Recensione: Franco Giustinelli, Il Novecento a Terni. Un secolo di passioni, Edizioni Thyrus, 2022
di Ruggero Ranieri
Franco Giustinelli, nato nel 1940, ternano, è stato insegnante di latino e greco e preside di scuola media superiore. Ha iniziato la sua carriera politica negli anni Cinquanta come militante della Figc e poi del PCI. Eletto nel 1965 nel consiglio comunale di Terni, fece parte come assessore della giunta del sindaco Ezio Ottaviani e poi in quella di Dante Sotgiu, con la responsabilità dell’Urbanistica e dell’Edilizia.
Dieci anni dopo nel 1975 diviene assessore regionale, con delega al Territorio, ai Centri Storici e alla Ricostruzione post-terremoto nella seconda e nella terza giunta regionale. Eletto nel 1983 al Senato della Repubblica fu confermato anche nella legislatura 1987-1992. Aderì al Partito Democratico della Sinistra e nel 1993 si candidò a Sindaco di Terni, venendo sconfitto per una incollatura dal candidato indipendente liberal conservatore Gianfranco Ciaurro. Negli anni successivi ha ricoperto incarichi di prestigio sia amministrativi sia politici. Tra l’altro è stato dal 1995 al 2013 presidente dell’ICSIM (Istituto per la Cultura e la Storia d’Impresa Franco Momigliano), un ente di formazione e ricerca, con l’ambizione di favorire lo sviluppo della cultura di impresa e la valorizzazione nel campo dell’archeologia industriale. Autore di numerosi saggi di attualità politica, ha scritto anche su temi di letteratura classica, per esempio “Letteratura e pregiudizio. Diversità e identità nella cultura greca” pubblicato nel 2007 da Rubbettino.
Giustinelli ha, quindi, attraversato molte stagioni della storia di Terni, dell’Umbria e dell’Italia repubblicana ed è un testimone prezioso e informato. Appartiene alla migliore classe dirigente che ha prodotto la sinistra in Umbria, quella delle prime giunte regionali che favorirono la modernizzazione della vita economica e sociale. Il suo recente libro, di ben 700 pagine, non è però un libro di memorie, o per lo meno lo è solo in parte; ha l’ambizione di muoversi fra storia e memoria e di farlo offrendo, soprattutto, un ricco catalogo di brevi biografie di protagonisti: dirigenti di partito, amministratori, sindacalisti ma anche imprenditori e manager, uomini di cultura e professionisti.
Giustinelli non si limita a raccontare gli eventi di cui è stato diretto protagonista, ma inizia molto prima. Il libro, infatti, si articola in tre parti. La prima parte, “Dalla monarchia alla repubblica”, inizia alla fine dell’Ottocento, che per Terni significa l’avvio della grande avventura dell’industrializzazione siderurgica e chimica; attraversa, poi, il fascismo per arrivare al periodo della Resistenza (molte pagine sono dedicata alla Brigata Gramsci attiva nella montagne del Reatino e del Ternano), fino alla Liberazione. La seconda parte, “L’Italia fra conquiste civili e terrorismo” racconta gli anni del miracolo economico e la battaglia politica in Umbria fino alla creazione della Regione e alla affermazione alla sua guida delle Giunte di sinistra, a guida PCI, concludendosi alla fine degli anni Ottanta; la terza “Gli anni di fuoco” tratta soprattutto degli anni 1990 ed è centrata sulla lotta politica a Terni. Una appendice, infine, è dedicata alla vicenda dell’ICSIM.
È impossibile, in una breve recensione, fermarsi sulle tante notizie e interpretazioni che scaturiscono dalla pagine di Giustinelli. Le sue pagine hanno il merito di essere ricercate scrupolosamente, scritte in modo chiaro e con una ottima capacità di sintesi. In questo senso Giustinelli fa spesso e bene il lavoro dello storico, oltre ad aiutare i lettori e gli studiosi a penetrare meglio gli avvenimenti dandoci molti ritratti personali, frutto di conoscenza diretta o indiretta dei protagonisti. Il libro è certo di parte, scritto per valorizzare l’esperienza dei comunisti e della loro classe dirigente; nello stesso tempo racconta e interpreta con il massimo rispetto le vicende degli avversari politici: basti leggere i medaglioni dedicati rispettivamente a Filippo Maria Micheli, il potente boss democristiano, e a Fabio Fiorelli, socialista, a lungo presidente della provincia di Terni. Giustinelli fa uno sforzo per coglierne i meriti e le ragioni.
Un’altra caratteristica del libro è quella di leggere gli avvenimenti con una chiara lente di ingrandimento ternana: difficilmente troverete riferimenti a protagonisti originari di altre città umbre e anche i riferimenti a Perugia sono ridotti al minimo. È libro scritto per riequilibrare la interpretazione del Secolo Breve, dando quello che Giustinelli ritiene sia il giusto spazio, spesso trascurato, al punto di vista di Terni. Poiché il ruolo di Terni è stato davvero importante, spesso decisivo, credo che questo sforzo sia alla fine utile a tutti, tanto più che viene condotto senza forzature polemiche e municipalistiche.
Mi limito qui ad alcune sottolineature che mi sono sembrate molto significative, senza alcuna pretesa di completezza. Un capitolo breve ma significativo è quello sugli indennizzi elettrici, risultato della nazionalizzazione del 1962, che sarebbero dovuti arrivare in un primo momento alla Terni e che, poi, l’IRI Finsider promise sarebbero stati reinvestiti in Umbria per favorire la realizzazione del Piano Regionale del 1963. Furono, invece, letteralmente scippati, dirottati sugli investimenti nel Mezzogiorno. Questo fu un momento chiave: le partecipazioni statali a guida DC decisero che nella loro strategia l’Umbria era soggetto del tutto trascurabile e secondario, un atteggiamento che non fu senza conseguenze se si pensa che pochi anni dopo la Regione abbracciò a larga maggioranza la sinistra, mentre la DC regionale fu relegata in una posizione molto marginale.
Pagine interessanti sono quelle dedicate ad Alberto Provantini, un altro assessore regionale ternano del PCI, che si distinse per il suo attivismo nella politica industriale. Giustinelli lo lega in qualche modo al ruolo importante che ebbe il primo presidente della Regione, Pietro Conti, rimosso dall’incarico ad opera del suo partito nel 1975. Certo Provantini ci mise anche del suo, con la sua abilità a contrattare, nei limiti del possibile, sia dall’IRI che dall’ENI nuovi investimenti e la difesa di occupazione e di aziende esistenti. Egli partiva dalla constatazione che l’Umbria da sola poteva fare poco, senza costruire una rete di alleanze trasversali nelle altre regioni e città, nonché a livello politico nazionale. Diede vita, così, a conferenze e riunioni continue: sulla siderurgia, sull’elettrochimica, sulle partecipazioni statali a cui chiamava i suoi interlocutori e che si concludevano con petizioni ai vertici romana. Una strategia, quindi, per rompere l’isolamento e contare di più che rimase abbastanza unica in giunte regionali con la tendenza a chiudersi, piuttosto che aprirsi. Fu anche efficace nel lanciare per la prima volta l’Umbria come sede di eventi importanti, vedi Umbria Jazz, o come luogo di qualità per il turismo di massa. L’efficace attività di Provantini continuò anche alla Camera dei Deputati nel ruolo di vicepresidente della Commissione Industria.
Il Novecento a Terni di Giustinelli è ricco di figure politiche e sindacali, meno di figure di imprenditori e di manager, senza le quali, però, non è possibile promuovere lo sviluppo industriale. In questo senso la figura di Gian Lupo Osti avrebbe, secondo me, meritato maggiore rilievo. Infatti fu Osti a garantire la continuità della Terni nei tre decenni complessi e difficili fra il 1960 e il 1990. Non voglio raccontare qui una storia ben conosciuta, ma sottolineare solamente come l’investimento sull’acciaio inossidabile e magnetico promosso dalla Finsider nel 1960 con l’installazione di nuovi moderni impianti di laminazione era una scommessa sul futuro. Il mercato per i laminati piani inossidabili e magnetici era, infatti, ancora a uno stato embrionale, del tutto insufficiente per alimentare una grande acciaieria. Osti, arrivato nel 1965, si impegnò per mantenere intatta e modernizzare la struttura produttiva della vecchia Terni. Si rifiutò, quindi, di operare tagli socialmente dolorosi, ma lavorò anzi per aumentare le capacità produttive dell’acciaieria. Incorse però in gravi difficoltà finanziarie per varie ragioni, da lui ben illustrate nelle sue memorie, e in gran parte al di fuori della sua personale responsabilità. Erano state, infatti, promesse risorse dalla nazionalizzazione elettrica che non arrivarono e si dovette far ricorso ai debiti a breve con le banche.
Osti cadde quindi nella trappola che gli era stata tesa dalla dirigenza dell’IRI-Finsider, cioè dal duo Petrilli-Capanna. La Finsider si rifiutò di ripianare le perdite della Terni senza prima licenziarne l’amministratore delegato, che da quei vertici era da tempo malvisto. Complice di questa operazione fu Terenzio Malvetani, presidente della Terni di nomina DC. Dietro alcune promesse, accettò infatti, nel 1975, di dimettersi anche lui per favorire il licenziamento di Osti da parte della Finsider. Malvetani lo rivela abbastanza candidamente nelle sue memorie, riprese da Giustinelli. Non sono, però, due personaggi che possono essere messi sullo stesso piano: uno è stato un grande manager che prima di arrivare a Terni aveva avuto un ruolo di primo piano nella creazione della grande siderurgia italiana, l’altro un modesto politico e amministratore con un orizzonte provinciale. Licenziato Osti la Finsider non ha né le idee né gli uomini per rimettere in discussione le sue linee strategiche e, infatti, l’azienda non cambia, i programmi di Osti vennero mantenuti, fino a quando tutta la siderurgia non andò a sbattere contro la grande crisi degli anni Ottanta. A quel punto la Terni venne ridimensionata, ma poté reggersi ancora su le produzioni di inossidabile e magnetico capaci a questo punto di servire mercati molto allargati e in forte espansione.
L’ultima parte del libro di Giustinelli è dedicata all’ICSIM, di cui con rapidi tratti delinea bene le varie vicende, la ricchezza di idee e di progetti che lo alimentarono per circa 20 anni. La sfida era grossa: costruire a Terni un polo culturale, formativo e di valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale; sarebbe stata – e in parte cominciò ad essere − un’esperienza di avanguardia in Italia e in Europa. Tuttavia la classe politica locale e regionale, dopo un buon inizio, non la sostenne seriamente, ma, anzi, la lasciò progressivamente deperire, una vicenda davvero triste e un po’ squallida. E questo ancora di più se si pensa alle grandi energie intellettuali, che intorno all’ICSIM si erano mobilitate, sia dell’Umbria, sia nazionali ed europee. Mi piace soprattutto ricordare la figura di Enrico Gibellieri, da poco mancato, grande esperto sindacale di siderurgia europea che nell’ICSIM profuse molte energie. Ma si potrebbero fare tanti altri nomi prestigiosi. Giustinelli racconta tutto questo con grande lucidità e amarezza. Fu una sconfitta in primo luogo per Terni, che non mostra sempre la convinzione a cui pure la sua storia la abiliterebbe.