di Sud
Tra le tante sfaccettature di Napoli ce n’è una che ultimamente è rimasta un po’ in ombra, oscurata da altre più vitali ed eclatanti: quella della Napoli colta e cosmopolita. Eppure da lì provengono alcune delle pagine più interessanti della letteratura italiana, indispensabili per comprendere la complessità di una città così caleidoscopica. È una linea che parte dai romanzi della Ortese e di La Capria, di Rea e Compagnone, passa per le prose di Elena Croce e Goffredo Fofi, e arriva fino a Elena Ferrante.
Fabrizia Ramondino è un personaggio emblematico di questa Napoli. Vi si ritrovano tante sue componenti: i “buoni natali” (una madre colta e raffinata, il padre orientalista e diplomatico), i viaggi, gli studi, le frequentazioni aristocratiche e intellettuali, e poi il ’68 e la politica, gli anni ’70 con la nuova sinistra, l’attivismo in favore dei bambini dei quartieri spagnoli e dei disoccupati, e infine la scrittura.
Vi arriva tardi, a 45 anni, ma con un esordio folgorante, pubblicato da Einaudi nel 1981, grazie all’interessamento di Natalia Ginzburg ed Elsa Morante. Un po’ romanzo, un po’ autobiografia, Althénopis (occhio di vecchia, appellativo che i tedeschi occupanti diedero a Napoli, delusi di non trovarla corrispondente alla descrizione di Goethe) è un libro fatto di ricordi, di fatti e di luoghi, ma soprattutto di persone. E tra queste spicca la nonna, indiscussa protagonista della prima parte.
Una nonna squinternata e «sfavillante», che dà il meglio di sé in cucina. Da quell’«antro fiabesco» uscivano «pranzi sontuosi, odorosi, gocciolanti, che non avevano né capo né coda, e che irridevano alle preoccupazioni finanziarie, ai mali di pancia e al computo delle vitamine». Per sé preparava il pancotto, semplice pane raffermo cotto nel brodo: «a me pareva un miracolo, e lo mangiavo con lei in un angolo buio, in un’ora deserta della casa, come una leccornia rubata».