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di Diego Brillini

Perugino, maestro della pittura del Rinascimento, fu tenuto in scarsa considerazione dai viaggiatori che vennero in Italia tra XVII e XVIII secolo seguendo gli itinerari del Grand Tour, lungo viaggio di formazione dei giovani membri dell’aristocrazia nord europea (una sorta di “Erasmus ante litteram”) che aveva come meta principale l’Italia. Questi ritenevano degna d’attenzione l’arte da Raffaello in avanti e poco si apprezzava degli artisti che lo avevano preceduto, compreso il Perugino, al quale al massimo si riconosceva il merito di essere stato maestro del celebre pittore urbinate. Su questa linea il giudizio di Goethe, che pure dovette tenere in grande considerazione il Vannucci per dire:
«Pietro Perugino: una tal perla d’uomo da essere tentati di chiamarlo un’autentica pasta di tedesco.»
C’è anche da dire che al tempo del Grand Tour l’Umbria era considerata come “terra di passaggio” e il tracciato preferito che la attraversava si trovava a sud, in corrispondenza della via Flaminia, nel tratto che univa Foligno a Otricoli. Perugia, che conservava il numero più grande di opere di Vannucci, era inserita in un percorso poco frequentato.
Tra i viaggiatori che nel XVIII secolo soggiornano a Perugia spicca l’astronomo e intellettuale francese Joseph-Jérôme de Lalande, autore del Voyage d’un françois en Italie fait dans les années 1765-1766, vademecum dei viaggiatori francesi per la seconda metà del Settecento, che definì la chiesa di Sant’Agostino «una delle più notevoli per le pitture del celebre Pietro Perugino». Il giudizio sull’artista è generalmente poco lusinghiero: in merito allo Sposalizio della Vergine, oggi al Musée des Beaux-Arts di Caen, ma al tempo ancora nella cappella del Sant’Anello del Duomo di San Lorenzo, scrive: «Il profilo della Vergine è fine, il resto è asciutto e brutto, e di peggio Perugino non avrebbe potuto fare».
Ancora, in merito all’Ascensione, parte della cosiddetta Pala di S. Pietro che a seguito del Trattato di Tolentino prese la via della Francia, annota: «mal composta, ma vi sono delle teste eccellenti e molto ben dipinte».
Malgrado questi giudizi a Lalande si può riconoscere il merito di voler informare il lettore sulle opere dell’artista umbro, «grande pittore», anche se quella «maniera asciutta» e quel «cattivo gusto gotico» risultavano incompatibili ai suoi occhi di grande intellettuale del Settecento classicista.
Agli albori dell’Ottocento, artisti, scrittori e intellettuali vengono in numero sempre maggiore in Italia per le bellezze artistiche e paesaggistiche del nostro paese, ma con una propensione estetica e culturale differente. Nel campo delle arti si assiste alla riscoperta degli artisti che avevano preceduto il Rinascimento, tra i quali il Perugino.
La scrittrice irlandese Sydney Owenson, conosciuta come Lady Morgan, dichiarò che le opere dell’artista umbro sono da considerarsi immortali e definì il Collegio del Cambio «prezioso monumento delle arti e dei costumi del XV secolo».
L’erudito francese Antoine Claude Pasquin (noto con lo pseudonimo Valery), scrive di «un’elegantissima Madonna di Perugino» che si trovava nell’Oratorio di San Pietro martire e degli affreschi de Collegio del Cambio «ammirevoli per fecondità, armonia e morbidezza e passano per essere il suo capolavoro».
Valery non visita solo i luoghi canonici, ma si avventura in contrade “inesplorate”, come Città della Pieve, che ritiene «notevole per la cappella chiamata Chiesarella (Oratorio di Santa Maria dei Bianchi), dove si vede l’affresco della Natività (Adorazione die Magi), una delle sue opere più deliziose».
Un piccolo inciso: il desiderio di scoprire mete poco conosciute è una delle caratteristiche del viaggio ottocentesco, tendenza sempre crescente fino al secolo successivo, che vedrà l’avvento dell’automobile e con essa la possibilità di battere nuove piste particolarmente apprezzate da entusiasti automobilisti come il francese Dominique Durandy, che, giungendo in nel Cuore Verde d’Italia, esclamerà: «In […] Umbria le vostre auto saranno in allegria!».
Verso la fine del secolo anche il romanziere e saggista francese Paul Bourget raggiunge Città della Pieve «per rispetto per il grande pittore che nacque qui nel 1446». Non apprezza però le opere qui eseguite in tarda età, scrivendo: «In Duomo un Battesimo di Cristo e una Vergine con dei Santi, a Sant’Antonio un Sant’Antonio con San Pietro Eremita e San Marcello, nella chiesa dei serviti una Crocifissione, sono opere quasi dolorose a guardare […] fatta eccezione per la grande Adorazione dei Magi a Santa Maria dei Bianchi che è del 1505, e nella quale vi sono ancora parti piene di grazia […]. Eppure quest’affresco tradisce già la stanchezza, e la peggiore: […] quella dello spirito, quella del cuore, che non possono e non vogliono più creare e sentire».
Nel 1854 la viaggiatrice inglese Jane Westropp, che si fermerà in Perugia per quasi tutto il mese di agosto per sfuggire al colera che imperversava a Roma, ebbe modo di ammirare numerose opere di Perugino, dichiarando quanto la città fosse orgogliosa di ospitare i suoi lavori: «Sto diventando un’ardente ammiratrice del Perugino» dirà «e mi è chiaro quanto l’arte debba a lui che rappresenta l’anello di collocamento tra la rigidità della prima scuola e la perfezione di Raffaello».
Il celebre scrittore americano Nathaniel Hawthorne, che si fermò a Perugia nel maggio 1858, scrisse: «Quando la camera (la Sala dell’Udienza del Nobile Collegio del Cambio) era ai suoi primi splendori, posso immaginare che il mondo non avesse fino ad allora mostrato una tale magnificenza e bellezza come furono qui rivelate».
Anche la moglie di Hawthorne, Sophia Peabody, pittrice, illustratrice e letterata. rimase colpita dagli affreschi del Collegio del Cambio e di fronte al volto di re Davide, in cui ritiene di vedervi le fattezze di un giovane Raffaello Sanzio, cosi si esprime: «una grazia infinita nella testa e nel movimento, una bellezza meravigliosa e principesca».
La scrittrice e dama di salotti Louise Colet, ospite in Perugia della marchesa Marianna Florenzi Waddington, visitò il Cambio per ben due volte, accompagnata dal conte Montesperelli. Lamentando l’incuria generale del sito, ritiene che questo, per la sua bellezza, meriterebbe piuttosto di essere rinchiuso «dietro un cancello d’oro».
L’abate francese e storico dell’arte Jacques Camille Broussolle si mostra assai meno disincantato di tanti altri viaggiatori e osserva in Perugia sono conservate poche opere e non le migliori dell’artista: aggiunge che le sue opere più pregevoli sono state derubate dai suoi connazionali un secolo prima e ora giacciono, sostiene, in musei di provincia e poco valorizzate. Pertanto afferma che in città «non vi troveremo uno solo di quei dipinti incontestabilmente belli che disarmano completamente la critica, uno di quei lavori squisiti, di cui si porta via un ricordo è in cui si riassumono […] tutte le impressioni di un bel pellegrinaggio».
Ritiene, altresì, che il Collegio del Cambio sia stato troppo celebrato: «I critici autorizzati non hanno cessato di ripetere che è il capolavoro del Perugino: tutti naturalmente si sentono obbligati a ripeterlo, e la gloria del maestro è diminuita di conseguenza».
Malgrado ciò è ormai chiaro che l’arte del Vannucci abbia recuperato un meritato posto nella considerazione della critica e del pubblico. Le scrittrici Margaret Symonds e Lina Duff Gordon, autrici di una fortunata guida storico-artistica della città di Perugia data alle stampe nel 1897, dichiarano che Perugino:
«[…] ha lasciato dietro di sé un’impronta duratura nella storia dell’arte, e ha dato l’anima a quella notevole scuola di pittura che il giovane Raffaello ha portato avanti nel mondo delle meraviglie […]»
Con il XX secolo proseguono le attestazioni di stima nei confronti del “campione” della scuola umbra. Ai viaggiatori del primo Novecento appare come in una visione il collegamento tra i panorami che è possibile ammirare dal colle di Perugia e quelli realizzati dagli artisti della scuola umbra, primo fra tutti il Perugino.
Per dirla con le parole di Paul Hamonic, medico francese:
«Siamo nel cuore della campagna umbra e l’adorabile natura che ci circonda […] accarezza voluttuosamente i miei occhi e mi mostra nel loro dolce splendore i dolci paesaggi dei Primitivi […] Nella gloriosa pleiade che qui opero, spicca una personalità […] P. Vannucci, detto il Perugino, la cui squisita tavolozza e le cui soavi espressioni dovevano preparare la vocazione di Raffaello […]»
Visitando le sale della “Pinacoteca Vannucci” (oggi Galleria Nazionale dell’Umbria), è possibile ammirare una ricca selezione di opere dell’artista, alla quale però molti preferiscono gli affreschi del Nobile Collegio del Cambio che continua ad essere una delle maggiori attrazioni per i viaggiatori. Lo scrittore tedesco Richard Voss dirà:
«[…] pari a un borgo inespugnabile di palazzi e chiese, s’erge lontana la citta dei Baglioni, lontana ed alta. Ed io penso all’autunno che vi ho trascorso, al caso strano e fortunato, che mi ha dato, nella citta a me interamente sconosciuta, il “Cambio” per studio: il divino “Cambio” del Perugino diventato studio tranquillo d’uno scrittore tedesco! E dalle pareti le solenni figure del maestro guardavano il giovane, operoso figlio delle Muse, che certo non aveva mai sperato un così grande onore…»
Molti sembrano concordi nel definire le opere del Perugino conservate presso l’odierna Galleria Nazionale poco rappresentative della sua grandezza; cosi ad esempio Paul George Konody, il quale sentenzia lapidario:
«Perugino è stato una delusione alla Pinacoteca. Il vicino Collegio del Cambio gli ha restituito la giusta posizione nella nostra stima e ci ha fatto capire ancora una volta l’ingiustizia di giudicare l’opera di un maestro strappata dall’ambiente a cui era destinata.»
e ancora l’inglese Edward Hutton, intellettuale, collezionista d’arte e Monument Man, dichiarerà:
«[…] la maggior parte dei quadri qui presenti appartengono agli anni della sua decadenza e solo tre o quattro al suo grande periodo. In verità, questa Pinacoteca, che porta il suo nome, ha poco della sua arte che sia degna di lui.»
D’altro canto Hutton, ben conscio della portata dell’opera del Vannucci, affermerà che:
«Il Perugino […] come quello che e stato definito dal signor Berenson “un compositore spaziale”, ha pochi eguali in tutta la storia della sua arte. Se il suo allievo Raffaello lo ha superato, e stato piuttosto a causa del suo insegnamento, che non per il possesso da parte di Raffaello di una comprensione originale dello spazio.»
Questa breve carrellata di impressioni tratte dai taccuini e diari dei viaggiatori stranieri in Umbria non può essere che un piccolo assaggio di un discorso assai più ampio sulla ricezione dell’arte di questo grande maestro della scuola umbra, protagonista assoluto del Rinascimento, al quale l’Umbria e l’Italia, in questo quinto anniversario dalla sua morte, dedicano un sentito, doveroso, tributo.