di Jolanda Bufalini
Fu la miccia più potente posta sotto la Cortina di ferro, quando , affermando che la Cecoslovacchia era un paese occidentale, riuscì a gettare pennellate larghe di colore sulla cartina grigia del socialismo reale. Anche se è vero che non tutto il grigio era negativo, le bibite, per esempio, prive di coloranti, non erano competitive con la Fanta d’importazione ma erano sicuramente più sane. Kundera, da questo punto di vista, non si faceva illusioni, guardava con acume critico la nuova patria francese (La lentezza), così come aveva smascherato nel folclore socialista l’evirazione della vera cultura popolare (Lo scherzo).
Sul punto della appartenenza della Cecoslovacchia alla civiltà occidentale, era d’accordo con lui l’altro grande scrittore ceco suo contemporaneo, Bohumil Hrabal. Fra gli anni ’80 e ’90 opposte tifoserie della dissidenza contrapponevano Kundera e Hrabal ma loro, gli scrittori, non partecipavano al gioco.
Scoprimmo quanto era stata importante la Francia, i suoi movimenti artistici e la sua poesia, il cubismo, il surrealismo, nella nascita della Repubblica cecoslovacca nel 1918, al di là della retorica mitteleuropea. E quanto doloroso dovette essere il tradimento di Monaco che cedette la giovane repubblica all’ ingordigia di Hitler.
Ho scritto banalità mitteleuropea non perché, ovviamente, sia da sottovalutare la storia asburgica , ma perché le approssimazioni geopolitiche fanno male alle libertà, all’auto determinazione, allo spirito critico di cui Kundera era ironico campione.
La sua generazione di intellettuali e di scrittori si è dovuta misurare con il gigante, con Kafka, dribblando i veti: era tedesco? Era borghese? Era pessimista e quindi negativo per il realismo socialista? Era ebreo?
Ho scoperto, leggendo la biografia di Philip Roth scritta da Blake Bailay, quanto dobbiamo allo scrittore americano, la cui famiglia aveva origini in uno Shtetl della Galizia, per la conoscenza delle letterature dell’Europa centro-orientale e di Kundera in particolare. Per quanto Roth avesse ben presente la differenza fra la propria situazione e quella di chi è costretto sotto una dittatura, anche nel suo caso l’essere classificato sotto il peso delle appartenenze vere o presunte, ha prodotto e produce pregiudizi liquidatori che non dovrebbero avere a che fare con la letteratura.