di Angelo Buonumori*
Open to Torzone. Mi scuso se apro questo riflessione sulla campagna pubblicitaria per il turismo in Italia con un’autocitazione, ma non riesco a non cogliere nel complesso dei numerosissimi interventi critici su quanto fatto dalla Armando Testa con il titolo “Open to meraviglia”, delle analogie – ovviamente facendo le dovute proporzioni – con quanto avvenne qualche anno fa riguardo una mia campagna che, su scala locale, fu realizzata per promuovere il Minimetrò. Campagna incentrata su una specie di sberleffo ironico, il termine “Torzone”, con il quale si apostrofavano in maniera scherzosa coloro che non utilizzavano quel mezzo di trasporto.
Sembrò per questo che una gran parte dei perugini si fosse offesa tanto da far fiorire su social, stampa e altri media commenti, principalmente e pesantemente negativi, insieme a cloni, imitazioni e altre amenità del genere, capaci di generare un’enorme viralità, con la conseguente amplificazione gratuita dell’impatto comunicativo del messaggio.
Che è, ovviamente in maniera enormemente più ampia, ciò che sta avvenendo per “Open to meraviglia”, sulla quale il mondo pubblicitario, quello della cultura da talk show, l’intellighenzia imperante e altri esperti di giornata, stanno scatenando tutto l’invidioso livore di cui sono capaci. Un’altra evidente somiglianza non posso fare a meno di coglierla con quanto fatto negli ultimi due anni per la nostra regione ad opera della medesimo agenzia di pubblicità, sempre la Armando Testa e che, a dispetto dei critici “de noantri”, sembra funzionare alla grande.
È del tutto evidente come la filosofia su cui le due strategie comunicative si basano, sia quasi sovrapponibile.
Nella prima il Perugino divin pittore, si anima ed esce dalla tela per andare incontro ai destinatari del messaggio e guidarli tra le bellezze della nostra regione che lui stesso, con la propria arte, raffigurò in tutto il loro splendore.
Nella seconda, la Venere botticelliana, nella quale la tradizione vuole raffigurata la Venere vivente dell’epoca ovvero la bellissima Simonetta Cattaneo Vespucci, musa dell’artista e amata da Giuliano fratello del Magnifico, non solo esce dalla tela ma si materializza, Ferragni ante litteram, a mo’ di influencer per porgersi al pubblico in abbigliamento e atteggiamenti attuali con, sullo sfondo, le bellezze dell’italica penisola.
Ebbene, la pubblicità è un animale strano dei quali pochi sanno riconoscere la forma ma soprattutto non conoscono la sostanza per cui, così come a seconda dei casi gli italiani si trasformano in consumati allenatori della nazionale, virologi candidati al Nobel, politologi machiavellici o esperti delle più disparate discipline, oggi si improvvisano smaliziati pubblicitari o illustri semiologi capaci di analizzare e condannare senza appello qualcosa di cui malauguratamente non conoscono né la logica né tantomeno le dinamiche professionali.
Chi di costoro può veramente dire di sapere come si realizza una campagna pubblicitaria?
Chi sa esattamente come e perché vengono spesi i soldi del budget?
Chi sa distinguere la differenza tra spendere e investire?
E con questo genere di domande potrei proseguire quasi all’infinito, ma rimando tutti coloro che volessero impararne di più a cercare una serie televisiva di qualche anno fa, ancora disponibile su qualche piattaforma televisiva, che si intitola Mad Men e racconta la vita, le liturgie e anche molti tic, di una agenzia pubblicitaria americana dell’età aurea della professione.
In essa ho visto rappresentato, ovviamente in maniera romanzata, molto del mondo nel quale mi sono trovato a lavorare per lungo tempo, all’esordio della mia carriera professionale negli anni ‘60. Oggi, rispetto a quell’epoca, la pubblicità è estremamente cambiata ma è rimasto, anzi si è allargato enormemente, quel parterre di individui che, sulla base del criterio legittimo quanto superficiale del “mi piace o non mi piace “ o dell’ “è bello o è brutto”, giudica senza sapere bene di cosa sta parlando.
Ho avuto modo di leggere un florilegio di commenti, analisi, anatemi, prevalentemente di esperti da talk show, qualificati unicamente dalla loro, si fa per dire, telegenicità, dei quali tacerò i nomi per carità di Patria.
Lasciatemi però fare alcune considerazioni personali dettate dall’essere un pubblicitario di professione con un po’ di esperienza alle spalle: la prima riguarda di come la promozione turistica rischi facilmente di esprimersi in una compilation di cartoline. Che possono essere più o meno belle, più o meno ben fotografate, più o meno ben commentate, ma sempre cartoline restano, salvo che non si sia capaci di supportarle con un concept, con un’idea creativa che aggiunga personalità e faccia da fil rouge alla narrazione.
Ebbene, la Venere botticelliana trasformata in moderna influencer rappresenta appunto questa idea creativa.
Qualcosa di fresco e contemporaneo, in barba alle chiacchiere delle élite da salotto televisivo, che in questi giorni sanno solo contestarla invocando ricette stancamente demagogiche.
La seconda osserva che, quando ci si indigna per un investimento di nove milioni, si dimentica di dire che in tale cifra sono compresi i costi tabellari – minutaggio televisivo, pagine di giornale, spazi per affissioni, web e tutto il resto – che non sono cosa da poco, soprattutto se si pensa ad una diffusione internazionale del messaggio.
Tanto per fare un paragone ricordo che brand come Ferrero o Barilla, tanto per citare due dei big spender italiani, investono in comunicazione centinaia di milioni all’anno.
Quindi, di che parliamo?
Inoltre vale la pena di ricordare come giudicare una campagna pubblicitaria secondo le categorie estetiche del bello o del brutto, sia una cosa priva di senso.
Può sembrare banale ma la pubblicità è bella se funziona, punto.
La qualità estetica del suo confezionamento ha valore nella misura in cui contribuisce al raggiungimento di questo obiettivo.
Ma qui è meglio fermarsi perché su tutti i temi sfiorati sarebbero necessari degli approfondimenti così ampi e specialistici da richiedere una trattazione da corso universitario.
Sorvolo anche sugli svarioni ampiamente denunciati dai media, come la mancata registrazione del dominio o la questione della cantina slovena che, se veri come sembra, mostrano una superficialità indegna di un’agenzia protagonista della storia della pubblicità italiana.
In ogni caso la Armando Testa ha pubblicato nei giorni scorsi, una pagina sui quotidiani per illustrare la propria visione del lavoro fatto, facilmente reperibile online, che invito tutti a cercare e leggere.
Concludo osservando scaramanticamente come, secondo me, le stroncature pronunciate da personalità come Sgarbi, Toscani e Montanari conferiscono alla campagna ottime probabilità di successo.
*artista e pubblicitario
La guerra ispirò gli artisti, rari i pacifisti. Ora è un videogioco