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di Gabriella Mecucci

Il centenario di Perugino si avvia a conclusione, ma è ancora in grado di regalare interessanti sorprese. L’ultima, che chiuderà un anno carico di straordinarie iniziative, è la mostra “Rinascimento in bottega”. E’ un’iniziativa che mette a fuoco sia il ruolo centrale di Pietro Vannucci nella storia dell’arte, sia il contributo dei pittori ottocenteschi nel costruire l’unità d’Italia e nel creare una forte identità nazionale. Sembrano due concetti fra loro distanti e scollegati, eppure il nesso è rintracciabile.
I quadri della mostra di Palazzo della Penna (una quarantina), curata da Cristina Galassi e da Francesco Federico Mancini, sono stati tutti realizzati da artisti del diciannovesimo secolo: fra il 1820 e il 1888. Le opere sono figlie dunque del periodo in cui si realizzava il Risorgimento italiano. I pittori che vissero quell’epoca carica di ideali – alcuni dei quali legati a Mazzini – dettero il loro contributo rivisitando la vita degli artisti fondanti per l’identità nazionale. Spesso li ritrassero mentre lavoravano nelle loro botteghe, con i loro allievi. Le storie che rappresentarono erano talora reali, ma anche frutto della fantasia, della leggenda. La fonte privilegiata era Vasari, ma non solo. Gli artisti – che più degli altri diventarono protagonisti delle tele – erano quelli del Rinascimento. E fra questi c’era anche Perugino, inserito a pieno titolo nella schiera dei grandi su cui basare il nuovo spirito patriottico. Prova ne è che Vasari lo definì l’ “Apelle di Perugia” così come Mantegna era “l’Apelle di Padova”. Apelle era considerato il più grande pittore della Grecia Antica. In mostra incontriamo il quadro in cui Pietro Vannucci conosce nella sua bottega un Raffaello adolescente, accompagnato dal padre Giovanni Santi, opera di Francesco Benucci. C’è poi un ritratto di Perugino che occhieggia dietro una natura morta, dipinto da Pietro Aldi. E nel catalogo viene riprodotta la tela di un museo francese in cui il “divin pittore” dà consigli all’allievo che lo supererà in fama e bravura.
“Ormai è diffusa la consapevolezza che, aldilà delle convenzioni manualistiche, il Rinascimento abbia inizio con la figura di Giotto”, scrive nel catalogo Francesco Federico Mancini. E la mostra inizia proprio con Giotto. Troviamo nella prima sala un dipinto noto a tutti perché appariva sulla scatola dei colori degli alunni delle elementari: un ragazzetto che incide il disegno di una pecora su pietra, sotto gli occhi attenti del suo maestro. I due protagonisti della scena bucolica sono Giotto e Cimabue. L’allievo è poco più che un fanciullo, ed è un talento innato: questo vuol dire Gaetano Sabatelli, autore del quadro.
Sala dopo sala incontriamo le tele con Piero della Francesca, Donatello, Filippo Lippi, Leonardo, Michelangelo, Tiziano, Cellini e Parmigianino. Le glorie nazionali ci sono tutte. Appare anche Dante che pittore non è. La mostra, inaugurata il 28 ottobre e aperta al pubblico dal 29, durerà sino al 28 gennaio, a Palazzo della Penna. E’ costata in tutto un po’ più di 200mila euro ed è stata finanziata per metà dal Comune di Perugia e per il rimanente dal Comitato per le celebrazioni del quinto centenario di Perugino. È stata presentata ieri in una conferenza stampa a cui hanno partecipato l’assessore alla Cultura Leonardo Varasano, la presidente del comitato Ilaria Borletti Buitoni, i curatori Cristina Galassi e Pierfrancesco Mancini, la dirigente dei musei civici Maria Luisa Martella. Il catalogo è edito aguaplano e contiene saggi di Caterina Bon Valsassina, Cristina Galassi, Francesco Federico Mancini, Sonia Maffei e Alessandra Migliorati.