Dopo il progetto proposto da Fabio Maria Ciuffini, è intervenuto Luigi Fressoia e di seguito pubblichiamo l’articolo della sociologa Antonietta Petetti.
LA GRANDE RIFORMA DEL CENTRO STORICO di F.M. Ciuffini
PERUGIA HA BISOGNO DI RIPOPOLARE IL CENTRO STORICO di L.Fressoia
di Antonietta Petetti *
Perugia e il suo centro storico in particolare si possono capire solo nell’incontro – inconcepibile in qualunque altro luogo – tra la città che “sta senza l’incombere di null’altro che del cielo”, come la vedeva Aldo Capitini dall’alto della torre campanaria di Palazzo dei Priori, e quella “arinserrata drent’ a du’ cinture fatte d’ pietre da le tinte fusche” del poeta Claudio Spinelli.
Non si tratta di scegliere tra un’immagine (o piuttosto un’identità) o l’altra, ma di saperle tenere insieme. Proprio nella tensione che può nascere tra questi due poli opposti e opposte tendenze vanno cercate le energie creative che possono consentire a questa città di continuare a svilupparsi e innovarsi. Senza per questo perdere le sue radici e specificità, ma anzi facendo leva su queste.
È quella che si chiama innovazione attraverso una strategia di specializzazione intelligente (in Europa la così detta smart specialization strategy). Ovvero un’innovazione che non procede attraverso il tentativo di replicare quello che fanno gli altri ma che si interroga sulle proprie specificità e su queste prova a costruire. Un esempio emblematico in questo senso è stato il progetto, realizzato più di quarant’anni fa ormai, per il recupero e la valorizzazione della Rocca Paolina attraverso l’insediamento di un impianto di mobilità alternativa che facilitasse l’accesso al centro storico della città.
Un’innovazione intelligente è anche un’innovazione che si fonda su una strategia partecipata, nel senso che tiene conto dell’analisi, condivisa con i gruppi portatori dei diversi interessi, degli impatti che il cambiamento potrà produrre a diversi livelli e rispetto ai diversi bisogni e aspettative in gioco.
Questa capacità progettuale che si fonda su una visione realmente innovativa e condivisa è proprio ciò che la nostra città sembra aver smarrito, a dispetto degli ingenti investimenti che, attingendo alle risorse finanziarie dell’Unione Europea, l’Amministrazione ha già pianificato o si accinge a pianificare. E il centro storico è il luogo in cui questo senso di smarrimento si può percepire forse in modo più chiaro.
Il centro storico di Perugia, ce l’hanno detto e ripetuto autorevoli studiosi, è un po’ la cartina di Tornasole dei punti di forza e insieme delle criticità con cui la nostra città è chiamata a misurarsi.
I punti di forza del nostro centro storico sono presto detti e sono quelli che gli derivano dalla sua storia e dalla sua configurazione. Per sintetizzare, potremmo dire: una concentrazione impressionante per metro quadrato di patrimonio storico e culturale, al pari
di altre grandi capitali nazionali ma con un grado di accessibilità potenziale molto più alto e in un contesto naturale e sociale altrove spesso irrimediabilmente consumato o alterato.
Dall’altra, il punto debole fondamentale può riassumersi nell’immagine di un centro storico destinato a rappresentare sempre più la rinuncia della città ( e forse della regione tutta) ad ogni altra vocazione che non sia quella – pure imprescindibile – meramente turistica.
Dunque il centro storico che ahimè conosciamo: vetrina o salotto buono della città come si è amato definirlo (e il salotto buono si sa non è fatto per essere realmente vissuto), luogo di concentrazione di masse di turisti in occasione dei così detti grandi eventi (durante molti dei quali raramente però succede veramente qualcosa), occasione per i cittadini al massimo per una vasca di rito per godersi la prima solina o, per i più giovani, per lo sballo del sabato sera.
Alcuni dei problemi del centro storico di Perugia nascono da lontano. Nel corso dei decenni, alcune soluzioni adottate per farvi fronte – come lo svuotamento di importanti funzioni istituzionali e il decentramento di alcuni servizi essenziali – hanno finito con
l’accelerarne il declino. La crisi della residenzialità e poi del commercio hanno fatto il resto.
E tuttavia segnali nuovi non mancano e andrebbero colti. Per esempio, nonostante i ripensamenti e la contraddittorietà che hanno contraddistinto i provvedimenti dell’attuale Amministrazione in merito al traffico e parcheggio delle auto – provvedimenti a singhiozzo e con regole diverse da strada a strada, che molta confusione hanno creato per gli stessi residenti – è grazie anche alla minore densità relativa di traffico rispetto al resto della città se oggi il centro storico può offrire una qualità e un modello di vita urbana che torna ad essere percepita come fortemente attrattiva. Ma si tratta di segnali che andrebbero accompagnati e sostenuti. E invece, che fine hanno fatto per esempio i progetti di sostegno alla residenzialità in centro per le giovani coppie e i nuclei familiari? E i progetti per la valorizzazione degli spazi verdi?
Per citare solo un caso, più di dieci anni fa il Campaccio – quel fazzoletto di verde lungo via della Cupa dalle caratteristiche uniche, per essere racchiuso dentro la porzione di mura etrusche meglio conservate della città e in quanto oggetto, a suo tempo, di un intervento del famoso architetto Pietro Porcinai – è stato al centro di un vivace dibattito tra l’Amministrazione comunale, le Associazioni, i cittadini, che aveva prodotto molte e interessanti proposte e iniziative concrete. Con il risultato della veloce riqualificazione di quello spazio e la sua riappropriazione da parte di giovani, anziani, bambini.
Un esempio di come la progettazione dal basso e con il coinvolgimento attivo (non meramente rituale) della cittadinanza possa produrre le migliori soluzioni per la città, specie quando si parla di ri-uso degli spazi urbani. Una formula invece che la nostra Amministrazione ha deciso progressivamente di accantonare e i risultati purtroppo si vedono.
Molti spazi importanti del centro storico attendono da anni di essere riaperti. Anche in questo caso, anziché costruire progetti caratterizzati dalla volontà di innovare a partire dalla valorizzazione delle proprie risorse e specificità, nonché attivando le energie della città e aprendosi alle proposte di una platea ampia di soggetti, l’Amministrazione ha preferito procedere in modo verticistico. Salvo di tanto in tanto diffondere messaggi sull’”imminente” riapertura di questo o quello spazio e ricercare, all’ultimo momento, alleanze privilegiate con soggetti che inevitabilmente finiscono per imporre la loro visione esclusiva.
Emblematico è il caso del Mercato coperto, per il quale, dopo molti anni in cui i lavori si sono trascinati senza trovare una conclusione, l’Amministrazione è stata costretta a redigere in fretta e furia un nuovo bando per l’individuazione di un nuovo soggetto. Un unico soggetto imprenditoriale in grado di completare i lavori e al quale l’Amministrazione ha deciso di affidare in toto la gestione di quello spazio. Un luogo che per sua vocazione e caratteristiche avrebbe potuto invece essere occasione di valorizzazione e di crescita di una molteplicità di forze imprenditoriali, capaci di esprimere le eccellenze del territorio in
ambito artigianale, della produzione vinicola, agricola, alimentare. In un modo che avrebbe assicurato continuità rispetto alle funzioni che il Mercato coperto ha svolto nel tempo verso i cittadini (affiancando a questi, non sostituendoli con, i turisti) al tempo stesso innovandole e puntando alla qualità e alla tipicità. Quella qualità e tipicità che non solo il cittadino ma lo stesso turista difficilmente trova passeggiando per le vie del Centro di Perugia. Eccezion fatta per le attività di quei pochi commercianti e artigiani che testardamente resistono e che giustamente andrebbero chiamati paladini della nostra città.
In conclusione, il centro storico che ci piacerebbe è un luogo che riapra e metta a disposizione della collettività i tanti spazi ancora non utilizzati o da recuperare, in particolare: per garantirli a condizioni non di mercato a quanti siano capaci di proporre
progetti innovativi e di qualità in grado di produrre benefici concreti per ampi fasce di cittadinanza; per dare ai giovani e alle loro idee imprenditoriali o associative nuove opportunità di confronto, di crescita e di valorizzazione.
Un luogo dunque che anziché ad una vetrina assomigli piuttosto ad un grande cantiere di creatività, ad un vivace laboratorio di nuove idee e nuove progettualità sul piano culturale, sociale, economico.
Uno spazio in cui l’offerta culturale non proceda solo attraverso l’organizzazione di grandi eventi e in particolare di eventi pensati solo come grandi “attrattori turistici”. Ma dove l’offerta culturale sia fruibile giorno per giorno, attraverso interventi in grado di coinvolgere in modo attivo e continuativo gruppi sociali diversi e di diversa provenienza. Grazie al ruolo che in questo senso possono giocare anche le tante associazioni presenti sul nostro territorio, in collaborazione con strutture quali musei, biblioteche, scuole. E grazie anche al ruolo di quelle importanti istituzioni culturali presenti nello stesso spazio urbano (le due Università, la Galleria Nazionale dell’Umbria, l’Accademia delle Belle Arti, il Conservatorio, l ’Archivio nazionale. il Museo archeologico…) che troppo spesso procedono in ordine sparso e dalla cui collaborazione reciproca e con l’Amministrazione potrebbero nascere
progetti culturali di grande interesse e impatto per la città, nonché di forte richiamo verso l’esterno.
*Sociologa