di Fabio Maria Ciuffini
A Perugia è in costruzione una linea di BRT – che in italiano suona Autobus a Transito Rapido. Si tratta sostanzialmente di autobus elettrici di grandi dimensioni in servizio sulla congiungente Castel del Piano – Fontivegge, passando per l’Ospedale regionale. Ed è questo il principale punto di merito e contemporaneamente di debolezza della proposta. Infatti i tempi di percorrenza tra i due terminali saranno sempre più alti rispetto al percorso diretto. Peraltro è evidente oggi la necessità di un mezzo pubblico almeno parzialmente sostitutivo delle auto per raggiunger l’Ospedale: lo testimonia il suo gigantesco e, nonostante questo, insufficiente parcheggio.
Dunque raggiungere finalmente con un servizio pubblico efficiente l’ospedale, sia pure su di una sola direttrice, non può che essere considerato un passo avanti. La domanda che è lecito porsi però è se il sistema prescelto sia il migliore per una città con le caratteristiche viarie di Perugia e se lo stesso risultato non si fosse potuto raggiungere altrimenti. E converrà analizzare brevemente sia le caratteristiche di un sistema di BRT, sia le condizioni locali da soddisfare perché possa essere un sistema di successo.
La foto che mostra un sistema di BRT in funzione evidenzia sia quelle caratteristiche che le condizioni da soddisfare: Il sistema è infatti sostanzialmente basato sulla possibilità di garantire in una strada urbana due ampie corsie riservate e protette agli autobus che potranno così sviluppare un ampio guadagno di velocità sulle auto che li affiancano che appaiono in evidente stato di congestione.
Dunque, più che la velocità, in un BRT fa premio la maggior velocità rispetto al traffico dei mezzi individuali. Una maggior velocità che dovrebbe compensare i perditempo dovuti alle fermate. Perditempo che in una linea di BRT vengono ulteriormente ridotti con l’incarrozzamento rapido ottenuto usando piattaforme sopraelevate alle fermate e, contemporaneamente, adottando mezzi a pianale ribassato.
Dunque le prestazioni ottenute da una linea di BRT rappresentano il sogno di ogni gestore di Aziende di pubblico trasporto: mezzi stradali più veloci delle auto, per di più senza dover affrontare la spesa di costose gallerie o viadotti che caratterizza invece una metropolitana normale o, se è per questo, di Minimetrò! E questo agendo non tanto sulle prestazioni dell’autobus quanto su quelle della sede stradale pensata come “sede propria e riservata” cioè interdetta ad ogni mezzo che non siano quelli del sistema.
E tutto ciò – togliere spazio ai mezzi individuali a vantaggio di quelli condivisi – spiega il vasto consenso che ha raccolto tra gli ambientalisti già nel lontano 1974 l’intuizione di Jaime Lerner Architetto e Sindaco di Curitiba – Brasile 1,7 milioni di abitanti – che ha inaugurato il sistema BRT che è stato poi adottato in più di 150 città nel mondo. Laddove però siano disponibili o una sede stradale molto ampia che consenta di lasciare oltre alla sede del BRT, almeno una corsia per lato necessario per l’accessibilità a tutti gli edifici frontalieri oppure – ma più difficile – strade completamente riservate al BRT, con le difficoltà che questo comporta.
A Perugia questi presupposti mancano pressoché ovunque, ed infatti meno della metà dei 13 km di linea si svolge in sede propria riservata anche se la precedenza ai semafori ed alle rotonde riservata ai mezzi del BRT attenua questa mancanza. Inoltre per non dover affrontare in promiscuo il traffico della Pievaiola il tracciato del nuovo sistema fa una lunga deviazione (via delle Fratte – Via Sandro Penna) che gli consente sì un procedere più spedito ma anche un notevole allungamento di percorso.
Per di più il BRT giunto al passaggio a livello di S. Sisto potrà trovarlo chiuso e così questo avveniristico sistema (qualcuno lo ha definito così) dovrà inchinarsi al treno, il più antico sistema di trasporto motorizzato. Se aggiungiamo a questo la necessità che avranno i mastodontici (anche se snodati) autobus di praticare labirintici percorsi in promiscuo entro S. Sisto oltre a muoversi allo stesso modo entro via Settevalli, c’è da dubitare fortemente se questo BRT di Perugia sia veramente rapido o meglio ancora “più rapido”.
Questi limiti, a mio avviso, non sono in alcun modo compensati dal fatto che questi del nostro BRT saranno mezzi con un innovativo sistema di azionamento che elimina il dover trascinarsi le pesanti batterie che caratterizzano molti bus elettrici. Gli autobus del BRT perugino, azionati da motori elettrici, si ricaricheranno ad ogni fermata. Per incidens, questo però implica un costo elevato per questo sistema di ricarica distribuito ed una minore elasticità in rapporto ad eventuali futuri cambiamenti o deviazioni di percorso.
E penso anche che la dotazione di questi innovativi sistemi di azionamento aumenti molto poco o nulla l’attrattività del BRT. La clientela degli autobus – soprattutto una ipotetica clientela sottratta al mezzo individuale – gradisce certamente di più una eventuale diminuizione dei tempi di percorrenza. Insomma la percezione dell’azionamento elettrico lascerà probabilmente indifferente chi salirà sui mezzi del BRT e non sarà quella la caratteristica che sottrarrà domanda all’auto. Ma si potrebbe dire: se il BRT non è fino in fondo un BRT che problema c’è? L’importante è che funzioni! Ma qui, a funzionare, saranno solo i due tronconi Castel del Piano – Ospedale e Fontivegge – Ospedale, piuttosto che la linea nel suo complesso.
E c’è ancora altro da osservare. Infatti, oltre all’aumento di velocità dei mezzi collettivi c’è poi un ulteriore determinante fattore di successo che consiste nell’aumento della loro frequenza, tanto più necessario, paradossalmente, quanto più la maggior parte degli spostamenti è di pochi km. Ad esempio se in una città la maggior parte degli spostamenti in auto richiede meno di mezz’ora, mezzi pubblici che passano due volte l’ora difficilmente saranno competitivi, per quanto veloci possano essere.
L’auto che ti porta da porta a porta senza lunghi tempi di attesa e senza il fastidio di inutili (per te) fermate resterà sempre il mezzo preferito. In questo senso solo il taxi costituisce un mezzo veramente competitivo con il mezzo individuale, anche se il suo costo sarà sempre molto alto in ragione del costo della guida e dunque accessibile a pochi. E poi, a trovarli i taxi, stando a quello che succede oggi in giro per l’Italia!
Tornando al BRT perugino, oltre a non essere tanto rapido da meritare il suo nome, esso ha frequenze tutt’altro che elevate. Dunque i vantaggi attesi dal BRT si sarebbero potuti ottenere anche con normali autobus ecologici, magari con tratti in sede propria e con fermate ad incarrozzamento rapido e mezzi a pianale ribassato, collegando comunque l’ospedale ma distribuendo l’elevata spesa preventivata per il BRT (90,6 milioni di Euro) su un maggior numero di linee autobus e dunque potenziando l’intero sistema perugino di trasporto pubblico su strada. Ed è per questo che mi domando se il gioco abbia valso la candela, una costosa candela elettrica; personalmente avrei battuto altre strade guardando ad un possibile futuro dei trasporti urbani, magari anticipandolo.
Infatti, anche sotto il profilo ambientale la posta del gioco, la sfida che il mezzo collettivo oggi più che mai deve poter vincere (e che fin qui ha sempre perso) è quella decisiva di sottrarre domanda al traffico individuale. E un autobus capace di servire oltre ai passeggeri vincolati (quelli che non hanno un’auto o non la sanno o possono guidare) almeno una sola decina di viaggiatori che abbiano rinunciato alla loro auto, garantisce un abbattimento di CO2 molto superiore ad uno ad azionamento elettrico che però non sia tanto attrattivo da stimolare quella rinuncia. L’alternativa modale sarà a tutti gli effetti sempre più efficace di quella elettrica, peraltro anch’essa necessaria e va fatto ogni sforzo per stimolarla. E l’alternativa modale non è solo scendere dall’auto e prendere un autobus o un metrò. È anche quella di usare il mezzo di trasporto più antico che si conosca, l’andare a piedi o, tanto per restare ai mezzi mossi dai nostri muscoli, andare in bici.
Insomma favorire al massimo quella che viene definita la mobilità dolce in luogo di quella motorizzata. Dunque l’obiettivo prioritario da raggiungere è quello di ridurre non tanto gli spostamenti ma la loro lunghezza, e non solo a Perugia, ma in tutte le città italiane. E questo si può ottenere garantendo una distribuzione dei servizi di ogni tipo, da quelli commerciali alla scuola all’ambulatorio, tale che non sia necessario più di un limitato percorso a piedi per raggiungerli.
E, naturalmente, garantendo che la mobilità dolce possa svolgersi in condizione di sicurezza su di una rete di marciapiedi degni di questo nome o di piste ciclabili. Insomma, la formula vincente oggi consiste nel riorganizzare le nostre città in modo da trasformare la maggior parte degli spostamenti in spostamenti di prossimità, oltre a trasferire quelli di lungo sbraccio prevalentemente su mezzo pubblico.
Non è un’utopia: ci sono grandi città europee che hanno oltre il 50% di spostamenti fatti a piedi o in bici e meno del 20% in auto. Ma dove i marciapiedi sono larghi e ben tenuti, uniti a formare una rete e dove esistono piste ciclabili anche esse riservate e/o tutta la circolazione viene moderata abbassando i limiti di velocità (le tanto contestate, per ora, zone 30). E in Italia e a Perugia non è così. Basta dare un’occhiata in giro e vedere come in molti punti i marciapiedi o non ci sono o sono occupati da auto in sosta sempre comunque in pessime condizioni di manutenzione. E anche se riprogettare una rete di marciapiedi è un esercizio tutt’altro che banale, soprattutto dove guadagnare spazio a loro favore significa sottrarlo alla circolazione dei mezzi motorizzati, credo che valesse la pena di farlo in via prioritaria trovando i finanziamenti necessari. In questo senso il PNRR è stata un’occasione mancata: né Regione né Comuni hanno pensato di mettere in conto quella che in apparenza sembra una troppo umile destinazione di fondi.
E torniamo ai mezzi di pubblico trasporto. Essi, anche ammettendo di riuscire ad aumentare la mobilità di prossimità, resteranno pur sempre necessari per servire (insieme ai mezzi individuali) gli spostamenti di sbraccio più lungo. A Perugia con il suo territorio così vasto non mancheranno mai. E ad essi andranno aggiunti anche quelli di tutti gli umbri che convergono ogni giorno nel maggior centro di attrazione regionale. Basta guardare gli incolonnamenti sulla direttrice Perugia – Valle umbra per rendersene conto.
Per questi ultimi (oltre al completamento del nodo stradale sulla direttrice Madonna del Piano – Corciano) andrà comunque potenziata l’alternativa treno; e senza aspettare il tanto importante quanto sempre rimandato potenziamento della Foligno – Terontola. E per gli altri? Quelli che vengono oggi coperti al 90% da auto determinando condizioni di congestione come a Perugia non si erano viste mai? Con le lunghe file di auto ferme o che procedono a singhiozzo che fin qui ha caratterizzato il traffico delle grandi città è che ormai anche qui è diventata la regola?
Ci sono troppe auto per poche strade e un potenziamento della avara rete stradale perugina negli spazi ristretti a disposizione è praticamente impossibile oltre che probabilmente inutile: il detto “più strade, più traffico” è stato sempre ed ovunque confermato!
Anche in questo caso ormai credo che vadano messe in campo alternative tanto efficaci e competitive quanto radicali. Stando solo ai mezzi stradali, probabilmente cambiando la formula autobus grandi e basse frequenze (che è quella confermata dalla versione perugina del BRT) con quella autobus piccoli con frequenze elevate. Infatti, a parità di persone trasportabili, una flotta di autobus piccoli e frequenti sarà sempre molto più competitiva con l’auto di una di autobus grandi a cadenze più rarefatte. E maggiore attrattività competitività significa più persone in autobus e meno in auto. Che è quello che ci vuole per sconfiggere la congestione e abbattere la produzione di CO2. È una constatazione elementare questa: allora perché questa soluzione non viene praticata?
Perché c’è un fattore economico che la esclude ed è il costo della guida, che è indipendente dalla dimensione del mezzo. Insomma far circolare un minibus non costa molto meno di quanto non costi farlo per un autobus di dimensioni normali. Si dirà ma una flotta di minibus molto frequenti e veloci potrebbe attrarre più clientela e i maggiori importi potrebbero compensare i maggiori costi di guida. Inoltre potrebbe raccogliere passeggeri anche nei rami minori della rete dove oggi gli autobus non si avventurano, magari con anche mezzi a domanda.
Molto probabilmente è così, ma per ora nessun gestore di trasporto pubblico se l’è mai sentita di cambiare l’impostazione prevalente dei loro servizi anche se con un po’ più di coraggio, magari in poche direttrici varrebbe la pena di vedere l’effetto che fa. I bilanci sempre asfittici di tutte le società di pubblico trasporto hanno sempre sconsigliato di turbare gli equilibri economici raggiunti fin qui usando mezzi di dimensioni normali a basse frequenze.
C’è però all’orizzonte qualcosa che potrebbe ribaltare completamente la situazione ed è il risparmio di costi connesso alla guida autonoma e robotica dei mezzi pubblici. Molto più foriera questa di radicali cambiamenti nel traffico urbano di quanto non lo sarà la guida autonoma dei mezzi individuali. E se non a me, credete almeno in Carlo Ratti, l’architetto italiano che insegna presso il MIT di Boston, dove dirige il MIT Senseable City Lab e che la rivista Esquire ha inserito tra i “Best & Brightest” cioè la lista delle “50 persone che cambieranno il mondo”. Ratti appunto sostiene (lo ha fatto recentemente anche su Repubblica) che lo sviluppo della guida robotica dei mezzi collettivi è la strada da battere con convinzione per risolvere il problema della mobilità urbana. Ed è un traguardo che non è così lontano da raggiungere pensando ai giganteschi progressi dell’intelligenza artificiale che è alla base delle tecniche di guida robotica.
Fra l’altro, a S. Francisco, sta già funzionando un servizio di Taxi robotico senza conducente, primo servizio di questo tipo al mondo. Due società Waymo e Cruise, con flotte di tutto rispetto stanno già contendendo in California la clientela ai taxi tradizionali a guida umana. Lo stesso avviene da anni a Sion e un progetto europeo estenderà questo servizio a tutta la Svizzera e in molte altre città del mondo. In Italia, a Torino si sta sperimentando una linea servita da minibus a guida autonoma. Dunque sta già muovendo i primi passi la mobilità del futuro! Che prospetta una varietà di formule che si innestano su quelle oggi conosciute come i taxi, i buxi, le linee autobus e minibus anche a domanda, migliorandone le prestazioni ed abbattendone i costi.
Da anni, in questa città affermo e propongo – inascoltato – che occorre guardare con coraggio a questo preannunciato futuro e magari anticiparlo piuttosto che riprogettare il passato.
Dunque, innanzi tutto converrà fare il punto sui progressi della guida autonoma di mezzi stradali – anche per vincere la naturale diffidenza nei loro confronti ( io su un autobus senza conducente non ci salirò mai …) guardando a ciò che possono offrirci e come converrà mettere in campo da subito sperimentazioni per verificare la risposta della domanda alle formule di trasporto del futuro. E lo farò in un prossimo articolo.