di Sud
In tutti i libri di Primo Levi c’è una vena umoristica; persino in Se questo è un uomo, una “commedia” (in senso dantesco) come l’ha definita un bravo critico. La tregua, pubblicata da Einaudi nel 1963, è una delle opere nelle quali emerge più nitido l’umorismo “borghese” e “leggero” di Levi, così contrastante col contesto tragico: la liberazione da Auschwitz, gli incubi del Lager che ritornano, i pericoli, la fatica e la fame dell’estenuante ritorno a casa. Una delle scene più divertenti del libro ha come protagonista Cesare, ebreo romanissimo, cresciuto tra il Ghetto e i banchi di Porta Portese. «Io stasera voglio fare festa, e mi voglio fare una gallinella arrostita» – dichiara Cesare – «e fu inutile rappresentargli» – commenta Levi – «che trovare un pollo di notte, in mezzo alle paludi del Pripet, senza sapere il russo e senza soldi per pagarlo, era un proposito insensato».
Nella pianura dove quarant’anni dopo sarebbe esplosa la centrale di Chernobyl c’è solo un villaggio, abitato da donne, vecchi e bambini. La prima accoglienza è un colpo di fucile, ma poi inizia la performance: a parole e bestemmie, con la mimica e infine con il disegno, i «russacchiotti» (così li chiama Cesare) arrivano finalmente a capire che gli «italianski» vogliono solo un pollo, e offrono in cambio sei piatti di terraglia.
«Non c’è bisogno di un grande intelletto per cuocere un pollo, eppure il mondo è pieno di pessimi rosticcieri». Così, più o meno, recita una massima di Vauvenargues citata da Croce. Non credo che le parole del moralista francese siano passate per la mente di Primo Levi in quella tiepida sera di fine luglio del 1945. «Riaccendemmo il fuoco, cucinammo il pollo e lo mangiammo in mano, perché i piatti non li avevamo più».