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di Sud

Chi ha vissuto a Roma tra gli anni ’60 e ’70 ricorderà senz’altro il personaggio del “fusajaro”. Nelle piazze o agli incroci, in centro come in periferia, il venditore di lupini e olive, coi suoi due secchi, il mestolo bucherellato e il “cornetto” del sale, era una figura immancabile. Aspettando l’autobus o un amico ritardatario, non c’era niente di meglio di un bel “cartoccetto”, arrotolato con maestria nella misura corrispondente alla capacità di spesa.
Oggi quelle olive grandi, dolci e verdi, da mangiare fuori pasto, sono passate di moda, soppiantate (forse giustamente) da varietà più saporite, ottimo complemento di antipasti e fondamentali come ingrediente di tante ricette. I lupini poi sono quasi scomparsi, e solo qualche bistrot col gusto del vintage li propone come originale appetizer, o in accompagnamento a una birra o a un calice di prosecco.
Un tristissimo fusajaro lo si incontra leggendo La macchina mondiale di Paolo Volponi, il suo secondo romanzo, pubblicato nel 1965 da Garzanti e vincitore dello Strega. È il racconto disperato di un contadino marchigiano, che coltiva in un trattato filosofico la sua idea di comunismo lucreziano-olivettiano (Volponi fu a lungo vicino ad Adriano Olivetti) e intanto vive donchisciottescamente la sua ribellione contro l’ordine costituito.

Venuto a Roma alla ricerca della moglie scappata di casa, e pensando di avere così anche l’occasione di confrontare le sue idee con il mondo accademico (che ovviamente lo prende per pazzo), trova lavoro prima in un circo, poi, appunto, come fusajaro. In strada combina poco, così la padrona lo sposta in cantina, dove «l’odore dei lupini e delle olive che marcivano nel sale» placano, ma solo per un attimo, la sua smania di rivolta.