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Indispensabile il ruolo dell’Università. Ripensare il modello organizzativo delle Asl

di Francesco Menichetti*
Foto ©Fabrizio Troccoli

Il disavanzo nei conti della sanità regionale è pari a 243 Milioni di Euro ma scende a 90 Milioni perché parzialmente compensato da fondi della Regione (Gestione sanitaria accentrata, che risulta “attiva” per 153 Milioni).
Questa la pesantissima eredità lasciata dalla Giunta Tesei e dall’Assessore Coletto, il quale, dopo mesi di silenzio, ha confermato questi numeri, aggiungendo che l’inerzia del centrodestra umbro non è dipesa da lui, ma dallo stop che gli hanno imposto i suoi alleati e dal basso livello della politica locale.

“AUMENTO DELLE TASSE INEVITABILE, MA IN FUTURO LE RIDURREMO”
UMBRIA, STANGATA SUI CETI MEDI. SANITà, SI POTEVA FARE MEGLIO
COSA C’è DIETRO IL BUCO IN SANITà E PERCHè LE TASSE IN PIù
IL PIANO PROIETTI CONTRO LE LISTE D’ATTESA

La scelta della Giunta Regionale Proietti di presentare una proposta di legge che incrementi le aliquote delle tasse regionali (IRAP, addizionale IRPEF, tasse automobilistiche) tende ad evitare il commissariamento della sanità regionale, che avrebbe invece imposto le aliquote massime, generando una manovra da 120 Milioni di Euro.
Come ricorda l’Assessore al Bilancio Tommaso Bori, con il commissariamento e le aliquote al massimo, 30 Milioni sarebbero ricavati del ceto medio e ben 10 Milioni dai redditi sotto i 15.000 Euro, questi ultimi non coinvolti nella proposta di legge avanzata dalla Giunta Regionale, comunque intenzionata ad avviare una fase di ascolto e confronto con sindacati, parti sociali ed amministrazioni locali, prima delle decisioni che prenderà l’Assemblea Legislativa.
La Regione Umbria si trova anche a dover fare i conti con 40 Milioni di Euro di tagli nel prossimo triennio, previsti dal Governo Meloni come “compartecipazione alla spesa pubblica”, al punto che la “tassa Proietti”, se si vuole davvero andare alle cause e fermarsi agli effetti, andrebbe più correttamente ribattezzata “tassa Tesei-Coletto-Meloni”.
Comunque la si voglia chiamare, la sostanza è che non v’era un’alternativa a breve termine di fronte a tale contesto economico e di bilancio seriamente preoccupante (se non la messa in mora del Governo e il concreto rischio del Commissariamento governativo del SSR) ed è giusto interrogarsi su almeno due punti cruciali:
Perché le aziende sanitarie hanno chiuso i bilanci in rosso ? Mala gestione? Sprechi ? Difetti strutturali ?
L’eventuale prelievo fiscale sarà una toppa provvisoria o chi governa sarà capace di intervenire su (alcuni) meccanismi generatori del deficit, riformandoli ?
Se non si cede alla facile tentazione di scaricare tutte le responsabilità sui chi ha diretto le aziende sanitarie ed ospedaliere, attribuendo loro una gestione non ottimale, e si cerca di identificare i meccanismi generatori di deficit, salta immediatamente agli occhi come la mobilità sanitaria passiva (migrazione sanitaria in altre regioni) sia cresciuta costantemente negli ultimi cinque anni per una spesa complessiva di 111 Milioni di Euro.
Il valore negativo, pari a 10,3 Milioni nel 2020, ha raggiunto i 36,7 Milioni dii Euro nel 2024.
Come invertire questa tendenza, rendendo di nuovo attrattiva la nostra sanità regionale ?
E’ un processo comunque lungo e articolato, che richiede risorse ed investimenti, per rinnovare le strutture ospedaliere, le dotazioni strumentali e tecnologiche e, d’accordo con l’Università, per far tornare appetibili a professionisti qualificati le nostri sedi ospedaliere, con prospettive di lavoro e carriera.
Nessuno ha la bacchetta magica in questo senso, ma, anche per esperienza personale, posso dire che da troppo tempo poco è stato fatto in questo senso.
Per fidelizzare i pazienti umbri ed attrarne di nuovi da fuori Regione, occorrono servizi pubblici di qualità con professionisti di qualità, non inutili doppioni in grado solo di fotografare una realtà che rischia di essere obsoleta e insostenibile, oltrechè inidonea a rispondere ai nuovi e reali bisogni di salute.
Un altro meccanismo che potrebbe generare mobilità attiva (importazione di pazienti da altre regioni) con conseguente recupero economico ed economie di scala, potrebbe senz’altro essere rappresentato dalla rimozione del tetto del budget previsto per i pazienti extra-regione per il privato convenzionato: in tal modo, soprattutto per attività chirurgiche di alta specialità (ad es. protesi ortopediche), potremmo contribuire al risanamento di tale voce di deficit.
E’ evidente che la Regione non ha gli strumenti per intervenire su tanti aspetti rilevanti che richiedono urgenti riforme: la Scuola di Medicina, le Scuole di Specializzazione, l’inquadramento dei MMG e pediatri di base nel SSN, i tetti di spesa per l’assunzione di personale, specie infermieristico, assieme a stipendi più dignitosi e consoni alla funzione sociale svolta.
Ma molto può fare per ripensare dalle fondamenta il modello di una sanità pubblica che offre “tutto a tutti, qui e subito”.
Questo è infatti un modello ampiamente recepito dall’utenza, ma sostanzialmente demagogico ed inefficace, che non tiene conto dell’appropriatezza dell’offerta diagnostico-terapeutica: soltanto interventi di provata efficacia (medicina basata sull’evidenza) potranno realmente difendere (prevenzione) o contribuire a riacquistare (diagnosi e terapia) la salute del cittadino.
Puntare quindi a garantire le prestazioni realmente necessarie ed utili, e farlo in tempi rapidi e congrui con le problematiche che il cittadino/paziente presenta, sarebbe un formidabile strumento per abbattere le liste di attesa, oggi ingolfate da troppe richieste incongrue (che la letteratura scientifica stima in oltre il 40%).
Percorsi di tutela dei pazienti fragili, con patologie croniche, degenerative, oncologiche e tutte quelle condizioni che richiedono tempestività, continuità assistenziale sul territorio di residenza, appropriatezza ed efficacia.
Tentando nel contempo di non alimentare in modo indiscriminato l’offerta, ma mirando a contenere la domanda, orientandola verso le necessità più reali ed urgenti, con l’aiuto dei MMG, dei Pediatri di base, degli specialisti ambulatoriali.
Lavorando altresì su percorsi diagnostico-terapeutici che, basati sull’evidenza, limitino la richiesta di esami inutili, interventi chirurgici non realmente necessari, terapie di dubbia utilità.
Così si puo’ generare salute, risparmio economico ed efficacia del SSR umbro.
Ma è anche necessario ripensare il modello organizzativo e gestionale delle aziende sanitarie, limitando il criterio dell’appartenenza politico-partitica nella scelta dei manager, affidandosi invece, non senza vigilanza e controllo, a tecnici preparati.
L’appropriatezza dell’offerta diagnostico-terapeutica impone e presuppone contesti organizzativi appropriati. Avendo ben chiaro che il posto che compete al SSR dell’Umbria è insieme alle migliori Regioni del Centro-Nord, e ad esse occorre ancorarlo.
Stimolare l’Università, anche il nostro Ateneo perugino, a rilanciare la ricerca clinica indipendente, al fine di produrre le evidenze che necessitano al continuo aggiornamento dei LEA.
Fondi Europei, delle Università, delle Fondazioni, possono essere destinati alla ricerca ed utilizzati a tale scopo, favorendo partenariati virtuosi.
Lavorare sulla popolazione con una informazione corretta, che combatta le fake-news, ristabilisca la verità sul ruolo essenziale della prevenzione, sia vaccinale che di stili di vita, sin dalla prima infanzia ed a scuola. Ed abituarla a non alimentare e praticare il consumismo sanitario, inutile e costoso.
L’ obiettivo di rifinanziare la sanità pubblica al 7.5% del PIL, l’abolizione del tetto di spesa per il personale e la promozione di un grande piano di assunzione di medici, infermieri e tecnici per abbattere le liste d’attesa e rilanciare il SSN è corretto e condivisibile, così come le direttrici principali: più prevenzione, più prossimità, più integrazione tra sanitario e sociale, più attenzione alla salute mentale ed alla salute riproduttiva della donna.
Un Patto per un nuovo SSR: la Regione deve riappropriarsi del ruolo di guida politica, avendo chiari strumenti ed obiettivi: management delle Aziende Ospedaliere e Sanitarie scelto in base a dimostrate competenze, medici messi in condizione di esprimere al meglio le proprie capacità professionali; i cittadini certi di poter contare sui LEA, su prestazioni appropriate, prevenzione e informazione sanitaria.
E la politica locale (tutta, maggioranza ed opposizione) che, almeno per una volta, sia orientata all’etica della responsabilità anziché condizionata dalla logica del consenso a breve termine.
Anche la politica nazionale è chiamata a fare ciò che occorre davvero: urge una seria riforma del titolo V della nostra Costituzione, con il superamento delle sanità regionali che tante diseguaglianze ed inefficacia hanno prodotto nel nostro paese.
L’autonomia differenziata, invece, la possiamo tranquillamente lasciare agli Stati Federali che hanno risorse e cultura politico-istituzionale adeguate.
L’ Umbria deve affrontare la crisi della sua sanità regionale con una cura che magari sarà gravosa per i cittadini, ma potrebbe anche rappresentare, se correttamente gestita, una straordinaria occasione di rilancio e risanamento.
A condizione che la manovra fiscale non si limiti a ripianare il debito e ad evitare il commissariamento, avendo invece come chiaro obiettivo quello di ripensare e migliorare i servizi sanitari in base ai reali bisogni della popolazione umbra, senza cedere al populismo sanitario, che spesso fa rima con campanilismo, consumismo ed individualismo.
Servono nuove idee adeguate al nuovo contesto ed è questo il terreno della sfida “riformista” che la Giunta Proietti e la sua maggioranza sono chiamati ad affrontare per garantire un futuro di qualità al SSR umbro.

*Direttore sanitario, Casa di cura Liotti, Perugia. Già ordinario Malattie infettive dell’Università di Pisa