di priorità, di valori, di rispetto della persona, di azioni positive per la piena cittadinanza delle donne.
Il punto, data la natura culturale, è dunque anche politico in quanto la difesa della libertà e della vita delle donne non può più aspettare e Il contrasto alla violenza maschile deve essere il frutto di un’azione trasversale non solo delle donne ma anche e soprattutto degli uomini ad ogni livello organizzativo della società e delle istituzioni democratiche.
Non serve “la castrazione chimica” come qualcuno della destra leghista ha affermato anche dopo i recenti stupri di Palermo e Caivano (agosto 2023), esiste il dovere della responsabilità che non si esercita con misure populiste ma con un impegno speciale e corale per favorire una vera rivoluzione culturale, educativa e sociale.
Non bastano misure specifiche contro la violenza, esprimere o sostenere opinioni contro la violenza maschile sulle donne se poi non facciamo nulla, se tutte le idee non diventano fatti concreti all’interno della famiglia sviluppando i valori della “genitorialità”, del rapporto uomo-donna in primo luogo, e poi nella scuola attraverso percorsi educativi mirati ad insegnare il valore del rispetto verso la persona, dell’altro/ dell’altra, dell’affettività, della sessualità…. In sintesi, se non riusciamo a sradicarne la causa: l’asimmetria di potere da cui nasce la violenza, in primo luogo quello maschile nella famiglia, sul posto di lavoro, nei percorsi professionali, nella società.
Per questo serve mettere il tema al centro dell’agenda politica a partire dalle istituzioni, come anche dei media per il potere enorme di persuasione che esercitano nell’opinione pubblica, affinché l’intervento pubblico non vada speso solo nelle emergenze ma costituisca il perno di uno Stato e di un Paese che voglia definirsi colto, moderno, capace di prevenire e contrastare le distorsioni della società, per le gravi implicazioni che la violenza sulle donne comporta nella vita delle persone, delle comunità locali, di una città, nella società. La sua assenza o inadeguatezza può costituire ancor più lo specchio della distanza tra politica e società.
Siamo costantemente impegnate anche come Fondazione Nilde Iotti con la sua Presidente On. Livia Turco con tante donne e uomini aderenti, a realizzare iniziative e progetti, insieme anche alle scuole e a tante amministrazioni locali tra cui anche il Comune di Perugia, attento da tempo alla questione di genere nelle scuole come nella famiglia e alla costruzione di percorsi di fuoriuscita delle donne vittime di violenza grazie anche ai primi due Centri Antiviolenza realizzati a Perugia e a Terni nel 2013 con il progetto “Antiviolenza” da me promosso e realizzato come Assessore alle pari opportunità della mia città di Perugia dal 2009 al 2014. Un Progetto che oggi sta muovendo nuovi passi con l’attuale assessore comunale Edi Cicchi anche sul fronte di azioni necessarie nella prevenzione e recupero di uomini maltrattanti.
Ecco io credo che costruire un’alleanza tra Uomini e Donne insieme per una vera rivoluzione culturale, educativa e sociale contro la violenza maschile sulle donne, sia la via maestra per un “Patto di civile convivenza tra i sessi” per agire non contro una “generica” violenza maschile sulle donne, ma attraverso nuove azioni del vivere civile anche e soprattutto verso gli uomini maltrattanti, convinti che la violenza sulle donne non può essere riconducibile solamente ad un mero problema di ordine pubblico e di sicurezza, ma ad una grave “patologia” sociale che in quanto tale va trattata con le dovute attenzioni e forme di prevenzione.
Da un lato bisogna dire che gli uomini non sono tutti uguali e non sono di certo tutti autori o potenziali autori di violenza, ma il problema sta nel fatto che in troppi sottovalutano il fenomeno e che, in modo consapevole o inconsapevole, finiscono per contribuire nella realtà a rafforzare un sostrato subculturale da cui la violenza deriva che ha origine nel “potere maschile patriarcale” a cui molti uomini sono ancora legati per eredità del passato e in cui si rifugiano in un’epoca e in una società che si manifesta fragile e piena di incertezze. Dobbiamo dunque interrogarci ad esempio sul perché il 40% circa degli uomini (dati ISTAT 2023) nega l’esistenza della violenza sessuale, come mai il 19,7% pensa che “le donne possano provocare la violenza sessuale con il loro modo di vestire” e perché il 16% di giovani ritiene sia accettabile che “un uomo controlli abitualmente il cellulare o i social della propria compagna”. Sono tutti segni di quanto riscontriamo ogni giorno: una diffusa cultura del possesso che dobbiamo insieme sradicare..
D’altro canto è innegabile che noi donne dobbiamo ripensare molte cose. Dobbiamo maturare la consapevolezza e trovare la forza per ridefinire i percorsi di autodeterminazione e nuove regole del vivere civile nella lotta contro il maschilismo che sta alla base degli squilibri di genere in ogni contesto organizzativo e sociale.
Insomma, non bastano le leggi, ne abbiamo fin troppe, dobbiamo forse meglio applicarle per renderle più efficaci sia sotto il profilo processuale e penale che sociale, nella prima consapevolezza che la violenza sulle donne è un problema di TUTTI e non solo di chi la subisce.
Le leggi servono e serve un regime sanzionatorio adeguato ad un fenomeno così devastante ma pensiamo che nessuna norma possa essere sufficiente se non cammina assieme a un profondo cambiamento culturale del nostro modo di pensare e di agire nella vita normale di tutti i giorni che deve inevitabilmente investire uomini e donne insieme, ragazze e ragazzi, padri e madri.
Nessuna sentenza sarà realmente efficace se non viene accompagnata da una profonda azione di prevenzione e di supporto, anche finanziario, alle attività di sostegno, psicologico e materiale, alle vittime.
E’ importante impegnarsi in tale direzione. Far sentire una voce che dia sicurezza, far percepire all’esterno i servizi di prevenzione (esistenti ormai in tutte le città) come luoghi utili, “amici” e solidali delle donne vittime di violenza e dei loro figli, è fondamentale per far emergere la violenza dall’omertà.
Ed è ormai ineludibile l’attenzione verso gli autori di violenza nella consapevolezza che la violenza contro le donne non è un problema solo delle donne ma prima di tutto degli uomini. Sono gli uomini a doversi interrogare su come mai altri uomini che sono nella vita persone normali e quasi sempre insospettabili, diventano capaci di produrre violenze così inaudite sulle donne. Se gli uomini non fanno questa fatica e non si assumono questa responsabilità le cose non potranno mai cambiare.
Gli uomini (e non solo le donne) impegnati nelle istituzioni devono dare il buon esempio. Devono avviare questa riflessione chiamando in campo in modo esplicito la responsabilità maschile e proponendosi essi stessi di diventare protagonisti di una nuova cultura maschile che superi la “concezione proprietaria della donna” per costruire relazioni di vero e profondo scambio umano e culturale di riconoscimento della bellezza, della reciproca differenza e di una reale parità.
Gli uomini e non solo le donne delle istituzioni nazionali e locali devono porre ogni giorno al centro dei discorsi pubblici la lotta contro la violenza sulle donne e devono impegnarsi affinché nelle scuole siano introdotti percorsi di “educazione alla sessualità, all’affettività, al rispetto, alla relazione maschile e femminile” nel tentativo di costruire una nuova grammatica dei sentimenti.
Per tutto ciò anche l’iniziativa che sta maturando con il progetto del Comune di Perugia, grazie alle risorse ministeriali, sul bisogno estremo di impegnarsi anche in Umbria su chi agisce violenza e non più solamente verso chi la subisce attraverso la creazione del primo Centro di riabilitazione per uomini maltrattanti, può rappresentare un esempio concreto nella prevenzione della violenza e di come si piò rendere davvero “sostenibile” una città dell’oggi e di domani.
Un obiettivo, questo, che deve servire ad imprimere, insieme ai Centri Anti Violenza (CAV) presenti anche in Umbria e nell’ottica di una nuova visione della prevenzione e contrasto alla violenza maschile contro le donne, una svolta decisiva al funzionamento dell’attuale Sistema dei servizi antiviolenza dell’Umbria. Ciò nella consapevolezza, come ormai noto, che agire sui maltrattanti sia la prima prevenzione per una coppia o una famiglia: il maltrattamento causa paura e può risultare in un danno psicologico profondo, può arrecare danni fisici permanenti e addirittura portare alla morte.
Siamo cioé convinti che il fenomeno della violenza tra i sessi, nella sua complessità, sia un fenomeno organico e strutturale che per contrastarlo non è sufficiente intervenire nel supporto alle “vittime” per sostenere i loro processi di autonomia e fuoriuscita da dinamiche di violenza: è necessario intervenire anche sui comportamenti degli autori e non solo a posteriori, quando la violenza è compiuta. Il lavoro di supporto alle donne vittime di violenza e quello con gli autori vanno considerati parte integrante, e non in contrapposizione o in competizione, di un’unica attività di contrasto dello stesso fenomeno, a partire dal bisogno impellente di un mutamento culturale più ampio per eliminare ogni forma di violenza e sopraffazione nelle relazioni di genere.
Solo così possiamo pensare di sostenere le donne in un percorso di autonomia e accompagnare gli uomini a misurarsi con l’autonomia femminile e a non percepirla come una minaccia per la propria identità.
Solo così potranno avere un senso le nuove politiche di governo delle nostre città e solo mettendo al centro tale problema chiave della convivenza civile nei tanti Tavoli di lavoro (tra capriole varie, campagne acquisti, salti della quaglia di quello e quell’altro da un partito all’altro) aperti alla partecipazione cittadina e regionale da parte di tutti gli schieramenti politici dell’Umbria per la costruzione dei programmi per le prossime sfide elettorali che ci attendono nel 2024 sia per le elezioni comunali che regionale, i cittadini potranno realmente percepire un cambio di passo della politica locale e regionale nell’esercizio delle responsabilità nel governo delle città che cambiano.
Nessuna città potrà mai diventare o dichiararsi “sostenibile” o “smart” fin quando si assisterà allo scempio quotidiano della violenza contro le donne…
*Fondazione Nilde Iotti ed ex assessore Comune di Perugia
La guerra ispirò gli artisti, rari i pacifisti. Ora è un videogioco