Salta al contenuto principale

di Porzia Corradi

Ci siamo. Siamo alle battute finali per chiudere le liste per le elezioni regionali. Venerdì e sabato dovranno essere presentate. In una contesa dall’esito incertissimo è molto alta la probabilità di una battaglia sino all’ultimo voto. Fare liste forti, rappresentative dei territori, e delle diverse categorie e sensibilità, con candidati in grado di prendere quante più preferenze possibili, dovrebbe essere l’imperativo di ogni partito. Ma non sono mancati invece conflitti, sgambetti, mugugni.

Forza Italia schiera tutte le sue donne e i suoi uomini di punta, proponendo forse la lista con il più alto livello di competizione interna. Ma gli addetti ai lavori sanno che questa può diventare una spinta positiva: più candidati ci sono che possono scontrarsi alla pari, più aspra, anche se poco nobile, è la corsa per prendere preferenze, più alto potrebbe essere il risultato complessivo della lista. Fratelli d’Italia risponde puntando su Paola Agabiti, sicuramente la migliore assessora della giunta Tesei, già espressione del civismo di centrodestra, e mettendo dentro i campioni di preferenze dei territori (a cominciare da Giambartolomei) e autorevoli esponenti della società civile (come Paolo Scura). Poco si conosce invece della lista della Presidente.

Nel centrosinistra il quadro sembra ancora non del tutto risolto. Non si sa molto della lista Proietti, anche se ci sono delle importanti certezze: autorevoli candidature quali quella di Giuseppe Capaccioni, cattolico di Comunione e Liberazione, di Luca Ferrucci, docente universitario di Economia, di Bianca Maria Tagliaferri, popolarissima esponente Cisl del mondo della scuola.
Nel complicatissimo arcipelago riformista probabilmente si è trovata una quadra. Avrebbe prevalso la linea unitaria di Massimo Monni (ormai stabilmente l’uomo in più del centrosinistra) su quella di Giacomo Leonelli, che voleva evitare la candidatura di Donatella Porzi. E ci saranno anche tutte le “anime” socialiste. Alla fine si formerebbe una buona “squadra”, che riuscirebbe a tenere dentro anche due o tre candidati di Italia Viva. Attenzione però, per quanto riguarda i renziani, questa è una conclusione probabile, ma non ancora certa. Sicuro è invece che in una elezione in cui si vince o si perde per percentuali da prefisso telefonico (a Perugia Ferdinandi ce l’ha fatta con lo 0,9 in più), i veti di Conte potrebbero risultare fatali per il centrosinistra. Infine, ci saranno in coalizione anche i civici del sindaco di Spoleto.

Il Pd ha approvato all’unanimità ieri sera la sua lista, al termine dell’assemblea regionale, dove alcune “anime” importanti del partito non sono però rappresentate. La squadra varata sembra essere piuttosto debole soprattutto su Perugia. Per settimane si sono susseguite voci sulle possibili candidature, ma alla fine il segretario regionale Tommaso Bori, che ha svolto un faticoso lavoro, mirato ad escludere personalità potenzialmente scomode per lui, ha fatto la lista che voleva. Tra Cristian Betti e Giacomo Chiodini l’ha spuntata il primo. Lo avrebbero meritato entrambi: sono gli ex sindaci di Corciano e di Magione, giovani, stimati e molto rappresentativi anche fuori dai rispettivi territori di appartenenza. Si tratta di due fra i migliori esponenti della generazione dei quarantenni. Betti è stato inserito in lista come secondo candidato del Trasimeno. Singolare attribuzione: solo nella geografia piddina, infatti, Corciano fa parte della zona del lago.
Sciolto il nodo di Gubbio, dove si presenterà l’ex sindaco Paolo Barboni. A Narni ci sarà De Rebotti. A Terni Francesco Filipponi e Maria Grazia Proietti, mentre è stata cassata Francesca Malafoglia, un’amministratrice competente ed equilibrata. Una perdita, proprio lì dove il centrosinistra deve fronteggiare un centrodestra molto competitivo, al quale arriveranno almeno una parte dei voti di Stefano Bandecchi. E infine: Foligno candida Joseph Flagiello e Spoleto Stefano Lisci.

Ma la scelta del Pd su Perugia è quella davvero più lacunosa, qui il successo del centrosinistra ha riaperto la partita delle Regionali, senza questo i danni di Luca Coletto in sanità non sarebbero forse bastati a rendere contendibile la partita. Ebbene, nel capoluogo che sarà determinante per l’esito elettorale, dove il centrodestra mette in campo una pletora di candidati forti (fra questi l’ex sindaco Romizi), il Pd schiera due soli esponenti: Tommaso Bori, ovviamente, e la sua fedelissima, Sarah Bistocchi. Cinque anni fa ce n’erano quattro e tutti autorevoli (Cristofani, Leonelli, Cardinali, oltre allo stesso Bori). A rappresentare l’Alta Valle del Tevere ce ne sono tre. Lo squilibrio è evidente: il capoluogo ha infatti un numero di elettori di gran lunga superiore ed è decisivo. La ridotta rappresentanza lascia ai margini quella metà del partito che annovera parte del mondo cattolico, alcuni autorevoli amministratori storici della sinistra, oltre agli ex “ribelli” dei sette circoli. Una scelta tesa a facilitare l’elezione del duo Bori-Bistocchi? Il voto unanime dell’assemblea Pd nasconde sospetti e dissensi che circolano però in abbondanza nel partito perugino.
Sotto la cenere ardono le braci. La battaglia interna per conquistare uno scranno a Palazzo Cesaroni sembra anticipare l’imminente competizione congressuale: nel 2025 si dovranno svolgere, infatti, sia il congresso regionale che quello comunale di Perugia. Il partito ternano è già sul piede di guerra. Michele Bettarelli e Simona Meloni, da sempre non allineati, potrebbero essere decisivi. E c’è pure il ritorno di Francesco De Rebotti, il principale antagonista di Tommaso Bori all’ultimo congresso regionale, poi ritiratosi.
C’è chi sospetta che nel Pd si pensi più alle preferenze dei candidati che ai voti della coalizione, dando per acquisita la vittoria di Proietti. Ma crederlo sarebbe un errore fatale, lo stesso che il centrodestra ha fatto a Perugia sei mesi fa. Come è finita è sotto gli occhi di tutti.