di Sud
Nel 1917, dopo aver assistito alla prima torinese di Liolà, Antonio Gramsci, allora critico teatrale dell’Avanti, scriveva queste parole: «Pirandello è un umorista per partito preso». Nei romanzi le sue intuizioni sono come sommerse «in una palude retorica di moralità inconsciamente predicatoria, e di molta verbosità inutile». Al contrario, in Liolà il riso nasce dalla «pura rappresentazione», come nei drammi satireschi dell’antica Grecia.
Malgrado ciò Liolà fu un insuccesso, forse perché non si conclude, scrive sempre Gramsci, con «il sangue o il matrimonio». Ma più probabilmente perché il pubblico non era in grado di comprendere le finezze del dialetto girgentino in cui Pirandello volle scriverla. Le cose cambiarono con l’uscita delle traduzioni: in italiano nel 1928, in napoletano, recitata dai De Filippo, nel 1935, e persino in inglese, per la prima al Bloomsbury Theatre del 1982.
La commedia si apre con una scena corale: sette donne, sedute su due panche ad angolo, schiacciano mandorle, picchiandole tra due pietre tenute sulle ginocchia. Mentre lavorano, ad accentuare la coralità e la ritualità della scena, le donne cantano La Passione, una sacra rappresentazione popolare che ha dato molto da fare a filologi ed etnomusicologi. In tutt’altro contesto, le mandorle erano presenti anche nel romanzo del 1909 I vecchi e i giovani.
Mauro Mortara, personaggio ispirato a un patriota risorgimentale conosciuto da Pirandello, è avvelenato da un droghiere che, «invece d’una pozione d’olio di mandorle dolci, gli aveva dato forse olio di mandorle amare». In realtà l’olio di mandorle, centellinato come aroma in pasticceria, è sempre estratto dalle velenosissime mandorle amare. Quelle dolci, povere di benzaldeide (la molecola volatile dell’acido cianidrico), “sanno” poco di mandorla.