di Franco Raimondo Barbabella
Roberto Napoletano, commentando la tragedia di Casamicciola, ha parlato di “Paese spezzato” per “colpe sistemiche di una politica che ha scelto la frammentazione decisionale”. Tutto risalirebbe alla riforma del titolo V° della Costituzione quando nel 2001, per un modo approssimativo e demagogico di concepire il regionalismo, si è dato vita ad un sistema confuso di poteri decentrati (materie concorrenti), in particolare proprio in materia di governo del territorio (art. 117), che ha avuto due conseguenze deleterie: ha reso inestricabili le responsabilità e ha tolto nel contempo allo Stato il ruolo di potere unificante della coscienza nazionale.
In verità dietro lo smottamento di quel monte, le case distrutte, i morti e il mare di fango, c’è dell’altro, c’è tutta la storia di una nazione fragile (lo è il 94% del territorio), che però non riesce a prendere coscienza delle sue fragilità se non in modo provvisorio, in occasione di ogni evento tragico e per la durata di un’emozione; soprattutto, non riesce ad approntare coerenti politiche né di prevenzione né di risanamento. Sarebbe dunque innanzitutto necessaria un’operazione di autocoscienza della nazione, perché è evidente che alla frammentazione decisionale si affianca una magistratura che non funziona, una burocrazia asfissiante e una irresponsabilità diffusa, un’illegalità strutturale e una politica della connivenza con quella e con questa.
Dopodiché, se non si vuole rimanere alle lacrime di circostanza, alla retorica della solidarietà dei primi due giorni e alle insopportabili fatue liti del momento, il tema è come sempre il che fare. E allora bisogna dire intanto come stanno le cose e poi passare alle riforme che servono, sennò alla retorica di giornata potremo aggiungere solo la vergogna. Come stanno le cose lo si evince da alcuni numeri che parlano di dissesto diffuso e trascurato, di speculazione incontrollata, di condoni a gogò, di illegalità coltivata e di spesa inconsulta per foraggiare clientele e inseguire il consenso. Dunque: 630.000 frane censite sul territorio nazionale ma nessun piano organico pluriennale di risanamento; a Ischia (63.000 abitanti) 28.000 pratiche di condono per abusivismo sparso su un territorio con vincolo di inedificabilità per quasi il 50%; spesa statale ogni anno di circa 70/80 miliardi tra quota 100, bonus 80 euro, reddito di cittadinanza, bonus 110%, atti di privilegio in cambio di consenso, soldi sottratti a interventi di prevenzione e protezione.
Da aggiungere a tutto ciò le operazioni di spesa demagogica della manovra finanziaria del nuovo governo e il permanere di un preoccupante rapporto sbilanciato entrate-spese (rispettivamente 49% e 54%) che alimenta il debito e blocca con gli investimenti anche le riforme, cosicché quando si fanno sono solo bandierine per un vantaggio di parte e del momento. Risultato: un Paese in declino, che dà bonus a gogò invece di riforme, che non fa figli, che invecchia senza i servizi per la vecchiaia, che costringe i giovani istruiti a cercare all’estero il lavoro che non c’è in Italia, che non cura il sistema formativo e il rapporto formazione-lavoro, che non fa manutenzioni. Si potrebbe continuare con parecchie altre conseguenze delle politiche del tirare a campare che ha accomunato nei decenni i governi di diverso colore, bianchi, rossi, verdi e gialli, ma basta così.
Non ci siamo, c’è una classe dirigente marziana. Di fronte al “Paese spezzato” e alla frammentazione decisionale che impedisce un governo razionale delle cose naturali e umane non si trova modo migliore della reazione demagogica del ministro dell’ambiente che grida “arrestiamo i sindaci”. Mentre sullo sfondo si agita il ministro Calderoli con la proposta accelerata di autonomia differenziata. E così la frammentazione decisionale potrà diventare finalmente frammentazione competitiva e il Paese spezzato diventare sbriciolato.
Occorre reagire. Occorre una grande operazione di riconversione politica verso un Progetto-Paese. Un compito rivoluzionario. Una moderna missione riformatrice. Chi se ne può far carico? Non i partiti tradizionali e i movimenti populisti, che non hanno visione generale impegnati come sono a leccarsi le ferite o in competizioni di puro potere, attestati su apparati concettuali inservibili in quanto lontani dal presente del mondo.
Rimane il civismo, con il suo radicamento territoriale, fatto di rapporti diretti con i bisogni, i diritti e i doveri di cittadinanza e le potenzialità di sviluppo, insomma le energie vitali del Paese, che però rimangono compresse e come sterilizzate se non trovano spazio dentro una politica di visione e di progetto nazionale con timbro decisamente europeista.
Il civismo autentico, quello che nasce e si radica nelle comunità e non nelle segreterie dei partiti, che non parla al proprio ombelico e sperimenta ogni giorno le difficoltà di governo delle comunità in carenza di politiche riformatrici, questo civismo ha le carte in regola per mettere a frutto le sue articolate competenze e costituirsi in Federazione Civica Nazionale: Nord, Centro e Sud, uniti con le loro specificità in uno sforzo congiunto per un Progetto Paese della speranza e della rinascita.
Ci uniscono sensibilità culturali, idee già espresse e idee latenti che attendono solo di essere messe a confronto. Ci unisce l’amore per la democrazia che funziona in quanto sa usare le procedure trasparenti e partecipate di autoriforma. Ci unisce una visione generale di impronta federalista, che unisce livello europeo con quello nazionale e quello regionale. Sappiamo per questo che va ricomposto l’assetto istituzionale del Paese: basta con le riforme spot, ci vuole una riorganizzazione generale dello Stato; no dunque a commissioni senza partecipazione popolare e si ad un’assemblea costituente eletta a suffragio universale. Va fermato il tentativo di peggiorare il regionalismo frammentato con la soluzione leghista del federalismo competitivo prima che siano stati definiti e assicurati i LEP e va riscoperta la forza riformatrice moderna del sistema delle macroregioni di Gianfranco Miglio.
Va riformata la legge elettorale nazionale per recuperare il rapporto tra cittadini ed eletti e invogliare con ciò i molti che oggi si sono allontanati dal sistema democratico a impegnarsi di nuovo in uno slancio riformatore. Perciò una nuova legge elettorale o proporzionale pura con preferenza o maggioritaria con collegi uninominali. Una impostazione questa che si deve poi ritrovare anche nei sistemi elettorali regionali, oggi troppo spesso caratterizzati da un centralismo funzionale a garantire il ceto politico piuttosto che a stimolare la partecipazione dei cittadini e a valorizzare il ruolo creativo e responsabile delle comunità.
Ma ci uniscono altre idee di grande forza innovativa in altri campi in cui il livello locale di governo si congiunge più strettamente con quello nazionale, dalla sanità alla scuola, dall’ambiente all’assetto del territorio, dalla promozione culturale al turismo e alle manutenzioni programmate. Ma su questa piattaforma lavoreremo nelle prossime settimane in preparazione della grande assemblea per la costituzione ufficiale della Federazione Civica Nazionale (FCN).
La quale poi sarà necessario che si apra al confronto rigoroso e costruttivo con le forze che vorranno fare della cultura riformatrice lo strumento per risanare un Paese oggi troppo sofferente per mancanza di politica. Io penso che per questo la FCN dovrà fin dall’inizio nascere come soggetto politico aperto innanzitutto alle culture liberaldemocratiche, liberalsocialiste e ambientaliste e sfidare sul terreno dell’unità riformatrice le forze di simile ispirazione già organizzate. Il vero campo largo che manca non è quello che mette insieme formazioni ibride con l’eterna demagogia estremista e populista, ma quello del riformismo che costruisce giorno per giorno le condizioni della democrazia e della società aperta.
La guerra ispirò gli artisti, rari i pacifisti. Ora è un videogioco