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di Gabriella Mecucci

Le trasmigrazioni all’interno della politica umbra si moltiplicano. Adesso è agli onori della cronaca il centrodestra. La nave della Lega sta affondando e da tempo è iniziata la grande fuga. Qualche giorno fa se ne sono andati ben due consiglieri regionali. Il primo, Stefano Pastorelli era addirittura il capogruppo a Palazzo Cesaroni. Sembra molto probabile che approdi in Forza Italia. Questo dicono i rumors e questo farebbero pensare le sue dichiarazioni che suonano come una critica esplicita all’estremismo di Salvini. Il secondo consigliere regionale che ha abbandonato l’ormai malridotto vascello salviniano è Daniele Nicchi che è confluito in Fratelli d’Italia. Ma il si salvi chi può era partito in modo spettacolare a Terni quando nel 2023 l’allora sindaco leghista rimase in Consiglio
comunale con soli due fedelissimi, gli altri lo mollarono. Uno spettacolo indecoroso quello di Palazzo Spada con ben 32 cambi di casacca che non riguardarono solo il Carroccio ma investirono un po’ tutti. Ne approfittò Stefano Bandecchi che diventò sindaco. Da allora il fenomeno delle trasmigrazioni è continuato. La quasi totalità dei partiti e dei movimenti civici è stata toccata da questo allegro “oggi qui, domani là” che è andato ben oltre i due Comuni capoluogo.

Intendiamoci, cambiare idea non solo è lecito, ma in alcuni casi è segno di intelligenza e di senso di responsabilità, soprattutto quando la storia impone un profondo ripensamento. Quello che sta avvenendo nel centrodestra umbro però somiglia piuttosto ad un fenomeno di gattopardismo. “Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”, spiegava Tancredi allo “zione”. E mai fu trovata frase più azzeccata per definire il carattere degli italiani. I gattopardi di Tommasi di Lampedusa avevano però un’aristocratica dignità, oltrechè un progetto politico di conservazione dei loro privilegi. In Umbria ci sono soltanto dei gattopardini, o meglio dei piccoli camaleonti che non hanno nulla in comune col principe di Salina. Questo non vuol dire che ciò che sta accadendo non abbia importanti conseguenze politiche: gli equilibri di potere interni al centrodestra ne usciranno probabilmente profondamente ridisegnati. Del resto come immaginare che possano
essere gli stessi di quando la Lega prendeva il 37 per cento?

Lo sfarinamento del Carroccio, a cui potrebbero seguire a giugno dati elettorali poco confortanti, rafforza ad esempio l’ipotesi che la ricandidatura di Donatella Tesei non solo non sia certa, ma al contrario sia minacciata da almeno due possibili sostituti: Andrea Romizi e Paola Agabiti. Il sindaco uscente spera che la lista, dove campeggia il suo nome, raggiunga un risultato a due cifre (15per cento?). Se così fosse, avrebbe buone speranze nella corsa a sostituire Tesei. Ha fatto una campagna acquisti di successo, ma non tutte le ciambelle riescono col buco. Forse ha candidato troppi primi ballerini e circolano voci che fra loro ci sia un bel po’ di maretta. La lotta per conquistare un seggio sarebbe al calor bianco. Troppi galli a cantare?
Quanto a Paola Agabili ha dismesso la casacca civica e ha aderito a Fratelli d’Italia, il partito del centrodestra che prenderà, e di gran lunga, il maggior numero di voti. E’ opinione diffusa che sia stata la migliore assessora della giunta Tesei, ed è inoltre espressione di una famiglia di imprenditori molto importante. A conferma della sua
possibile candidatura alla presidenza ci sarebbe il gelo che è sceso nei rapporti con Tesei, di cui un tempo era la più importante sostenitrice.

Alle acque agitate del centrodestra e agli abissi leghisti corrispondono le difficoltà del centrosinistra. Intanto anche qui c’è stata più di una defezione. Le più spettacolari riguardano l’approdo ai porti di centrodestra di Andrea Fora (ex civici di centrosinistra) e di Emanuela Mori (ex Pd e ora Italia Viva). Due gattopardini, ma nulla di più. Non è questo però il guaio più serio per Vittoria Ferdinandi. Forse il vero problema è rappresentato dai ferri corti a cui sono arrivati Schlein e Conte. Il campo largo a Perugia, in altri Comuni dell’Umbria e dell’Emilia regge, ma altrove fa acqua un po’ dappertutto. E ciò non aumenta la credibilità della formula, anzi la rende più fragile. In molti insomma cominciano a pensare che non avrà un grande futuro.

L’Umbria per la verità è stata governata molto a lungo da un’alleanza non ripetibile a livello nazionale. Qui i socialisti governavano coi comunisti, mentre a Roma governavano coi democristiani. E nemmeno Bettino Craxi, che non lesinava critiche al Pci, pensò di rompere quell’alleanza. Solo il primo centrosinistra (anni Sessanta) mandò i comunisti all’opposizione, ma solo in alcuni Comuni. Gli umbri sono quindi abituati alle alleanze anomale. Cosa peserà di più nelle amministrative umbre: la crisi del rapporto privilegiato Conte-Schlein o la tenuta di questo in Umbria? Per essere più espliciti: i voti pentastellati si sommeranno a quelli democratici, oppure sceglieranno altre strade visto che ormai il campo largo potrebbe avere un futuro corto?