di Giampiero Rasimelli
“Nell’agosto 1973 andava in scena la prima edizione di Umbria Jazz. L’avvento di questo Festival fu qualcosa di realmente rivoluzionario nel panorama dello spettacolo musicale italiano. E non soltanto nel mondo del jazz, angusto e circoscritto agli addetti ai lavori. Più che un festival di musica, Umbria Jazz fu al suo apparire un fenomeno di costume, in seguito diventò anche un osservatorio privilegiato dei “modi” dell’aggregazione giovanile. Ancor più che per i critici musicali, fu il paradiso dei sociologi. È stata una vita avventurosa quella di Umbria Jazz. Sbocciata all’improvviso senza precedenti storici a cui fare riferimento, cresciuta tumultuosamente fino alla crisi, interrotta bruscamente nel bel mezzo degli anni di piombo, infine rinata con un nuovo pubblico, un altro scenario artistico, una mutata formula: forse il merito maggiore di Umbria Jazz, visto oggi alla luce dei suoi – (lunghi) – anni di vita, è proprio quello di aver saputo cogliere, magari involontariamente, i diversi momenti di questo variegato rapporto giovani – (pubblico) – musica. Perciò ripercorrere oggi la vicenda travagliata ma esaltante di Umbria jazz significa gettare uno sguardo lungo – (decenni) – sul tumultuoso rapporto musica-politica-impegno, sulle mutazioni genetiche del pubblico, sul fenomeno dei festival, sull’evoluzione del Jazz, sulla “contaminazione” cultura-turismo”.
Riportiamo queste righe dalla quarta di copertina del libro celebrativo dei 20 anni di Umbria Jazz (Vent’anni di Umbria Jazz, Electa Edizioni, 1993) perché riassumono in modo mirabile la storia di un evento e di un fenomeno che ormai rappresenta un tratto identitario della vita umbra, dell’essere Umbria e delle innovazioni importanti che hanno caratterizzato l’evoluzione della nostra società regionale in questi 50 anni. Quelle note analitiche valgono ancora oggi, pienamente e da lì vogliamo partire per una riflessione sul Cinquantenario di Umbria Jazz.
Come si è detto si tratta di un’avventura travagliata ed esaltante.
Umbria Jazz nasce dal genio di Carlo Pagnotta, grande appassionato di jazz che ha saputo diventare dal nulla una delle colonne del jazz italiano e internazionale e che ha portato avanti questo straordinario lavoro prima insieme alla Associazione Umbria Jazz e poi con la Fondazione Umbria Jazz. Carlo Pagnotta, ora novantenne, ha saputo dare moltissimo al jazz italiano e alla società regionale, un patrimonio unico, spesso sottovalutato anche a causa del suo proverbiale caratteraccio. C’è anche la sua firma importante sul fatto che il Jazz italiano sia oggi riconosciuto come uno dei migliori al mondo. E c’è tutta la sua energia e la sua pragmaticità nel fatto che Umbria Jazz sia riuscito a superare tante serie difficoltà in 50 anni e a conquistare con una crescente qualità del prodotto Festival grandi successi e unanimi riconoscimenti in epoche e in contesti tanto differenti.
Ma Umbria Jazz nasce anche dall’intuizione innovativa delle politiche pubbliche di quegli anni rivolte alla promozione dei territori, della cultura, del turismo. Una innovazione reale e profonda che ha cambiato nel tempo il volto della nostra regione, dei suoi centri storici, di Perugia, Orvieto e di tutta la Regione. Il nome più ricordato è quello di Alberto Provantini, Assessore all’economia e al turismo nelle prime Giunte dell’Istituto Regionale, ma si trattò di un sistema condiviso di scelte complesso e vitale, capace di coniugare diversi aspetti, urbanistica, beni culturali, attività culturali, promozione turistica ecc…
Il profilo di identità di Umbria Jazz ed il costante successo ottenuto nel corso della sua storia (con rari momenti di rallentamento e/o caduta) sono dovuti a due caratteri fondamentali. Il forte ancoraggio alla musica jazz, al suo movimento, alle sue espressioni artistiche, al suo pubblico, unito alla capacità di confrontarsi o di offrire agli artisti italiani e internazionali l’occasione di confrontarsi con altri generi musicali, dalla classica, al rock, al pop. Tutto questo in un rapporto unico e per certi versi irripetibile, tra musica e territorio che ha costruito momenti indimenticabili e una atmosfera talmente intima da rappresentare un’esperienza personale e collettiva capace di segnare i sentimenti, la memoria del pubblico e degli artisti. Basti ricordare le centinaia di concerti dei più importanti ed affermati artisti della scena mondiale del Jazz nei luoghi storici dell’Umbria. Tornano alla mente l’impressione fortissima, le sensazioni, l’onda di emozione culturale date in apertura della storia del Festival dal concerto indimenticabile dei Weather Report in piazza IV Novembre a Perugia, che segnò un’epoca di emozioni e svolte musicali. E come non ricordare le parole con cui Caetano Veloso e i suoi figli descrivevano qualche anno fa in una intervista a Radio Rai il clima della città, dei suoi vicoli, dei suoi luoghi storici attraversati dal jazz durante il Festival, l’unicità di quella esperienza a livello mondiale. Così come non si può dimenticare che Umbria Jazz ha suonato in tutti i continenti e ovunque è stato ambasciatore dello stile di vita italiano ed umbro.
Questo patrimonio e queste caratteristiche costituiscono, peraltro, la motivazione con cui il Parlamento ha approvato la Legge del 20 dicembre 2017, n.211, che riconosce Umbria Jazz come manifestazione di interesse nazionale (con tanto di contributo fisso statale di un milione di euro l’anno), per il suo livello qualitativo, per la sua formula in rapporto al territorio e per la sua proiezione internazionale. Questa legge, poi promulgata dal Presidente della Repubblica Mattarella, è stata ottenuta grazie all’iniziativa promossa dall’on Marina Sereni, prima firmataria del DL e da tutti i parlamentari umbri, ma anche grazie all’iniziativa della Fondazione Umbria Jazz e al pronunciamento (a mezzo della raccolta firme promossa per sostenere il DL) di decine e decine di artisti italiani e internazionali che hanno visto in questo atto parlamentare uno dei primi concreti riconoscimenti istituzionali della musica jazz, del jazz italiano e del suo valore, della peculiarità della formula Umbria Jazz.
Nelle motivazioni che illustrano le finalità della legge è scritto anche che Umbria Jazz produce attraverso la vendita dei biglietti circa un terzo del budget e questo viene riconosciuto come una buona prassi di gestione nell’ambito degli eventi e delle attività culturali in genere. In effetti questo è un dato significativo, in particolare negli ultimi anni, perché nonostante il terremoto prima (2016) e la pandemia dopo, il risultato dalla biglietteria premia l’attività di Umbria Jazz con una gestione positiva, come riconosciuto anche dagli atti ufficiali dei sindaci revisori, nonostante le restrizioni finanziarie derivanti dalla progressiva riduzione dei contributi provenienti da Regione, Enti locali e sponsor. Unica eccezione il subentro della Fondazione Umbria Jazz alla società TEMA nella gestione di UJ Winter a Orvieto, imposto dalla Regione nel 2017 in totale disaccordo col Consiglio di Amministrazione della Fondazione, che ha comportato, come previsto, una perdita finanziaria che negli anni seguenti è andata ad erodere il fondo di garanzia, poi ricostituito. Si trattò di un unico aspetto negativo nel panorama di un bilancio sano e in equilibrio.
Dal 2017 fino all’edizione 2019 il botteghino ha prodotto risultati molto lusinghieri, ma già lo scorso anno la biglietteria ha dato segnali nuovamente positivi in ripresa dalla pandemia 2020/21. Una ricerca condotta per due anni (2018/2019) dal Dipartimento di Economia dell’Università di Perugia dimostra che Umbria Jazz rimbalza direttamente sul territorio un valore che è più di tre volte (presumibilmente oltre 10 milioni di euro nella sola Perugia) l’investimento pubblico immesso nel budget della manifestazione. Considerando che l’edizione 2017 ha dovuto recuperare le difficoltà prodotte dal terremoto, quelle del 2018 e 2019 possono essere considerate tra le edizioni top, sotto tutti gli aspetti, della storia di Umbria Jazz. Poi è venuta la pandemia, con i suoi effetti drammatici, comunque ben gestiti dalla Fondazione. La polemica sui bilanci di Umbria Jazz che ha attraversato circa due anni fa il dibattito locale e che è approdata anche nell’Assemblea Regionale era ed è del tutto infondata. Forse era mossa dall’esigenza di motivare un legittimo cambio di governance della Fondazione a seguito del mutamento di indirizzo politico della Regione e del Comune di Perugia, ma i dati ci dicono che il Consiglio di Amministrazione dell’epoca aveva lavorato positivamente ottenendo buoni risultati senza aiuti finanziari né dalle ultime giunte di centrosinistra, né dalla giunta di centrodestra nuova entrata. Colpì quasi tutti gli addetti ai lavori quella discussione sollevata in Assemblea Regionale senza un’accurata analisi e senza la minima conoscenza delle problematiche proprie del sistema Umbria Jazz.
La verità è tutt’altra e va sottolineata con forza. Umbria Jazz è uno dei principali veicoli di visibilità nazionale e internazionale della nostra Regione, c’è stato negli anni, ma soprattutto nel 2021/22 (post pandemia, crisi economica, guerra, inflazione) un aumento vertiginoso dei costi (artisti, strutture e servizi, energia, sicurezza, logistica, ospitality per gli artisti e i tecnici… ecc) che unito alla riduzione dell’investimento degli enti locali e degli sponsor rischiano di compromettere l’equilibrio della gestione di questo evento-sistema. Per tutto ciò il consuntivo 22 si chiude con un deficit di circa 450.000 euro, quasi tutto determinato dall’aumento di alcune voci fondamentali di costo relative alla produzione del festival. Il piccolo sforzo in più, una tantum, compiuto dalla Regione in occasione del Cinquantenario, seppure manifesta il riconoscimento per l’importanza del Festival e della sua storia in Umbria, non è destinato a dare una soluzione di prospettiva. Tutte le imprese hanno faticato in questi anni pagando il prezzo della crisi economica e dell’aumento dei costi e quindi anche Umbria Jazz. Ma non è possibile valutare il Festival dal solo aspetto del bilancio e della sua buona gestione, che va garantita, come è stato. Non si può solo invocare il taglio dei costi, perché vanno difesi il livello qualitativo del Festival, la sua competitività nazionale e internazionale, la sua capacità di produrre una forte e positiva ricaduta economica sul territorio e sulla comunicazione del brand Umbria. C’è bisogno, quindi, di investimenti sul presente e sul futuro e qui le istituzioni locali hanno e avranno la responsabilità, nel bene o nel male, delle scelte che sapranno fare.
Le sfide dell’immediato futuro, dopo 50 anni di vita di Umbria Jazz sono due.
La prima è che l’insostituibile Pagnotta, a novant’anni, potrà e dovrà dare ancora un grande contributo alla Fondazione UJ, alla programmazione artistica, al consolidamento della squadra che insieme a lui ha costruito i successi di questi anni, ma è evidente che anche con l’aiuto di Pagnotta si dovrà gestire l’apertura di un nuovo ciclo. E qui il punto è molto chiaro: se non si vuole mettere in discussione quanto di straordinario e di straordinariamente concreto è stato costruito in questi decenni, Umbria Jazz Festival non potrà certo essere appaltato a qualche grande promoter musicale o ad una personalità “qualsiasi” del mondo della cultura e dello spettacolo. E questo al netto della frettolosa discussione aperta, dopo anni di silenzio, sul progetto di mega-stadio polifunzionale a Pian di Massiano che inevitabilmente porta con sé, ancora una volta, una discussione sul format di Umbria Jazz. Io nel merito concordo con la posizione fortemente critica sul progetto nuovo stadio esposta su questa rivista da Fabio Ciuffini, ma aggiungo che sinora non si è nemmeno valutato l’effetto di prospettiva di tutto ciò sul Festival e questo è l’ennesimo esempio di superficialità nella valutazione di questo grande patrimonio e dei suoi destini. Al contrario, Umbria Jazz dovrà continuare ad avere un legame fondamentale col movimento jazz italiano e internazionale, dovrà consolidare il suo staff, mantenere le sue caratteristiche identitarie, non perdere le sue qualità artistiche, rilanciare la sua capacità innovativa, la sua formula vincente, il suo pubblico, il suo rapporto col territorio.
La seconda sfida è che Umbria Jazz deve tornare ad essere, in forme e modi nuovi, un punto centrale della strategia di promozione dell’Umbria e dell’identità umbra, un tema commerciale, ma non solo. Un tema che riguarda anche gli altri grandi Festival umbri. L’Umbria dei Festival è parte significativa del brand Umbria e fonte concreta di reddito, lavoro, innovazione e va intesa come intimamente correlata e collegata alla gestione/valorizzazione del patrimonio storico, culturale, ambientale che è una delle risorse fondamentali per lo sviluppo dei nostri territori. Un asset strategico che deve trovare riscontro nelle scelte concrete, nei bilanci, nelle politiche locali di investimento e nell’attrazione di investimenti pubblici e privati. In Umbria la spesa per la cultura deve compiere un salto sostanziale di quantità e qualità. Senza un progetto di grande respiro e qualità (che riguardi i Festival insieme al sistema museale, al teatro, alla musica, al cinema, al teatro di base, alle attività culturali nel territorio e nelle periferie) il rischio di tornare indietro è forte e le scelte politiche saranno determinanti. Comunicare meglio il brand Umbria (cosa che si sta facendo) e indebolire contemporaneamente le sue eccellenze e il sistema culturale diffuso non sembra un gran progetto e non è una buona politica.
Ovviamente anche la Fondazione Umbria Jazz dovrà continuare a fare il suo mestiere, a garantire un prodotto che sia sempre più Festival, un grande laboratorio musicale di altissima qualità, ma non solo una rassegna musicale per un pubblico di addetti o fedelissimi. Collegando il suo programma artistico alle dinamiche della società italiana e della realtà internazionale, nutrendo e nutrendosi del rapporto con la città di Perugia e con le città dell’Umbria, innovando e arricchendo costantemente la sua formula. Aprendosi in modo non passivo alle tensioni e alle sfide culturali che attraversano l’Italia, l’Europa e il mondo, così come sempre, o almeno spesso, è stato. Proponendosi ad un rapporto innovativo e costruttivo, con gli altri Festival umbri, con l’Umbria dei Festival, appunto, che insieme possono dire e dare moltissimo alla scena culturale italiana.
Il Cinquantenario di Umbria Jazz è una cosa grande per l’Umbria e per la cultura italiana, merita di dare luogo ad una discussione importante, che guardi al futuro. Pagnotta e i suoi hanno costruito per il Cinquantenario un programma artistico di grande valore che avrà sicuro riscontro nel pubblico, l’atmosfera sarà straordinaria, è bene che ognuno dei soggetti interessati dia il meglio di sé, con serietà e responsabilità.