di Linn Rasimelli
Il 27 novembre, ai Food&Wine Italia Awards 2023 è stato premiato un ristorante perugino. Sappiamo tutti che in Umbria si mangia bene e che qua e là continuano a illuminarsi stelle Michelin, ma questa volta è diverso. A conquistarsi questo importante riconoscimento, oltre che un ristorante, è stato l’esercizio di un’utopia concreta: quella di Numero Zero.
Numero Zero, il ristorante inclusivo di Borgo XX Giugno è stato invitato a Roma da Food&Wine Italia a ritirare il premio per la Responsabilità Sociale nel Cibo, un conferimento significativo e molto caro alla Direzione dell’autorevole magazine lanciato nel nostro Paese 5 anni fa, ma che negli USA fa storia dal 1978. Un progetto editoriale capace di portare il tema dell’enogastronomia oltre la materia, elevandolo a un discorso culturale ed etico.
Accanto a Numero Zero, la premiazione ha visto salire sul palco star dell’enogastronomia italiana tutte premiate da una prestigiosa giuria di esperti e giornalisti, per il talento, la creatività, l’impegno sociale e l’innovazione.
Il premio per la Responsabilità Sociale nel Cibo di Food&Wine Italia è importante proprio perché conferisce a Numero Zero un riconoscimento al cuore del proprio obiettivo, ovvero la costruzione di un progetto sociale la cui responsabilità va oltre gli sforzi di chi ne apre le porte, apparecchia i tavoli, prepara piatti e li serve ai clienti del ristorante, ma vuole essere una responsabilità condivisa da una comunità. Per questo ritengo che valga la pena fermarsi a riflettere sull’importanza che questo premio ha per la città di Perugia, oltre che per il ristorante.
Partiamo da cos’è Numero Zero e come funziona.
La brigata di Numero Zero, in sala e in cucina, è costituita per metà da persone con disturbo psichico affiancate da professionisti della ristorazione, e da uno staff clinico che supervisiona la squadra e interviene nei momenti di difficoltà. Non solo un ristorante, ma un progetto sociale che nasce da un percorso lungo e articolato nato 25 anni fa con l’obiettivo di migliorare le condizioni di vita di persone con disturbi psichici e neurodivergenti, e quelle delle loro famiglie. Questo percorso si chiama Fondazione La Città del Sole. Un nome nel quale si visualizza subito da un lato un forte impegno positivo e dall’altro, uno spazio condiviso e illuminato.
La Città del Sole nasce da un nucleo familiare costituito da Clara Sereni, Stefano Rulli e dal loro figlio Matteo, e dal bisogno di condividere l’esperienza del suo disturbo mentale con altre famiglie, creando uno spazio di incontro, confronto, socialità e svago nel quale né la famiglie né i loro figli potessero sentirsi diversi e scomodi. E’ da qui che muove i primi passi l’idea più ampia e complessa di sviluppare una rete di progetti innovativi che possa rispondere a quelli che sono i bisogni primari di ogni persona, e quindi anche della persona con disturbo psichico: una casa, un lavoro e una rete sociale. Da quel lontano 1998, anno in cui venne fondata La Città del Sole, siamo arrivati fino ad oggi.
Che tutto ciò sia avvenuto a Perugia e in Umbria non è un caso. In molti non lo sanno o lo hanno dimenticato, ma sono questi i luoghi in cui, almeno 10 anni prima dell’approvazione della Legge 180 che finalmente impose la chiusura dei manicomi e istituì i servizi di salute mentale pubblici, prendevano vita i primi esperimenti di deistituzionalizzazione e progressiva creazione di servizi di assistenza psichiatrici territoriali.
E’ proprio a Perugia che nel 1965, con l’insediamento della nuova Amministrazione provinciale, ha inizio il processo di trasformazione che porterà la città ad assumere un ruolo di avanguardia nella lotta all’istituzione manicomiale, regolamentata dalla Legge n. 36 del 1904. Una legge direttamente connessa alla giustizia penale e alla pubblica sicurezza, che considerava le persone con disturbi psichici pericolose a sé e agli altri, e sulla base della quale venivano inflitti costanti processi di mortificazione e distruzione dell’identità civile e personale dei pazienti, creando un sistema e un ambiente de-umanizzato e de-umanizzante che colpiva anche gli operatori.
E’ interessante ricordare come il processo di trasformazione culturale messo in atto in Umbria in ambito psichiatrico e anticipativo della legge Basaglia del 1978 fu caratterizzato da un particolare approccio empirico che, a partire dall’osservazione costante dei contesti quotidiani, metteva in atto azioni che rispondevano a bisogni concreti. Prima che sul sistema si agiva sui dettagli, e la teoria si definiva via via attraverso i successi e i
fallimenti. A mettere in discussione e scardinare progressivamente l’intero sistema di valori sulle quali si era retta per tanti anni l’idea di necessità dell’esistenza dell’istituzione “manicomio” fu l’impegno sociale, civile e politico condiviso tra vari ambiti professionali e ideologici e che coinvolse attivamente l’intera comunità.
Dopo oltre mezzo secolo, il progetto Numero Zero si sviluppa con il medesimo approccio di allora.
Unendo le forze e con il contributo di molti soggetti della comunità, all’interno del Centro Diurno Psichiatrico fondato e gestito da La Città del Sole, nel 2019, sera dopo sera prende vita l’attività ristorativa. I professionisti selezionati e le persone indicate dai servizi socio-sanitari del territorio lavorano subito fianco a fianco, sia in sala che in cucina, formandosi vicendevolmente sul campo. I professionisti prendono le misure con i tempi, le difficoltà e le capacità degli altri; gli apprendisti acquisiscono competenze e sicurezza, facendo. Il metodo si costruisce con l’esperienza e osservando la pratica e si definisce su ciò che funziona.
Le porte si aprono alla comunità, sfoggiando piatti di un certo livello e tutte le diversità delle quali la brigata di Numero Zero va fiera, e a cui dà valore. Una sera dopo l’altra, in un angolo di uno dei centri storici più belli d’Italia, il locale si trasforma nell’indispensabile spazio nel quale si concretizza la possibilità di un incontro tra chi vive il disturbo psichico e chi ne ha paura, favorendo la conoscenza reciproca, e pian piano lo scardinamento del pregiudizio nei confronti del diverso. Uno spazio del quale oggi non possiamo più fare a meno.
Insieme agli altri progetti della Fondazione La Città del Sole, oggi l’esperienza di Numero Zero mostra già i primi risultati di una nuova rivoluzione culturale: una comunità più consapevole e meno spaventata accanto a tangibili giovamenti sulla salute mentale di chi si è messo alla prova.
Dove prima c’era alienazione e timore oggi c’è chi arrostisce patate, chi stappa bottiglie, chi mentre serve strappa sorrisi ai clienti e chi fa un corso da sommelier. Le difficoltà rimangono, ma c’è un luogo in cui si prova a superarle insieme. Questo luogo dovremmo essere tutti noi.