di Tommy Simmons
Tra le tante tematiche nazionali e globali largamente accantonate dai media per dare lo spazio ai numerosi filoni di notizie relative al conflitto in atto in Ucraina, spicca la questione relativa al riscaldamento globale e le altre crisi ambientali che per conto di tutto il pianeta l’umanità si trova ad affrontare.
Gli attesi rapporti del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico delle Nazioni Unite (IPCC) pubblicati il 28 febbraio e il 4 aprile avrebbero normalmente attratto un alto grado di visibilità e provocato un rinnovo dell’attenzione – e la pressione politica – dell’opinione pubblica su questo fenomeno di rilevanza globale ma a causa del conflitto in Ucraina la loro pubblicazione è passata in sordina.
La prima parte del rapporto dell’IPCC, reso pubblico lo scorso agosto, ha evidenziato come il mondo ha possibilità limitate di contenere il riscaldamento globale a 1,5 gradi mentre la seconda parte ha messo nero su bianco gli effetti catastrofici che avrebbe un riscaldamento anche di soli 1,5 gradi rispetto all’era pre-industriale. Essendo la temperatura planetaria media già aumentata di circa 1,1 gradi, i cambiamenti sono evidenti nell’inaffidabilità delle stagioni, nell’aumento dei fenomeni temporaleschi e delle inondazioni, delle siccità e delle carestie e nella frequenza e diffusione degli incendi boschivi. L’ulteriore graduale aumento previsto accentuerà seriamente questi fenomeni, portando potenzialmente alla perdita dei ghiacci polari e all’innalzamento del livello degli oceani. E l’impatto di questi cambiamenti andrà a toccare soprattutto le comunità più povere e fragili del pianeta, le comunità più vulnerabili e con meno capacità di adottare strategie per lenire il loro effetto. Già oggi, secondo le Nazioni Unite, il tasso di mortalità relativo a fenomeni atmosferici estremi è 15 volte più elevato nelle regioni più vulnerabili rispetto a quelle più capaci di difendersi.
In termini generali, i fronti per combattere i cambiamenti climatici sono due: la riduzione delle emissioni che li provocano e le strategie di adattamento al loro impatto. Dato che nel quadro degli accordi internazionali tutti I paesi componenti le Nazioni Unite devono approvare i rapporti e le conclusioni dell’IPCC, le dichiarazioni finali, pur essendo basate su quasi sette anni di lavoro di migliaia di scienziati, sono soggette a dettagliate discussioni e compromessi fondati sulle singole percezioni ed interessi nazionali dei 195 paesi che compongono l’ONU– ovvero vengono ridotte al minimo comune denominatore. Secondo i ricercatori per limitare l’aumento delle temperature a 1,5 gradi, da qui al 2050 sarà necessario ridurre i consumi di carbone del 95%, del petrolio del 60% e del gas del 45%, ma i maggiori paesi produttori e consumatori di carburanti fossili continuano a porre il loro veto alla presa di impegni che considerano eccessivi; e i paesi più ricchi – e dunque più responsabili dell’accumulo di inquinamento che ormai influisce su ogni aspetto della vita sulla Terra – vogliono limitare gli investimenti necessari per sostenere la trasformazione energetica dei paesi più poveri e finanziare le iniziative necessarie per mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici sulle loro popolazioni.
La guerra in Ucraina e il desiderio di svincolarsi dalla dipendenza dalla Russia per molte fonti energetiche sta portando molti governi – dagli Stati Uniti all’Unione Europea al Giappone – a mirare ad un’accelerazione dello sviluppo di fonti alternative ma nel breve periodo, anzi nell’immediato, c’è il rischio concreto che mirino a fare a meno della Russia proprio incrementando l’utilizzo di tutto ciò che si dovrebbe ridurre. Se, come prevedibile, il conflitto e le sue conseguenze si protrarranno nei mesi a venire (con sviluppi imprevedibili nei rapporti tra le parti) prima di tornare a ragionare e soprattutto ad agire per ridurre le emissioni, queste subiranno un’impennata. Come ha sottolineato Antonio Guterres, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, “alcuni governi ed industriali dicono una cosa ma ne fanno un’altra. Molto semplicemente, stanno mentendo e il risultato sarà catastrofico… L’inflazione sta aumentando e la guerra in Ucraina sta portando alle stelle i prezzi del cibo e dei carburanti ma aumentare la produzione di carburanti fossili servirà solo a peggiorare le cose.”
Lo scorso novembre, a Glasgow, i leader del mondo si sono riuniti nella 26esima Conferenza delle Parti (COP26) per mettere in atto una rivoluzione politica globale e invertire il percorso dei consumi energetici nocivi del mondo. La delusione complessiva per l’esito dell’incontro si è manifestata nelle lacrime conclusive del coordinatore britannico delle sessioni a fronte del netto rifiuto di alcuni paesi a rinunciare al carbone. La prossima, e come sempre “fondamentale”, Conferenza (COP27) si svolgerà a novembre in Egitto e nel mentre, anche grazie al conflitto in atto, il mondo perderà altri sette mesi.