di Porzia Corradi
Joyce Lussu, una donna in prima linea, di cui forse troppo poco si conosce l’impegno. Si deve alla scrittrice Silvia Ballestra, che è riuscita a portarne la biografia tra i finalisti del premio Strega 2023, l’ultimo appassionante ritratto di Lussu, partigiana, scrittrice, traduttrice e terzomondista, che ha attraversato il Novecento da protagonista senza però mai ricoprire incarichi istituzionali e politici.
“La Sibilla”, poco più di 200 pagine, è la ricostruzione della vita di una delle donne più anticonformiste che si sia mossa nel secolo scorso e che l’autrice ha conosciuto direttamente, incontrandola più volte nella sua casa tra le campagne di Porto San Giorgio (Fermo). Come per i grandi uomini ormai scomparsi di questo paese, ad accendere quel fuoco che alimenta la ricerca di uguaglianza, giustizia e diritti è stato l’antifascismo. Anche per Lussu, nata Gioconda Beatrice Salvadori Paleotti, infatti, la macchina della violenza nera, che ha colpito ferocemente il papa, l’ha spinta a scrivere: “Giurai a me stessa che mai avrei usato i tradizionali privilegi femminili: se rissa aveva da esserci, nella rissa ci sarei stata anch’io”. Una promessa a cui non è mai venuta meno non solo nel contributo offerto alla Liberazione insieme a Emilio Lussu, ex deputato del Partito sardo d’azione, che Joyce ha sposato due volte, la prima durante l’occupazione di Parigi e la seconda al nono mese di gravidanza all’indomani della Liberazione di Roma. Giustizia e Libertà (GL), il movimento antifascista sorto a Parigi nel 1929, è il punto in comune tra Joyce ed Emilio, anche lui, tre le altre cose, scrittore. Ed è proprio un militante di GL a far diventare “La Sibilla” la donna delle carte false, come scrive Ballestra nel suo ultimo lavoro, consegnandole una scatola con l’occorrente per realizzare documenti utili ai diversi compagni che vivevano in clandestinità in Italia ma anche a chi doveva espatriare. Il contributo di Lussu alla Liberazione dell’Italia è molto più rilevante e passa anche per Londra, dove ha ricevuto un addestramento militare, che andava dall’uso di codici e inchiostri segreti fino a quello delle armi da fuoco, che le è tornato molto utile dal ’43 in poi, quando si è intensificata la Resistenza. Ballestra racconta infatti di un lancio di materiale compiuto dagli alleati in zona lago di Bracciano e portato in bicicletta a Roma, precisamente a casa di Ines Berlinguer. All’interno armi che nessuno dei dirigenti del Partito d’azione, che ne erano i destinatari, aveva mai visto, tanto che l’arsenale viene rovesciato su un letto e maneggiato senza nessuna cura fino all’arrivo di Joyce, che proprio per l’esperienza inglese conosceva quelle armi ed era ben consapevole dei rischi.
Nella Sibilla, però, c’è anche spazio per la gravidanza, che Joyce consegna alla storia con “uno dei pochi racconti di parto scritti da una donna – sostiene Ballestra – che troviamo nella letteratura italiana almeno fino a una certa data”. La nascita di Giovanni avviene, insolitamente per quei tempi, in clinica, mentre le monache la rimproveravano per le grida di dolore e il medico la insultava: diventare mamma “butta all’aria – racconta Joyce – tutte le mie sicurezze faticosamente costruite”.
Finita la guerra l’impegno di Joyce da antifascista diventa terzomondista e la sua mobilitazione va in favore di perseguitati politici, tra tutti il turco Nazim Hikmet e l’angolano Agostinho Neto conosciuto nel Portogallo stretto nel regime di Salazar, di entrambi tradusse anche le opere. L’incontro tra Joyce e Neto provoca anche un clamoroso caso diplomatico a seguito di un ricevimento organizzato con l’aiuto dell’ambasciatore italiano in Portogallo, Grillo, che per questa serata perderà il posto, mentre le proteste lusitane per l’iniziativa in favore di Neto arrivano invano fino alla commissione esteri del Senato, al tempo presieduta da Emilio Lussu. Il grande amore di Joyce.