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di Stefano Ragni

Nel mondo della musica ci sono molti personaggi che vivono sottotraccia, senza clamore mediatico, costruendo passo dopo passo un consenso basato sulla serietà dei progetti e sulla verifica dei risultati. Eugenio Becchetti, perugino, è uno di questi. Pianista, e organista, da decenni si fa apprezzare come esecutore e come creatore di strumenti, restauratore di antichi manufatti sonori che senza la cura delle sue preziose mani sarebbero finiti nel dimenticatoio degli oggetti persi.
Chi lo conosce da anni se lo ricorda quando, ancora piuttosto giovane, si affaccendava intorno al maestro Wijnand van de Pol, storico musicista olandese, nella edificazione ex-novo di quello che sarebbe diventato l’organo da concerto del Conservatorio Morlacchi. Lo volle l’allora direttore Giuliano Silveri al culmine del suo prestigio di artefice di una vita didattica che  l’istituzione di piazza dell’Annunziata non ha più conosciuto: realizzò lo strumento la ditta Pinchi di Foligno che, proprio in quel lasso di anni stava innalzando a san Giovanni Rotondo quello strumento che avrebbe elevato il suo canto di lode alla memoria di padre Pio, santo di un cristianesimo turbolento, avvolto nel crisma delle architetture di Renzo Piano. Era il 1992 e l’organo del Morlacchi, catalogato come opera 396, diventava uno strumento prezioso per l’insegnamento e per il concertismo.
Ma già da tempo sapevamo che Eugenio operava all’interno di uno spazio religioso prezioso, quanto sconosciuto, che era la chiesa di s. Antonio abate. In questa aula che era appartenuta ai monaci olivetani, pregevole per una acustica che si sarebbe rivelata impareggiabile, giaceva letteralmente a terra, smembrato in più pezzi, uno strumento seicentesco firmato nel 1653 da Angelo Mattioli. Le alienazioni e le manomissioni a cui il sacro edificio era stato sottoposto dal parroco di allora, lo avevano ridotto a un ambiente muffoso, oscuro, polveroso. Anno dopo anno, pazientemente, con una manualità prodigiosa Eugenio e i suoi fratelli, ripulirono la chiesa angolo dopo angolo, ritrovando vecchi ori, stucchi, i due prodigiosi affreschi di Dottori e tante tele di cui si vedeva ormai la trama. Impianto elettrico riportato a norma, pavimento consolidato, pareti riverniciate ed ecco, dopo tanti anni di lavoro, l’organo Matttioli, certamente il più prestigioso della nostra città, pronto a far squillare la sua voce sotto le mani di colui che lo aveva riconsegnato alla vita, legno dopo legno, canna dopo canna, metallo su metallo, in una combinazione che, dal Rinascimento, celebra la potenza creativa dell’”homo faber”.
Professionalmente Becchetti ha passato la sua vita nel corpo docente del Morlacchi, dove per oltre quarant’anni ha esercitato le funzioni di accompagnatore al pianoforte, di docente di “Storia e tecnologia degli strumenti musicali”, e di “Storia della costruzione dell’organo a canne”. Nel frattempo svolgeva anche le funzioni di organista titolare nella Cappella Musical della Basilica Papale di san Francesco di Assisi, realizzando una serie di incisioni discografiche, una delle quali, dedicata a Mozart e Vivaldi, è in corso di emissione.
Consulente dei funzionari della “Sovrintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria” ha collaborato al censimento e alla catalogazione degli organi del territorio. Il sisma del 1997 lo ha visto in prima fila, nello smontaggio e nella messa in sicurezza di alcuni degli strumenti storici danneggiati: il tutto, a onor del vero, a personali spese.
Ma forse l’attività di cui Becchetti va più fiero è il suo muoversi nelle campagne umbre a caccia di campanili, emblema certo e visibile della presenza di chiese campestri, molto spesso in rovina. Quelle di cui Pasolini si sentiva pietra e rudere, secondo una sua pittoresca descrizione. Lì, sotto volte spesso malsicura, ci sono ancor strumenti del passato la cui voce è muta. Una volta il loro suono era l’orgoglio delle piccole comunità che li avevano voluti, e finanziati. Avere un organo era un motivo di prestigio e un
segno identitario della propria appartenenza. Oggi, in un momento in cui casolari e casupole cadenti, sono diventati oggetto di speculazione edilizia legata alla esplosione del turismo “danaroso”, rapace ed elitario, il ripristino di un organo può rappresentare un investimento in grado di creare anche eventi festivalieri di rilievo.
Lo aveva intuito tanti anni fa il citato e indimenticabile van de Pol quando aveva progettato e realizzato un festival organistico, che nel mese di maggio, muoveva i suoi ascoltatori tra Valnerina, valle spoletana e territorio casciano tra pievi e canoniche dimenticate. Allora, in tempi di un rimpianto regime di liberalità alimentare, si offrivano gustose merende di fave fresche e pecorirno. Al di là di ogni rimpianto scorrendo la lista degli strumenti che Becchetti ha personalmente restaurato e in gran parte ricostruito si resta impressionati dal lavoro svolto.
Personalmente abbiamo assistito nella scorsa stagione, al ripristino di due bellissimi strumenti del maestro organaro Adamo Rossi. Si tratta dello strumento del 1801 della parrocchiale di Fratta Todina e dell’omonimo del 1806 della parrocchiale di Castigliane della Valle. In questa ultima occasione, dopo essere stati riscaldati dal un enorme fuoco di ceppi di legna bruciati
all’ingresso della chiesa, abbiamo goduto, finalmente, di un abbondante conforto alimentare offerto secondo i crismi delle attuali norma igieniche. In città, a Perugia, confortati dalla presenza di don Paolo Giulietti, attuale presule di Lucca, abbiamo potuto apprezzare due mesi fa il lavoro svolto da Becchetti sull’organo Morettini del 1897 custodito in san Bernardino, nella cappella della Compagnia della Buona Morte, ma abbiamo mancato, con vero rimpianto, la reinaugurazione del Morettini del 1822 del borgo rurale, e oggi residenza di lusso, di Castiglion Fosco. Era l’opera 1 che Angelo Morettini aveva offerto alle religiose di santa Giuliana per la monacazione della figlia e che il conte Conestabile della Staffa aveva salvato dalla alienazione sabauda dei beni ecclesiastici. Certo è che, seguendo le tracce della attività di Becchetti, si ripercorrono le strade e le tappe della storia locale, sfogliando le pagine di un manuale che nessuno ha scritto, ma che si può ripercorrere agevolmente seguendo i cammini dell’ organaro perugino. Solo per citare i più antichi citiamo il mitico Luca Neri del 1635 nella basilica dei domenicani a Perugia. Strumento imponente che soffre della acustica di una chiesa che, come si sa, è stata ribassata dopo lo storico incendio. Lo
affiancano, nell’elenco, l’organo omonimo del 1630 nella chiesa della Piaggiola a Gubbio, e lo seguono il Pietro Fedeli del 1762 della parrocchiale di Castelvieto e l’omonimo della basilica di san Crispolto di Bettona, datato 1765. Apparterrebbe alla metà del ‘700 anche l’organo anonimo della chiesa della Confraternita di san Vitale ad Assisi.
Il cospicuo pacchetto degli Angelo Morettini, il capostipite della famiglia di organari che aveva la sua sede in via del Circo comprende l’organo di Cerqueto, del 1836, speculare al san Sebastiano del Perugino, quello di san Fiorenzo in via Alessi che è del 1829, e quello di Panicale, del 1835. L’Adamo Rossi di Villa Pitignano risale al 1827, ma il Morettini del santuario di Montemelino è del 1835. La Cattedrale e il san Domenico di Gubbio vantano a loro volta due Morettini del 1833 e del 1846, prima di passare a
Nicola, titolare di un ampio pacchetto di opere, dal Collegio della Sapienza vecchia (1860) alla parrocchiale di Pila (1912) al 1909 della parrocchiale di Tuoro.
A Castiglione del Lago ce n’è uno del 1871, ma la pittoresca chiesetta di san Pellegrino di Gualdo Tadino ornata di magnifici cicli pittori trecenteschi di Matteo, ne ha uno del 1915. Corciano, san Martino in colle, san Giovanni di Gubbio, san Secondo dei canonici lateranensi, la locale Chiesa nuova, il piccolo 1880 di Pieve di campo, il Morettini del 1912 di Monteleone d’Orvieto,
completano questa lista.
Ma abbiamo escluso i restauri fuori regione, come quelli realizzati nel territorio modenese, tra cui uno straordinario Malamini del XVI secolo d Polinago. Richiede attenzione anche la chiesa di Barchi, nei pressi di Fano che custodisce un prezioso Gaetano Callido, il principe dei costruttori di scuola veneta.
La particolare filosofia con cui Becchetti affronta l’impegno del restauro, ritrovare lo spessore e il timbro dell’antica voce dello strumento, spesso si misura con difficoltà obiettive, come la sparizione di canne, la loro manomissione, lo spostamento di registri, l’usura di legni e pelli e, letteralmente, il furto di tasti, che spesso sono di ciliegio, di pero o di bosso e vanno ricostruiti e ricollocati. Poi c’è tutto un mondo di elettronica che comanda i mantici, raccoglie e distribuisce l’aria, fa vibrare le canne e produce, al momento della accensione, quel caratteristico rombo da tuono. Strumento moderno che, oggi si innesca con un interruttore, ma che nel passato richiedeva forza di braccia e continuità nella regolazione degli ingressi d’aria e della sua redistribuzione.
E’ così, lo dicevamo, dal Rinascimento, quando si stabilì che l’organo è la voce di Dio, perché è una monade che canta in maniera ininterrotta, secondo un flusso vitale di respiro universale. In tal senso l’organo è anche strumento regale, perché rappresenta l’unicità di una asserzione politica, potenza umana che è riflesso di quella divina. Qualcuno, a proposito della musica di
Bach suonata all’organo, asserì che è l’unica e incontrovertibile prova della esistenza di Dio. Era Cioran, l’apolide, dissacratore, il creatore di aforismi fulminanti. Pure a proposito dell’organo ci sono due enormi famiglie religiose in contrasto. In una chiesa ortodossa non troverete mai un organo, perché per loro la sua costruzione e il suo utilizzo è un segno di decadenza morale, una
“indecenza” che offende la purezza della preghiera. Sfogliate una pagina di un uomo pure intelligente, un matematico, uno scrittore come Florenski che nel suo celebre “Le porte regali” vi spiega che il suono dell’organo è corruzione. D’accordo che Stalin lo spedì al Gulag e ce lo fece morire, ma non fu questo il motivo. La controversia tra cristiani datava da tempi antichissimi, quando Avakkun, il prete di Kazan che in pieno Seicento fondò la setta dei dissidente dei “vecchi credenti”. Se pensavate di aver lasciato queste cose dietro le spalle, riflettete sull’attuale momento storico che contrappone l’oriente dell’Europa al nostro occidente e fate un pensiero anche sulla accettazione o meno dell’organo come strumento di liturgia.
D’altra parte anche noi europei ci avevamo pensato sopra, quando in pieno Occidente positivista avevamo inventano l’harmonium, come strumento ad aria variabile, un non-organo, che esemplificava il rifiuto della monade ecclesiale rappresentata dalla fissità dell’organo e accettava che lo strumento fosse regolabile e misura di uomo, quindi di cittadino libero e in pieno
possesso della propria capacità di determinare e regolare il suo “suono”.
Questo avviene all’incirca all’epoca di Mozart e rappresenta il momento in cui la borghesia si sostituisce alla aristocrazia nella produzione della musica. L’organo ai chierici, l’harmonium agli “homini novi”, ai laici l’harmonium. Ovviamente potete chiedere a Becchetti che, nella sua ampia latitudine di esperto, maneggia da maestro anche poderosi harmonium, anzi ne possiede più di uno. Per anni la chiesa di s. Antonio è stata deposito di strumenti a tastiera delle più svariate provenienze che Eugenio acquistava per salvarli dal degrado e restituirli a vita acustica. Ora che il tanto materiale è stato trasferito in un apposito laboratorio, rimane a testimonianza un mastodontico Bechstein con tanto di iscrizione dorata d’epoca, il fatidico “K und K” che per noi va tradotto in “reale e imperiale”, come compete a fornitori musicali di monarchi universali.
Si può chiudere questo breve spazio dedicato a un musicista dal mestiere antico con uno sguardo sull’ elenco delle semplici collaborazioni che l’organaro perugino ha effettuato particolarmente con la ditta Pinchi di Foligno. Le città coinvolte spaziano da Cosenza, Roma, Pompei, Baschi, Agnone, san Ginesio, Teramo, Fabriano Camposabbo, nll’esercizio di un magistero che non finisce certo qui. Per noi Umbri la presenza di Becchetti costituisce un presidio artistico stabile e competente. Apprezziamo molto quel suo considerare le canne e i legni dell’organo del passato come un organismo vivente che non muore e non rinuncia alla sua elasticità e al suo respiro. In particolare, pensando agli strumenti storici, anche ai Morettini, che sono il più cospicuo patrimonio regionale, Becchetti sostiene che il loro particolare suono, vigoroso e corposo, nonostante le ridotte dimensioni, dipenda dalla particolare lega delle canne, pensate in relazione alla nostra cucina, fatta di sapori forti, penetranti e succosi. Per gustarli tutti insieme si potrebbe auspicare il ripristino di quel Festival Morettini che negli anni 80 realizzò van de Pol in stagioni felici. Una
cosa di cui potrebbe occuparsi la classe politica che emergerà da queste imminenti elezioni.