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L’annosa questione del restauro dell’acquedotto medievale di Perugia è arrivata ad una svolta. Il continuo impegno di un folto e qualificato gruppo di cittadini, che hanno imposto il tema all’attenzione dell’opinione pubblica, ha portato alla firma di una intesa fra i volontari e il Comune per salvare l’acquedotto. Quello formalizzato è un vero e proprio “patto di collaborazione”, una figura giuridica prevista dalla Costituzione. Questa “formalizzazione” è plasticamente rappresentata dalla copia del rilievo planimetrico settecentesco di Cervellati che, rintracciato dai volontari, è ora squadernato, in tutti i suoi quattro metri acquarellati, sul tavolo della Giunta di Palazzo dei Priori. Adesso occorre trovare i soldi. Circola però con insistenza la voce che per il restauro dell’opera potrebbe impegnarsi Brunello Cucinelli. Sarebbe una garanzia di qualità e di efficienza. Nell’articolo di seguito Fabio Ciuffini spiega che cosa è il rilievo di Cervellati e cosa comporta la firma del “patto di collaborazione”.

di Fabio Maria Ciuffini

Nel 1733 il Comune di Perugia incarica il Geom. Cervellati di fare finalmente un rilievo dell’acquedotto medievale. Sono passati ben 453 anni dall’inaugurazione della Fonte Maggiore alimentata dal primo acquedotto del 1254 e 411 da quello del 1322, che lo sostituisce ed è in funzione all’atto di quella delibera. Quell’opera geniale frutto dell’inventiva e dell’intraprendenza dei nostri antenati del XIII e XIV secolo è probabilmente ridotta in pessime condizioni. L’orgoglio dei perugini, la città dove a meraviglia di tutti l’acqua “va per l’insù”, periclita. È possibile fare un’ipotesi sulla motivazione di quell’incarico: è documentata infatti una lunga teoria di crolli e rifacimenti di intere arcate, occlusioni e crolli di bottini (le lunghe gallerie che “traforavano I monti”) rotture dei tubi forse per eccesso di pressione ma forse anche per rubare piombo o acqua per irrigare campi e orti. Insomma secoli di continui problemi e di continue polemiche sulla gestione dell’opera e addirittura sulla sua stessa esistenza. E continua il tira e molla tra chi vuole eliminarlo (magari sostituendolo con una riserva di acqua piovana da costruirsi a Porta S. Angelo) e chi contrappone il servizio pubblico dell’acquedotto a quello privato dei pozzi domestici. In più ci sono voci e accuse di malversazioni e l’idea diffusa che qualcuno, nella gestione dell’opera, ci
guadagni più del lecito. E che le temute o riscontrate malversazioni siano da imputare alla scarsa e forse voluta non conoscenza delle sue caratteristiche: quanti archi, con quanti piloni e dove, quanti bottini, quante riserve d’acqua e in che stato di manutenzione? Fra l’altro, gli antichi disegni sono spariti, sempre che ci siano stati. Dunque i progressisti che all’epoca tengono duro sulla querelle dell’acquedotto, capiscono che di quella faccenda della mala gestione si deve venire a capo e decidono che è giunto il momento di capirci qualcosa. E si commissiona così a quel Geom. Cervellati (un antenato del famoso omonimo urbanista? ) un accurato rilievo sia planimetrico che altimetrico.
Le arcate dello Spinello oggi e come rilevate dal Cervellati
Cervellati si mette al lavoro e consegna un meraviglioso disegno debitamente acquerellato, a metà strada tra ingegneria e maestria pittorica, lungo circa 8 metri ed alto due che riporta accuratamente ogni componente di quell’opera così contestata e testimonia così anche della volontà di tenerla in vita e restaurarla. Purtroppo, come già ricordato su queste pagine, solo sei decenni dopo quella decisione l’acquedotto simbolo di progresso fu distrutto dai Sanfedisti e cessò di funzionare per sempre. Le sue tubature di piombo furono fuse e date in cambio della fornitura di tubi di ferro dell’acquedotto del Cerrini, ma l’insieme delle sue opere d’arte – le archeggiature, le riserve d’acqua, i ponticelli – restò in vita. Forse l’acquedotto fu persino manutenuto dalle Amministrazioni Comunali che si susseguirono nell’’800 e nei primo del ‘900. Le foto lo danno ancora in buona salute agli inizi dello scorso secolo e posso testimoniare io stesso di averlo visto saldo in piedi negli anni ‘60. Purtroppo, cessato qualsiasi intervento manutentivo, ne restano oggi, oltre agli antichi conservoni, solo qualche malinconico pilone dell’antico viadotto delle Piagge, alcuni archi di quelli dello Spinello e di Ponte D’Oddi: quasi crollanti ma ancora maestosi da vedere.
E il rilievo del Cervellati? Per fortuna fu salvato e si trova oggi presso l’Archivio di Stato dove l’hanno scovato e riprodotto i volontari del Gruppo “Salviamo l’acquedotto medievale”.
Così questo 14 Giugno una sua copia, in versione ridotta ma pur sempre lunga oltre quattro metri, occupa in tutta la sua lunghezza il tavolo della Giunta, a palazzo dei Priori, in Sala Rossa: in quello stesso Palazzo, e forse nella stessa Sala in cui fu dato l’incarico di fare quel rilievo. Ipotesi romantica, ma con qualche fondamento. E quel rilievo, mostrato in quella Sala, assume un sicuro valore simbolico.
Significa che il Comune di Perugia riconosce il grande valore storico ed architettonico dell’acquedotto medievale, ne rivendica il possesso, si ripromette di giungere alla sua messa in sicurezza e restauro ed a cercare i finanziamenti necessari. In più si impegna a compiere tutti i passi tecnici ed amministrativi per tutelare l’opera nella sua interezza, incluso il tracciato da inserire finalmente in PRG oltre a chiedere su di esso l’apposizione del vincolo di legge dovuto “alle cose di interesse artistico e storico”, finora limitato solo ad alcuni dei manufatti. E questo come indispensabile premessa per il suo inserimento nella programmazione finanziaria del Comune e degli Enti di tutela.
È come dare una seconda vita a quell’incisiva testimonianza delle antiche glorie cittadine fin qui dimenticata a favore della Fonte Maggiore che pure è nata per accogliere le acque che quell’acquedotto portava da Monte Pacciano. Ed anche a riconoscere i meriti di un gruppo di volontari che hanno posto all’attenzione del Comune e della cittadinanza il grande valore di un’opera che senza quell’attenzione rischia di sparire sia fisicamente che dalla memoria e dalla cultura perugine. Quel gruppo, di cui mi onoro di far parte, da poco meno di un anno ha iniziato informalmente l’attività che la firma del Patto di Collaborazione finalmente ufficializza.
Cosa è un “Patto di collaborazione”? È uno strumento addirittura previsto in Costituzione (art.118 ) e che “riconosce il principio di sussidiarietà orizzontale e affida a soggetti che costituiscono la Repubblica il compito di favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale”. Principio accolto da Comune di Perugia con una delibera del 2017.
Il Patto si articola in tre fasi. La prima, sostanzialmente già compiuta, prevede un’indagine “sui manufatti e sulle aree interessate” e sulla situazione proprietaria oltre al riconoscimento dei tracciati degli acquedotti da Monte Pacciano (1254, Fra Plenerio e Fra Bevignate – 1322, Fra Vincenzo e fratelli Maitani – 1827, Cerrini), “inquadrati nella attuale rete acquedottale”.
La seconda, la “raccolta di tutto il ricchissimo materiale bibliografico, cartografico e documentale esistente sull’acquedotto, ivi inclusa tutta la documentazione in possesso dell’Amministrazione Comunale anche riguardante passate attività ed interventi sul tema nonché la sua riproduzione informatica finalizzata alla creazione di un centro di documentazione sull’acquedotto” – dunque il suo restauro culturale e la sua storia tecnica – oltre al censimento “delle permanenze di ogni tipo e del loro stato: archi acquedottali, gallerie filtranti, cunicoli, serbatoi e conservoni, bottini di raccolta, vene di sussidio, eventuali esemplari delle tubature d’epoca o altro nonché una completa ricognizione archeologica lungo i tracciati finalizzata al reperimento di manufatti o loro resti attualmente non visibili la cui esistenza venga testimoniata dalla documentazione”. Operazione anche essa in gran parte compiuta sulle parti visibili dell’acquedotto.
La terza fase finalmente prevede la progettazione e l’esecuzione degli interventi necessari alla messa in sicurezza ed al restauro fisico delle opere, alla loro accessibilità con mezzi meccanici, alla creazione di nuovi sentieri e percorsi pedonali di visita lungo il tracciato dell’acquedotto del 1322, “inteso come corridoio verde di collegamento tra Monte Pacciano e Perugia con la possibilità di fruizione delle opere”. Infine si prevede il recupero di tutte le acque captate dalle antiche vene ed oggi disperse recuperando così, almeno in parte, la funzione primaria di quell’opera. Il patto dà seguito alla delibera di Giunta n. 125 del 29.03.2023 ed in ognuna delle tre fasi la titolarità finale delle progettazioni e delle ricerche sarà del Comune di Perugia; i volontari offriranno però
un’azione di assistenza nei confronti del Comune, nella persona dell’Ing. De Micheli “Dirigente Area Governo del Territorio e Smart City”.
Le associazioni “Centro socio Culturale Monte Grillo”, “Circolo Ponte D’Oddi A.P.S.”, “Parco del Rio e del Bulagaio”, “Monti del Tezio”, “Vivi il Borgo” oltre alla Deputazione di Storia patria ed al CAI, hanno firmato il patto che avrà durata cinque anni, insieme a tre singoli cittadini, Cinzia Cicognola, Olindo Stefanucci e Fabio Maria Ciuffini.
Alla firma del Patto, oltre ai rappresentanti delle Associazioni è presente l’assessore Numerini, l’ing. De Micheli, la Dott:ssa Fioriti e il Geom. Mirko Rinaldi per conto del Comune. Con la firma si continua il percorso amministrativo già iniziato, che dovrebbe implicare l’assegnazione di fondi, anche limitati, nei piani poliennali di finanziamento del Comune. C’è anche da dire che finora i proprietari delle aree occupate dai resti dell’acquedotto hanno dimostrato ampia disponibilità a favorire le operazioni di recupero e gliene va dato atto. Ma il percorso operativo ha bisogno di alcune spese, anche minimali, da poter utilizzare subito. E la scarsella del Comune è desolatamente vuota.
Eppure, solo per iniziare uno studio di fattibilità va garantita l’accessibilità con mezzi meccanici alle opere da mettere in sicurezza e restaurare, il decespugliamento che consenta di accedere almeno pedonalmente a tutta la fascia di terreno impegnata dagli archi dello Spinello, di Ponte D’Oddi e delle Piagge per effettuare la rilevazione esatta sia geometrica che fisica di tutti i resti ancora visibili di quegli antichi manufatti, e infine,
la possibilità di verificare con adatte apparecchiature l’esistenza e lo stato di opere o loro parti non direttamente visibili e dunque le fondazioni ed il loro stato, nonché i bottini e le archeggiature di cui si conosce l’ubicazione sulla base del rilievo del Cervellati ma che sono state interrate o parzialmente demolite. E c’è da completare anche lo studio vegetazionale, per liberare le arcate residue dai rampicanti che le soffocano e che ne occludono completamente la vista come a Ponte D’Oddi.
Nella foto a sinistra la vista Nord degli Archi dello Spinello, in quella a destra la massa vegetazionale che occlude completamente due arcate degli Archi di Ponte D’Oddi ancora in buono stato
Dunque occorrono fondi, sia pure di non grande entità, da spendere immediatamente, anche per poter procedere ad es. alla stampa dei libri, come quello fondamentale per la storia dell’acquedotto di Luigi Belforti, che sono stati trascritti in modo da favorirne la leggibilità. E questo è veramente un problema da risolvere.
Come? Intanto occorre una presa di coscienza da parte della collettività perugina e di tutti gli Enti che in essa operano. Per questo, con una prossima conferenza Stampa/Evento in cui sarà data una completa informazione, anche visiva, sullo stato attuale dell’acquedotto e sullo stato avanzato del Centro di Documentazione, il Gruppo, oltre a fare il punto sulla sua attività presente e futura, spera di portare il problema all’attenzione dei mezzi d’informazione e della cittadinanza.
Le foto evidenziano lo stato precario in cui versano le arcate di Monte Spinello. Su una di esse sta crescendo addirittura un olivo. Quanto reggeranno ancora?