di Fabrizio Croce
Qual è il nesso tra gli insuccessi nei campionati di alcune delle più popolari discipline sportive, coincisi in alcuni casi (pallavolo femminile, rugby ed, ultimo, l’amatissimo calcio) addirittura con la retrocessione nella serie inferiore della rappresentativa cittadina, ed il declino profondo ed apparentemente inarrestabile di un capoluogo che pure ha vissuto anni floridi ed un ruolo di primo piano tra le principali città del centro Italia?
Non si può certo imputare ad una amministrazione comunale se la società sportiva che gestisce questa o quella squadra navighi a vista senza una qualche programmazione o se giocatori ed atleti abbiano reso molto meno delle aspettative che li accompagnavano mandando a monte investimenti importanti.
Tifosi, dirigenze e gli stessi atleti, che poi sono anche cittadini, vivono ora, immalinconiti, disorientati ed anche un pò disillusi, parabole sportive che paiono rispecchiarsi in un declino visibile nella quotidianità delle loro vite, tra cantieri infiniti, progetti irrisolti, teoremi di buche che nemmeno nell’Emmenthal svizzero, insicurezza latente e il dubbio che oltre alla propria squadra del cuore sia decaduta anche la propria città.
Ed è fuori dalla realtà immaginare oggi che qualche sceicco, oligarca o faccendiere spregiudicato decida di investire in una piccola realtà di provincia per inseguire titoli sportivi, visibilità e chissà cos’altro. Ma allo stesso tempo molti fattori ci dicono che i successi sportivi spesso sono figli di un ambiente sano e coeso, di una comunità attiva e solidale, di un contesto socio-economico in crescita, di un dinamismo culturale tangibile nella vita di una città, già investita del ruolo di capoluogo, che voglia riuscire ad eccellere.
Negli anni ’70 la Perugia che si stava gradualmente sprovincializzando e che per viveva una stagione di imprenditorialità, vitalità culturale e rinnovamento senza precedenti – provando anche a vincere l’atavica ritrosia e chiusura degli Umbri – conobbe la Serie A di calcio e basket ed imparò a familiarizzare con discipline lontane dalla tradizione autoctona (come baseball, hockey, pallanuoto, rugby, arti marziali).
E, giusto per allargare l’orizzonte, il perugino ed il turista guardandosi attorno potevano avere solo testimonianze di bellezza e progresso, da Umbria Jazz alle le scale mobili, dalla E-45 ai C.I.M. L’amministrazione comunale di allora offrì sedi moderne ed attrezzate a numerosi sport (inclusa l’antica gloria cittadina della scherma), come il Palasport di Via Pellini, le piscine di Via dei filosofi, Lacugnana e Montebello, lo Stadio Curi, i campi di baseball, rugby, bocce, pattinaggio e ciclocross a Pian di massiano.
Quella generazione politica perseguì un disegno di edificazione in ogni nuovo quartiere di luoghi polivalenti dove attività fisiche amatoriali potessero convivere con eventi di socialità e convivialità (i benemeriti CVA che in parte ancora hanno un ruolo centrale nella vita sociale della città allargata).
E nel decennio successivo, quasi a voler compensare l’onta di uno scandalo a titoli cubitali che sconvolse il calcio cittadino (esploso con l’arresto di alcuni noti calciatori avvenuto direttamente sul campo di gioco), Perugia si sarebbe dotata di un nuovo Palasport nell’area di Pian di Massiano, oramai eletta isola dello sport e cuore verde della città in espansione verso sud, e di una nuova piscina comunale a Ponte San Giovanni.
Quel contesto cittadino avrebbe pure creato le condizioni per far crescere un diffuso movimento attorno alla Pallavolo, vera regina tra le discipline sportive amate dai perugini per i risultati sino ad oggi conseguiti.
Da quel momento in poi – è un fatto – a settimane alterne uno dei programmi televisivi più amati dagli italiani (il domenicale “90° minuto”) aveva il suo collegamento con Perugia e forse per la prima volta nella sua lunga storia la città entrava simbolicamente, ma a pieno titolo, nella “serie A” nazionale.
Mezzo secolo dopo, invece, ci troviamo a parlare di una serie di insuccessi sportivi che singolarmente presi possono essere anche considerati figli di una stagione sfortunata o della sorte avversa, ma letti tutti insieme sono l’ennesima, grigia istantanea di una città che non pare più in grado di rialzare la testa e reagire, come il pugile messo all’angolo o il lottatore al tappeto, impotente e dimessa di fronte al proprio destino.
Le ripetute delusioni ed amarezze che provengono dallo sport agonistico – la cui influenza sulla coesione sociale e sullo spirito identitario di una comunità in Italia è ampiamente certificata – non sono forse la metafora di un contesto urbano e sociale che sembra aver smarrito i punti fermi e la chiarezza d’orizzonte che ne avevano caratterizzato ed accompagnato lo sviluppo e l’espansione per alcuni decenni?
Lo stadio di calcio, che era stato un simbolo di efficienza ed innovazione, langue oggi in attesa di un “restauro” atteso da anni, ciclicamente rinviato per inseguire il miraggio di progetti che paiono “sparati” in direzione dei media e dei tifosi più come un’arma di “distrazione di massa”, una mossa da illusionisti, che come un’opzione concretamente percorribile … e poi per quale squadra, verrebbe da chiedersi?
Nel frattempo l’isola verde di Pian di Massiano è stata ripetutamente aggredita da nuove urbanizzazioni commerciali di dubbia utilità, molte delle succitate case dello sport e sale polivalenti sono state dismesse o giacciono nella triste attesa di riqualificazione e, in generale, la carenza di luoghi pubblici di socialità e svago (per non citare solo gli spazi culturali) ha assunto le dimensioni di un malessere cronico.
In un clima di perenne precarietà, smobilitazione, provvisorietà che tocca o penalizza quasi tutte le attività sportive, ricreative, culturali e, in generale, il mondo dell’associazionismo (moltiplicato negli effetti dagli anni della pandemia), è fisiologico che la proliferazione di incubatori, la crescita dei vivai, la semina di buone pratiche e sani principi vadano incontro a delle difficoltà oggettive.
Se la politica cittadina non prende atto di questa situazione e non programma una serie di provvedimenti strutturali il rischio è che vengano meno, con conseguenze irreversibili, tutte quelle realtà che da decenni fanno da collante e presidio sociale, soprattutto nelle aree più periferiche del territorio comunale.
Ad esempio, a supporto e promozione delle attività sportive, culturali, ricreative e, nella loro totalità, associazionistiche si dovrebbe e potrebbe fare di più cercando di recepire istanze, ma anche modelli di organizzazione ed integrazione che arrivano da quel variegato mondo: urge rafforzare la promozione dello sport e del benessere fisico in generale, a livello scolastico e di comunità;
– moltiplicare iniziative che producano conoscenza, consapevolezza, cultura nel senso più ampio possibile;
– trasformare in un “voucher” da spendere a posteriori il contributo che le istituzioni oggi rilasciano solo dietro rendicontazione delle spese a famiglie meno abbienti che vogliano avvicinare i figli all’attività fisica;
– tradurre in “credito scolastico” la partecipazione dei giovani in età studentesca a gruppi informali o ad associazioni culturali, sportive o di promozione sociale, sempre più circoscritte a persone adulte o pensionati;
– intervenire con misure mirate sulle tariffe per l’utenza e sugli incentivi ai gestori delle strutture sportive, allo scopo di prevenire e ridimensionare il fenomeno dell’astensionismo diffuso tra i giovani e gli anziani;
– incentivare ed agevolare con provvedimenti concreti e soluzioni innovative (come la costituzione di reti o la condivisione di mezzi e servizi) la gestione privata, il mantenimento e la riqualificazione di impianti, locali, spazi polivalenti presenti nel territorio comunale, per scongiurarne la chiusura o la sottoutilizzazione;
– riconoscere pari dignità e supporto concreto a chi dal basso fa opera di sensibilizzazione culturale e rimane emarginato, se non per occasioni estemporanee, dall’azione istituzionale di scuole, accademie, fondazioni;
– stimolare una riorganizzazione del quadro normativo in materia culturale, elevando allo stesso livello della programmazione e della produzione la fase della formazione, per sua natura finalizzata a costruire un nuovo pubblico ed i nuovi “attori” ed a codificare nuovi linguaggi e discipline artistiche;
– orientare le politiche di programmazione in vari ambiti, dalle discipline sportive a quelle artistiche, al recupero di fasce di utenza deboli, come i giovani, emarginate senza colpe dalla mancanza di adeguata sensibilità o background culturale, requisiti che si possono acquisire solo dai contesti familiari o scolastici.
Ognuna di queste azioni, perseguita con costanza, potrebbe contribuire a fronteggiare fenomeni ormai sedimentati come la disgregazione sociale, la povertà educativa, la dispersione scolastica ed il ricambio generazionale nell’ambito del pubblico ed in quello degli atleti, degli attori, degli operatori.
Se poi questa politica partecipasse in modi più tangibili e con una presenza più capillare alla vita sociale dei territori (magari recuperando quegli organismi di rappresentanza disciolti nel 2007?) e se fosse partecipata di più (attivando finalmente quella varietà di consulte ed osservatori aperti a cittadini ed associazioni, normati dal Regolamento comunale ma in gran parte “dormienti”?) la comunità ne trarrebbe reali e maggiori benefici.
Se si facesse pesare di più la centralità del ruolo di un capoluogo ai tavoli che contano (Regione, Ministeri, ma anche ANAS, Demanio, CONI ed in qualunque altra sede dove si decidono le sorti del suo territorio), allora sì che si potrebbe ritrovare quel senso di appartenenza e quella spinta che a volte paiono smarriti.
Allora sì che si si restituirebbe credibilità ed autostima ad un sistema che fatica a stare a galla, nonostante gli sforzi profusi e la passione inesauribile della gente.
Ecco, queste sono alcune delle possibili soluzioni per riattivare quel processo virtuoso ed a volte miracoloso che ispira coraggio e illumina l’orizzonte, trasformando sogni in realtà e facendo vincere simbolici “scudetti”.
Poi magari la città non tornerà subito ad eccellere nelle serie A delle discipline sportive più popolari, ma almeno avrà ripreso a volersi bene, a curare le sue ferite, a confrontarsi in tutte le sue componenti e potrà tornare attrattiva e competitiva come nei periodi evocati.
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