di Fabio Maria Ciuffini
Di questi tempi il comparto dell’auto non sta molto bene.
Al suo capezzale si affollano in molti a cominciare da La Repubblica che ci spiega come – preso come base il 2019, anno pre Covid – c’è stata una flessione nelle immatricolazioni in Italia del 18,7%. E se lo dice Repubblica che ha tanta FIAT nel suo DNA come non manca mai (doverosamente) di ricordarci, possiamo certamente crederci. Per la prima volta chiudono stabilimenti WV ed AUDI e Stellantis non sta molto meglio: il gruppo ha assemblato in Italia nei dodici mesi passati il 36,8% in meno rispetto all’anno precedente.
E nel 2024, la produzione di autoveicoli nell’Unione Europea si è attestata a 9,5 milioni di unità, solo il 40% della capacità produttiva teorica del continente.
Preoccupa soprattutto la flessione nelle vendite di veicoli elettrici a batteria, che ad agosto 2024 hanno segnato un decremento del 43,9% rispetto all’anno precedente, con la Germania e la Francia che hanno registrato cali rispettivamente del 68,8% e 33,1%. E si producono meno auto perché la domanda è calante. La gente compra meno auto di prima, e non puoi costringere nessuno a produrre o a comprare auto per forza.
Cerchiamo di capire perché, almeno in Italia.
Tre italiani su quattro, come ben sappiamo, usano l’auto per i loro spostamenti quotidiani e su ogni 1000 cittadini 684 possiedono già un auto. Questi dati fanno dell’Italia il paese più automobilizzato d’Europa. Insomma quello che “Audimob” chiama “il Garage Italia” è già strapieno e nonostante si tratti pure di macchine vecchiotte e malandate (il parco auto italiano è il più vetusto d’Europa) la spinta a rinnovarle, in tempi economici difficili come quelli odierni, ha perso molta forza e questo potrebbe essere un primo valido motivo per il calo della domanda. Ma c’è dell’altro. Oggi chi vuole o deve cambiare la propria auto è portato a scegliere quella che si ritiene l’auto del futuro: quella elettrica. Ma il passaggio dagli azionamenti termici a quelli elettrici sta risultando un cammino arduo e pieno di contraddizioni, una specie di miraggio. Così, anche e credo soprattutto per questo, tanti si tengono l’auto che hanno e girano con quella.
Un difficile passaggio
Mettiamoci nei panni di un signore qualsiasi che sente dire che il futuro è tutto dell’auto elettrica. E’ convinto che non sia solo una moda ed è animato anche da una forte coscienza ecologica, dunque, si dice, facciamo il gran passo verso il futuro. Poi però si accorge che per avere con un’auto elettrica equivalente le stesse prestazioni dell’auto che già possiede deve spendere un botto di soldi. Dal 30 al 50% in più del termico. Anche diecimila euro in più del corrispondente modello a benzina. Gli avevano detto però che rottamando la sua e comprando la versione elettrica avrebbe avuto diritto ad incentivi molto interessanti. Ma ha scoperto come, avendo aspettato solo un giorno per andare dal concessionario, gli incentivi fossero finiti. E, per ora, a comprare una nuova elettrica con prestazioni uguali alla sua non ci pensa più, perché non vuole fare certo la figura del fesso. Insomma o si incentiva tutta la domanda di auto elettriche o, paradossalmente la politica degli incentivi ne diminuisce la vendita, peggio ancora la speranza di nuovi incentivi, magari europei: a meno che non si stabiliscano incentivi “retroattivi”. Comprate auto elettriche oggi, vi daremo, se ci saranno, gli incentivi di domani! Tornando al nostro signore, potrebbe capitare però che la sua coscienza ecologica lo spinga a ripiegare su di una versione “economica”, ma quella andrà bene solo per girare in città. E se deve fare un viaggio fuori ? Dovrà comunque tenersi una seconda macchina, sia pure quella che ha già, e dovrà spendere di più per bollo ed assicurazioni e magari una delle due non gli entra in garage.
Il problema della ricarica
Già, il garage. Anche quello è un problema. Chi ce l’ha, il garage, ricarica la macchina di notte come il cellulare. Anche questa è una noiosa nuova incombenza, ma pazienza! Me se lui non ce l’ha il garage e tiene la sua auto (anzi le sue future due auto) in sosta in strada deve andare a caricarla alla colonnina. Si informa e vede che deve fare la fila perché ce ne sono poche in giro, non solo, ma che ci vogliono ore per caricarla anche se ha una batteria con poca autonomia. E se l’autonomia è poca allora dovrà ricaricarla più spesso. Insomma una gran perdita di tempo e non è nemmeno che la corrente te la regalano. Che la ricarica sia un problema reale lo testimonia il fatto che molti dei possessori di auto ibride plug-in, vanno solo a benzina, trascurando la ricarica.
Le meraviglie del futuro bloccano il presente
I giornali, google e compagnia grondano poi di notizie di nuovi grandi progressi nell’elettrico. Arriveranno nuove auto davvero rivoluzionarie. Ci saranno batterie allo stato solido che ti daranno 1000 km di autonomia e che ricaricherai nello stesso tempo necessario a fare un pieno di benzina. Costeranno anche molto meno, ti assicurano: sotto la soglia psicologica dei ventimila euro per auto elettriche molto performanti dotate di tutte le nuove diavolerie, inclusa l’assistenza alla guida, il parcheggio in autonomia etc etc. Inoltre potrai cambiare le batterie quando saranno esaurite con una cifra ragionevole. Non come oggi che il cambio delle batterie costa quasi come un nuova macchina. Per non parlare di chi favoleggia di motori ad idrogeno, ad ammoniaca o addirittura ad aria compressa, comunque ecologici come l’elettrico. E, a proposito di ecologia sente dire che il cambiamento climatico non c’è e che l’Europa rivedrà certamente i suoi obiettivi. L’elettrico? Tutto un equivoco! Anzi puro furore ideologico. Il futuro sarà altro …
Trump al suo insediamento ha detto agli americani: niente Green Deal, comprate l’auto che volete!
E sembrano inutili sia le minacce (Da domani le auto diesel non potranno circolare più; ma se qualcuno ci provasse sarebbe la rivoluzione!) sia le blandizie (le auto elettriche potranno circolare nelle ZTL non pagheranno né la sosta né i pedaggi in autostrada). Così, nonostante tutto, il nostro signore riflette: “Ma sai che c’è? Mi tengo la mia macchina termica! Funziona benissimo, non dà problemi, e poi perché spendere un sacco di soldi per un’auto nuova che sarà già vecchia il giorno dopo?” E se proprio la sua vecchia auto diventa un catorcio, ne compra una usata. E infatti, guarda un po’ il mercato dell’usato va a gonfie vele. Insomma tutto va nella direzione di posporre i nuovi acquisti anche se la voglia di farlo sembra esista ancora, come dicono alcuni sondaggi. E dunque, il nostro signore qualunque aspetta. Aspetta auto migliori, trasporti migliori, o forse, semplicemente, un’idea di futuro un po’ più sensata.
E poi c’è il problema, pressante, dell’occupazione …
Una riconversione per mantenere l’occupazione
Essendo uno che ha scritto tre libri e decine di articoli per dire che le auto in giro sono troppe, potrei esultare per l’avverarsi di una mia previsione, ma non lo sono affatto: il calo delle vendite ha gravi riflessi sull’occupazione. Ma sul calo dell’occupazione c’è da dire anche che ha pesato la progressiva robotizzazione della produzione – un processo ormai irreversibile – e il fatto che la produzione di auto elettriche è molto più semplice (il maggior costo è quello della batterie). E’ per questo che l’occupazione in Italia, anche quando il mercato tirava alla grande, è passata a Mirafiori dai 70.000 operai degli anni gloriosi a poco più di 10.000 addetti con Termoli, Melfi, Cassino e Pomigliano d’Arco che non stanno meglio. Dunque il mantenimento dei flussi produttivi alla fine servirà più ai dividendi che all’occupazione. Per salvarla o aumentarla – e lo dico inascoltato da sempre – sarà meglio pensare allora ad un mondo con meno auto e più mezzi pubblici o comunque condivisi ed alla conseguente riconversione delle produzioni. Ed invece quando si parla dell’auto sia in Italia che in Europa un assetto diverso dall’attuale non passa per la testa (quasi) a nessuno: il numero di auto circolanti è dunque la variabile indipendente. Mentre la variabile indipendente dovrebbe essere la mobilità delle persone ottenuta con un articolato mix di sistemi di trasporto individuali, collettivi e semicollettivi.
E la riconversione occupazionale, per non parlare di mobilità dolce, nuove reti ciclopedonali e restando ai soli spostamenti motorizzati, dovrebbe andare in due direzioni. Aumento della produzione di mezzi pubblici innovativi ed aumento del loro uso in tutte le città grandi e piccole d’Italia e d’Europa. E che ciò sia possibile è testimoniato da dati di fatto. Ad esempio gli autobus in Italia sono circa 100mila, numero invariato dal 2010 mentre il parco auto è aumentato di 5 milioni, passando dai 36 milioni di veicoli del 2010 ai 40,9 milioni del 2023; in più la flotta autobus italiana, oltre ad essere la più vecchia d’Europa è sottosviluppata se confrontata con quella degli altri paesi. E si tratta sempre di mezzi scomodi e poco attrattivi: dei camion per trasporto persone. Se si mettesse in campo una nuova generazione di mezzi innovativi e più attrattivi, inclusi quelli a guida autonoma, il produrli potrebbe assorbire una parte consistente della perdita occupazionale legata alla minore produzione di auto. C’è poi l’occupazione nel settore del trasporto pubblico. Dove il divario con le altre nazioni europee si fa ancora più netto. Gli addetti del TPL in Italia ammontano a 11,3 ogni 10mila abitanti, una percentuale molto lontana da quella della Germania (25,8), del Regno Unito (21,7) e della media EU27 (16,4) ed ha come conseguenza il diverso peso del TPL su PIL, pari in Italia allo 0,40%, contro lo 0,86% della Germania e lo 0,48% della media EU27”. Questo giustifica anche la disattenzione dell’Europa alla riconversione verso il mezzo pubblico. Loro ce l’hanno già. Dunque un adeguamento ai modelli europei potrebbe aumentare l’occupazione nel settore della mobilità collettiva compensando ampiamente la caduta in quello della mobilità auto. Potremmo però chiedere all’Europa qualcosa di simile ai LEP per il trasporto pubblico e i relativi finanziamenti qualcosa che cambi l’immutabile predominanza dell’auto nel trasporto urbano e, a parità di mobilità, salvaguardi sia il clima che l’occupazione.