di Sud
Nei principali dizionari italiani, alla voce “pasticcino” si legge che il nome è un diminutivo di “pasticcio”, ma che semanticamente rimanda direttamente alla parola base “pasta” (intesa come dolce). In un’accezione estesa comprende di fatto tutti i dolci di piccole dimensioni, la cosiddetta “pasticceria mignon”. A Napoli il “pasticcino” è un dolcetto di pasta frolla non piccolissimo (non si mangia in meno di due morsi), ripieno di crema e amarena.
Molto simili al pasticcino napoletano sono il “pasticciotto” salentino, e il “bocconotto”, diffuso in tutto il meridione. In tutte e tre le varianti meridionali la pasta frolla è, come d’usanza, a base di strutto e non di burro. La forma solitamente è tonda, tranne che nelle “varchiglie” (barchette), tipiche di Cosenza, di forma ovale. Il ripieno, oltre che di crema e amarena, può essere di ricotta, pasta di mandorle, marmellata.
Nel resto d’Italia, quando si parla di “pasticcini” (declinati quasi sempre al plurale), si intende per lo più parlare di biscottini da the, a base di pasta frolla montata, ricoperti per metà di cioccolato o decorati con ciliegie candite. Pasticcini di questo genere recitano una parte di rilievo in Schiavo, uno degli inquietanti racconti di Buzzati, uscito nella raccolta Il colombre, pubblicata da Mondadori nel 1966 con la bella sopracoperta disegnata dallo stesso Buzzati.
L’anziano Luigi, tornato a casa prima del solito, vede Clara, la giovane moglie, preparare pasticcini. Ma la gratificazione si tramuta subito in inquietudine, quando si accorge che, sotto ogni ciliegia, la moglie sparge una polvere bianca. L’uomo, convinto che la moglie lo stia avvelenando, le chiede spiegazioni. Che farà il povero Luigi quando quella si indignerà per la sua mancanza di fiducia e minaccerà di lasciarlo? Mangerà o no i pasticcini?