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di Gabriella Mecucci

A partire dal 13 giugno del 1940 la villa di Montefreddo dei Marini Clarelli contenne un centinaio fra le opere più preziose dell’arte italiana: dalla Cena di Emmaus di Caravaggio al Cristo morto di Mantegna, allo Sposalizio della Vergine di Raffaello, tanto per citarne qualcuna. Arrivarono da Milano e vi restarono sino al ’43. Vennero protette in modo totale tantochè non subirono alcun danno. Bombardamenti e altri orrori della guerra le sfiorarono appena nel 1943 quando un incendio danneggiò parzialmente la villa. Fu allora che le opere più preziose furono trasferite ad Assisi, un luogo più sicuro perché godeva dello stato di città aperta e la Basilica di san Francesco, in quanto territorio vaticano, in base ai Patti Lateranensi, non veniva toccata dalla guerra. Del periodo della custodia delle opere d’arte a Montefreddo ne parliamo con Maria Vittoria Marini Clarelli, storica dell’arte, già direttrice della Galleria d’Arte Moderna e discendente della famiglia che ospitò nella propria villa i “capolavorissimi” di Brera.

Come e perché venne scelto Montefreddo come luogo di ricovero di opere d’arte tanto preziose?
Le ragioni furono sostanzialmente due. La prima era che la villa si trovava in aperta campagna mentre gli inglesi preferivano concentrare i bombardamenti sulle città. La seconda che non era troppo distante da Perugia – solo 11 chilometri – e quindi abbastanza prossima ad una serie di servizi e alla soprintendenza. La scelta fu fatta dal Ministero anche perché Antonio Marini Clarelli aveva un buon rapporto con l’amministrazione centrale. Per decisione di Gugielmo Pacchioni, allora soprintendente di Brera, le opere partirono da Milano l’11 giugno, il giorno dopo dello scoppio della guerra, e arrivarono a Montefreddo il 13. Vennero collocate nella sala da pranzo della villa.

Quante erano in tutto le opere?
Un centinaio: 32 casse da Brera, 31 dal Castello Sforzesco e alcune da altri luoghi. Quadri di straordinario valore e importanza: i capolavorissimi, come vennero definiti. L’elenco è lungo, ma basti citare la Cena di Emmaus di Caravaggio, lo Sposalizio della Vergine di Raffaello, Il Cristo morto di Mantegna, la Pala di Montefeltro di Piero della Francesca , il Miracolo di San Marco di Tintoretto e tanti altri: da Gentile da Fabriano a Canaletto.

Come venivano protetti?
C’era un custode, due carabinieri e un collegamento telefonico con gli allarmi. Ma la protezione più importante fu probabilmente dovuta al fatto che nessuno sapeva della presenza a Montefreddo delle opere d’arte. L’essere riusciti a mantenere una totale segretezza sia delle operazioni di trasporto che di collocazione all’interno della villa fu decisivo.

Che ruolo ebbero Achille Bertini Calosso, soprintendente dell’Umbria, e Fernanda Wittgens, soprintendente di Brera dal 1942, in queste delicate operazioni?
Bertini Calosso fu sicuramente importante non tanto nella fase iniziale, ma subito dopo nella custodia delle opere. E soprattutto nel 1943 quando, a seguito dell’incendio della villa di Montefreddo, vennero trasferite in due ville delle Marche, in una nei pressi di Orvieto e soprattutto nella Basilica di San Francesco ad Assisi. Fu Bertini Calosso a scartare l’ipotesi di portarle in Vaticano. Il trasporto verso la città serafica venne fatto sotto scorta dell’esercito tedesco. Quanto a Fernanda Wittgens, soprintendente di Brera per esercitare al meglio la custodia si trasferì a Perugia. Raggiungere Montefreddo dal capoluogo era per lei però molto difficile, tantochè chiese al Ministero di dotarla di una bicicletta, altrimenti si sarebbe adattata ‘alla soldatesca’. Probabilmente voleva dire che avrebbe dormito nella zona anche in sacco a pelo. Un donna appassionata, straordinaria. Nella prima fase tutto o quasi fu in mano a Guglielmo Pacchioni poi, diventato questi dirgente nazionale,toccò a Wittgens e a Bertini Calosso gestire il tutto. Quest’ultimo alla fine della guerra si occupò con grande efficacia e rapidità anche di far riparare i danni subiti dalla villa di Montefreddo.