di Ludovica Cacciamani
Si può essere brave, belle, divertenti, seducenti, poliedriche, portate per la recitazione, il canto, il ballo tutto insieme? La risposta è sì se si parla di Virginia Raffaele, una delle artiste italiane più amate e apprezzate, salita sul palco del Teatro Morlacchi di Perugia con il suo ” Samusa’ “, per la regia di Federico Tiezzi. Tutto esaurito, neanche un posticino libero per lo spettacolo in cui la Raffaele racconta la sua infanzia. Un’infanzia “al contrario” come le piace sottolineare, vissuta nel luna park dove per decenni la sua famiglia ha lavorato, il LunEur, a Roma. Mentre tutti i bambini del mondo smaniano per essere portati alle giostre, lei dalle attrazioni voleva scappare, preferiva starsene a casa e non tra gli spari del tiro al Cinzano dove è cresciuta. Eppure, per quanto le abbia volute rifuggire, le giostre sono diventate una parte di sé che ancora oggi non può scrollarsi di dosso. Come può essere rimosso quel mondo dietro i cancelli verdi, quel microcosmo che ha perfino un proprio gergo sconosciuto ai “contrasti” (coloro che non sono giostrai), con personaggi dai nomi assurdi e pittoreschi? Impossibile. E allora giostra diventa la stessa Raffaele. Una giostra da cui il pubblico umbro non si stanca di scendere. Le scene di “Samusa” sono montagne russe di memorie e fantasie che Virginia intreccia con impareggiabile bravura, divertendo, emozionando, facendo commuovere e ridere a crepapelle i palchi e la platea del Morlacchi per due ore filate, intervallate solo dalle gag di tre acrobati con maschere da coniglio e frac. Uno spettacolo da one- woman show in cui Virginia Raffaele dà spazio alle sue più celebri imitazioni: diventa un’allucinata Patti Pravo in cerca di “amove” (amore), la pazza complottista che non crede alla scienza, la piccola nichilista Giorgia Maura con lo zucchero filato fatto di cotone, Donata l’anziana che passa ciò che le resta da vivere al telefono con un’amica, una soprano che non sa le parole della Carmen che deve interpretare. Nel finale però non dimentica i volti più pop, Ornella Vanoni, Sabrina Ferilli, Belen Rodriguez, Carla Fracci per divertire un pubblico già conquistato dal primo minuto. Ma Virginia porta in scena anche il suo passato, quell’ordinario straordinario che è stata la sua giovinezza al
Luna Park. È qui che Virginia dietro abiti strepitosi (costumi di Giovanna Buzzi) e suggestive scenografie di luci al neon (scene di Marco Rossi – luci Gianni Pollini), dà il meglio di sé. In particolare, nel racconto della visita del Papa al Luna Park, la Raffaele sprigiona tutto l’impegno per rendere omaggio a quell’umanità variegata e variopinta incontrata dietro i cancelli verdi del LunEur. Un crescendo polifonico e travolgente: sembra di essere in quella giornata estiva con le cicale che non smettono di cantare, con la concitazione per l’arrivo a sorpresa del Santo Padre, con l’ubriaco che dorme e poi si trova davanti un uomo vestito tutto di bianco, la zingara che chiede l’elemosina, Giorgia la “donna, madre, italiana, cristiana”, Renato che è polemico e discute con i giostrai per decidere se aprire o meno il parco giochi per via della visita eccezionale, con la signora che pulisce i bagni e sfrega le mani perché sa che ci sarà da guadagnare, con i rumori delle attrazioni.
Sul palco però c’è sempre e solo lei: Virginia Raffaele, brava, bella, divertente, poliedrica, portata per la recitazione, il canto, il ballo tutto insieme. Per lei e per i suoi mille volti non può che esserci uno scroscio di applausi.