di Antonella Valoroso
La straordinaria diffusione del culto mariano nell’Umbria medievale affonda le sue radici in un’antichissima tradizione di devozione alla maternità. Le origini di questa venerazione si possono rintracciare nelle kourotrophoi, statuette votive in terracotta che rappresentavano figure femminili con bambini, ampiamente diffuse in tutto il Mediterraneo antico e non estranee alla cultura etrusco-romana se è vero che il primo esempio di «Madonna del latte» compare nelle catacombe di Santa Priscilla a Roma. Queste antiche rappresentazioni della maternità protettrice e nutriente trovarono in Umbria un terreno particolarmente fertile, si trasformarono e si cristianizzarono nel culto mariano, ma al tempo stesso mantennero intatto il loro profondo significato di protezione dell’infanzia e celebrazione della maternità.
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L’Iconografia della Madonna del Latte
La rappresentazione della Madonna che allatta il Bambino ha una storia affascinante che parte dal V secolo d.C., quando il Concilio di Efeso riconobbe Maria come Madre di Dio. Dall’Egitto copto, dove nacquero le prime raffigurazioni stilizzate, l’immagine della Galaktotrophousa si diffuse attraverso l’arte bizantina per giungere in Occidente nel XII secolo, trovando in Umbria un ambiente particolarmente ricettivo. Probabilmente le prime immagini di Madonna lactans furono introdotte in Umbria dai monaci siriani che si addentrarono tra i boschi per fondare i primi monasteri e i primi eremi in Valnerina.
Una volta arrivata in Occidente, l’iconografia della Madonna del Latte subisce una modifica significativa. La raffigurazione frontale, ieratica e stilizzata viene difatti abbandonata mentre le figure e le pose assumono una nuova naturalezza. A questo punto la Madonna può stabilire un nuovo e più realistico rapporto con il Bambino, con il quale intreccia lo sguardo e al quale offre il seno con quel gesto semplice e naturale che da sempre accomuna tutte le donne.
Il massimo periodo di fioritura di questo modello iconografico si avrà tra il ’300 e il ’400, quando la visione della Madonna che allatta il Bambino diventa non solo testimonianza visibile del parto e della maternità, e quindi simbolo di fecondità, ma assume un significato religioso ancora più profondo: lo sgorgare del latte diventa segno di trasmissione della sapienza da parte della Chiesa verso il popolo.
Secondo lo storico dell’arte Leo Steinberg «La raffigurazione del bambino allattato al seno dalla Vergine […] esprimeva sia il suo bisogno di sostentamento in quanto bambino umano, sia il ruolo elevato della Vergine Maria come garante della sua umanità, proprio nella sua umiltà di madre nutrice». Tutto questo in un’epoca in cui i neonati venivano spesso affidati alle cure di una balia.
Un esempio emblematico della popolarità di questa tradizione in terra umbra è il Santuario della Madonna della Villa a Sant’Egidio, strategicamente collocato sulla via percorsa dai pellegrini diretti ad Assisi e a Loreto, un vero museo della devozione mariana in Umbria. Costruito a fine Trecento con lo scopo di proteggere un’edicola contenente l’immagine di una Madonna col Bambino del XIV secolo venerata in quanto miracolosa, la chiesa presenta le caratteristiche di santuario processionale, con le due porte di accesso collocate sui lati corti. Nel corso di circa tre secoli, grazie alle donazioni dei pellegrini, il santuario venne decorato con più di 50 affreschi dedicati ai temi più cari alla devozione popolare e realizzati da maestranze umbre e senesi, per un totale di oltre 230 metri quadrati di superficie dipinta. Il soggetto più rappresentato è naturalmente quello della Madonna con Bambino, spesso ritratta proprio come Madonna lactans che, a quanto pare, veniva invocata anche dalle comunità colpite dal flagello della peste.
Esemplari pregevoli di questa tradizione iconografica ampiamente diffusa su tutto il territorio regionale sono presenti nel Museo Diocesano di Spoleto, nella Chiesa di San Francesco a Gubbio e nel Museo del Capitolo della Cattedrale di Perugia, solo per citarne alcuni.
A partire dalla metà del XVI secolo, in clima post-tridentino, l’iconografia della Madonna del Latte venne tuttavia progressivamente abbandonata perché ritenuta troppo umanizzata e troppo sensuale per la nuova sensibilità controriformista. Il seno nudo di Maria, a quanto pare, distraeva un po’ troppi fedeli dalla preghiera. Le immagini già esistenti ebbero sorti diverse a seconda del vescovo incaricato di valutarle: alcune vennero distrutte, altre ritoccate. Molte immagini riuscirono tuttavia a sopravvivere proprio grazie alla devozione popolare.
L’Anello della Vergine: un simbolo di fede e appartenenza
In Umbria, la Madonna è venerata non solo come madre, ma anche come sposa. Questo duplice aspetto della figura mariana è esemplificato dai riti legati al culto dell’Anello della Vergine, punto focale della devozione perugina che fonde fede, cultura e identità comunitaria.
Conservato nella Cappella del Sant’Anello, situata all’interno della maestosa Cattedrale di San Lorenzo, l’Anello – considerato il simbolo del matrimonio mistico tra Maria e Giuseppe – attira ogni anno migliaia di fedeli e pellegrini, attratti dalla sua storia avvolta nel mistero e dalle leggende che ne amplificano il fascino.
Le celebrazioni connesse alla reliquia culminano nella festa dell’Anello, che comprende solenni processioni e liturgie partecipate da tutta la comunità. Tra i momenti più suggestivi della tradizione spicca la “calata” del Sant’Anello. Attraverso un meccanismo a forma di nuvola argentea, la reliquia viene esposta solennemente ai fedeli in due date ufficiali: il 29 e 30 luglio, in memoria del trasferimento dell’Anello dal palazzo del Comune alla Cattedrale avvenuto nel 1488, e il 12 settembre, festa del Santissimo Nome di Maria.
In passato, la “calata” avveniva anche durante il passaggio dei pellegrini diretti ad Assisi per la festa del Perdono. A questi viandanti si attribuiva una particolare devozione per l’Anello, considerato dotato di virtù terapeutiche: si credeva potesse favorire la lattazione nelle neomamme e migliorare la vista. Ancora oggi, l’esposizione straordinaria della reliquia può essere richiesta in occasione di eventi particolari della Chiesa perugina, previa approvazione del Comune, che tradizionalmente garantisce anche un servizio di onore e sorveglianza con le guardie municipali.
La storia dell’Anello della Vergine si intreccia con quella del capoluogo umbro, che ne venne in possesso attraverso rocambolesche avventure durante le quali l’anello, inizialmente custodito gelosamente dalla comunità di Chiusi, finì nelle mani dei perugini. Il Santo Anello non è dunque soltanto una reliquia, ma è diventato un simbolo di appartenenza per la comunità, capace di testimoniare il legame indissolubile tra sacro e profano che caratterizza la città di Perugia.
La mater dolorosa di Jacopone da Todi
Non si può parlare di tradizione mariana in Umbria senza menzionare la rivoluzionaria rappresentazione della Madonna quale Mater dolorosa nata dall’ispirazione di Jacopone da Todi, il mistico umbro che nel XIII secolo diede vita a un nuovo modo di rappresentare e vivere il dolore della Vergine Maria ai piedi della croce. La sua “Donna de Paradiso” rappresenta una innovativa umanizzazione della figura di Maria, presentata nella sua dimensione di madre straziata dal dolore. L’immagine della Mater dolorosa, che Jacopone descrive con toni accorati e parole che riecheggiano la sofferenza universale, divenne un modello di riferimento per l’iconografia e la devozione mariana successiva. La Vergine descritta da Jacopone non è infatti soltanto una figura sacra, ma è anche se non soprattutto una madre profondamente umana, capace di suscitare empatia e identificazione nei fedeli.
L’opera di Jacopone non rimase confinata all’ambito letterario, ma influenzò profondamente la spiritualità popolare e la cultura religiosa dell’Umbria e oltre. Le rappresentazioni della Mater Dolorosa iniziarono a diffondersi nelle chiese e nelle confraternite, diventando un simbolo centrale della pietà cristiana. La figura di Maria addolorata trovò una particolare espressione nelle processioni del Venerdì Santo, durante le quali la lauda di Jacopone veniva spesso recitata o cantata. Anche pittori come Pietro Perugino e il giovane Raffaello Sanzio furono influenzati dall’intensità emotiva della Mater Dolorosa di Jacopone, contribuendo a diffonderne l’immagine attraverso opere di straordinaria bellezza. La Vergine addolorata divenne così un tema centrale non solo nella pittura, ma anche nella scultura e nella produzione artigianale.
La tradizione inaugurata da Jacopone da Todi continua a vivere in Umbria e nel resto d’Italia, soprattutto durante la Settimana Santa. Le processioni che si tengono a Todi e in altre città umbre, come Assisi, Spoleto e Perugia, mantengono viva questa eredità, coinvolgendo intere comunità in un momento di riflessione e preghiera.
Attraverso le parole di Jacopone, l’Umbria ha donato al mondo non solo un capolavoro della letteratura religiosa, ma un’immagine eterna di amore e sacrificio, che ancora oggi risuona nel cuore di chi cerca conforto e speranza.