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di Fabio Maria Ciuffini

Il Ministero delle Infrastrutture ha stanziato ben 900mila per restaurare i magnifici arconi dell’acquedotto medievale di Perugia. La notizia venne anticipata più di sei mesi fa da Passaggi Magazine (articolo del 15 marzo 2024). Questo primo successo – come scrivemmo allora – era da attribuire ai volontari che da anni si erano impegnati per il recupero della splendida architettura e alla giunta Romizi. La nuova amministrazione si è mossa assai rapidamente e ha già compiuto i primi atti che porteranno al restauro: Vittoria Ferdinandi ha firmato l’accordo col Mit (Ministero Infrastrutture e Trasporti) che mette nero su bianco il finanziamento di 900mila. L’assessore Francesco Zuccherini ha ufficializzato tutte le informazioni del caso.
Fabio Maria Ciuffini nell’articolo qui sotto spiega come dovrebbe essere l’intervento di recupero e soprattutto invita a scavare nella zona perché ci sono sicuramente da riportare alla luce altre preziose architetture d’epoca, come un ponticello medievale. Basteranno i 900mila per completare l’opera e ritrovare i reperti interrati? Sicuramente no. Inizia dunque un periodo che richiederà nuovi finanziamenti ed un ulteriore impegno dei volontari e del Comune di Perugia. Ma, quando il lavoro sarà completato, Perugia disporrà di un percorso archeologico che racconterà i secoli della sua grande storia. Una passeggiata nel tempo a partire dal Duecento.

Sul finire del XIII secolo, quello d’oro della storia Perugina, furono progettate e iniziate tutte le opere che ancora oggi rendono famosa la nostra città: dal Palazzo dei Priori, al Sopramuro, alla Cattedrale, alla Piazza Grande, alla nuova cinta muraria che circondava le recenti espansioni al di fuori di quella Etrusca. E in meno di una generazione, 24 anni appena, vennero oltre che progettate anche completate sia la Fonte Maggiore, forse il più iconico monumento di Perugia, sia l’acquedotto che lo alimentava. Infatti, il 20 Aprile 1254 l’idea dell’acquedotto esposta da Fra Plenerio venne approvata dal Pubblico Consiglio e il 13 febbraio 1278 l’acqua dalle sorgive di Monte Pacciano lungo tre miglia di acquedotto arrivò alla Fonte Maggiore appena completata. Un’opera colossale per l’epoca quell’acquedotto, comunque non da poco anche secondo criteri moderni, fatto di “5 archi tra grandi e piccoli” – parole di Plenerio – oltre ad una serie di “bottini” cioè tratti in galleria dove passava la condotta delle acque, un enorme conservone ed una galleria filtrante lunga 500 metri, la Barigiana, scavata nelle viscere di Monte Pacciano. E nel 1322,  il tracciato fuori le mura urbiche venne sostituito da un altro, ancora più ardito, che è quello i cui periclitanti resti possiamo ammirare ancora oggi.

Ma se la Fontana Maggiore e l’Acquedotto costituiscono un indissolubile progetto unitario, un sistema in cui il bello e l’utile si sono magnificamente integrati, non altrettanto si può dire oggi, con l’acquedotto medievale ormai da tempo in disuso ed altre acque che sgorgano dalle tre ninfe che sovrastano le tazze bronzee.

Ed alle attenzioni (mai troppe però) comunque riservate alla Fontana ed al tratto urbano dell’acquedotto medievale fa riscontro la situazione di assoluta dimenticanza ed abbandono delle grandiose arcate delle Piagge, dello Spinello e di Ponte d’Oddi, del Conservone, della Conserva delle Vene, del Serbatoio esagonale del Faggeto, le opere cioè che insistono in quello che era l’antico “contado” perugino. Naturalmente la Fonte è un capolavoro artistico del tutto peculiare ed assolutamente ineguagliabile mentre l’acquedotto, per quanto ricco di opere monumentali di notevole bellezza, sotto questo profilo non lo è. Però sotto il profilo storico  la “condotta delle acque” da Monte Pacciano alla postierla della Conca e da lì in sotterraneo fino alla Fontana è altrettanto peculiare ed originale. Quello del 1254 – 1280 è infatti il primo acquedotto del medioevo concepito con la tecnica del controsifone che è la stessa usata in tutti gli acquedotti moderni. Un’anticipazione tecnico-tecnologica di alcuni secoli, che rese famosa Perugia come la città dove “l’acqua va per l’insù”. Che non ha guadagnato però la sopravvivenza a quest’opera tanto prodigiosa quanto dimenticata.

Come ben sa chi ha letto gli articoli che a partire del 2022 sono stati pubblicati su questo Magazine, a questa deplorevole situazione ha reagito un gruppo di volenterosi cittadini che hanno presentato delle prime proposte progettuali. E in termini di puro volontariato, quelli animati dal Circolo di Ponte D’Oddi che da anni propone il restauro dell’acquedotto. Quei cittadini hanno raccolto dei fondi con una sottoscrizione e con quelle somme ed anche con il lavoro volontario, hanno provveduto a liberare ed a rendere visibili le arcate dello Spinello e di Ponte D’Oddi dalle rovaie che ne impedivano persino l’avvicinamento. Qui foto di prima e dopo … la cura a Ponte D’Oddi.

In quel folto si nascondevano le arcate, inavvicinabili ed invisibili

Ora le arcate sono avvicinabili e visibili

Inoltre i volontari hanno reso finalmente praticabile un lungo tratto del sentiero pedonale che da Ponte D’Oddi raggiunge gli archi dello Spinello liberandolo da un arbusteto impenetrabile. Ed è stato così reso facilmente percorribile il tratto che va da Ponte D’Oddi allo Spinello. In quel tratto, fra l’altro, dal rilievo del 1733 fatto dal Cervellati dovrebbe trovarsi un ponticello medievale che varrebbe la pena di riscoprire, così come andrebbe fatta una campagna di prospezioni con georadar per ritrovare altre arcate o i loro resti che risultano dallo stesso rilievo e che sono probabilmente solo interrate. Ne restano comunque tracce nei vari toponimi “Archi vecchi” che sono restati nelle mappe a testimoniare che una volta, lì, c’era qualcosa. E se è vero che in quei tempi sparagnini non si buttava via niente e che le pietre di una arcata che non serviva più (il tracciato extraurbano dell’acquedotto del 1254 venne abbandonato per motivi mai chiariti, così come non è stato mai chiarita la sparizione di Plenerio e del mastro Bonomo dopo appena un anno di lavoro: un ”giallo” irrisolto, questo ) venivano usate per fare quella che l’avrebbe sostituita, dovrebbero essercene ancora lì interrate le fondazioni e sarebbe interessante ritrovare le tracce di quei “cinque archi tra grandi e piccoli” descritti da Plenerio nel Pubblico Consiglio del 20 Aprile del 1254 di cui esiste ancora intatto e giunto fino a noi il verbale in buon latino. Oltre agli interventi operativi cui si è già accennato il lavoro tecnico più significativo fin qui svolto dal gruppo di collaborazione è dato dalla esatta individuazione del tracciato dell’acquedotto del 1322 opera non banale se si pensa che di esso almeno il 90% è materialmente scomparso. Per individuarlo ci si è avvalsi del Catasto Pontificio dove i due acquedotti quello del 1254 e quello del 1322 sono contrassegnati con una doppia linea recante la dicitura “Condotta delle acque”, riportando poi quel tracciato sulla attuale planimetria catastale. A conferma della esattezza dell’operazione c’è che il tracciato riportato dal Catasto Pontificio si colloca pressoché ovunque al confine tra due finitime proprietà, cosa che rappresenta la più sicura testimonianza della presenza storica dell’acquedotto. E ad ulteriore conferma su quel confine generalmente è sempre presente una fila di alberi o di arbusti che sottolinea visivamente il vecchio percorso acquedottale.
Aver individuato il vecchio tracciato, oltre che per i futuri aspetti progettuali ha un’importanza fondamentale per il suo inserimento nel PRG e la sua futura protezione. E’ stata inoltre formata la mappa di tutti i manufatti acquedottali principali e secondari ai fini della loro tutela e salvaguardia nonché, e non è certo la parte meno importante, l’impostazione del Centro di Documentazione Digitale con il recupero della parte più significativa della documentazione storica riguardante sia gli acquedotti medievali che i successivi del Cerrini (che ricalca il tracciato del 1254) e quello da Bagnara (Nocera).

E’ stato inoltre riprodotto in scala, sia pure solo in bianco e nero, il rilievo dell’acquedotto commissionato al geom. Cervellati dal Comune di Perugia nel 1733. L’originale, che si trova all’Archivio di Stato, è lungo circa otto metri ed alto due ed è acquerellato. Riprodurlo a colori eventualmente con tecniche particolari potrà essere uno degli obiettivi della seconda fase di lavoro. Fin qui, in sintesi, il contenuto dei numerosi articoli da me pubblicati su questo Magazine. E …

Finalmente buone notizie!

Il motivo per cui a fine settembre 2024 si riprende qui un discorso interrotto quasi un anno fa è quello di dare finalmente alcune bellissime notizie, così come sono state comunicate nelle conferenza stampa tenuta il 25 Settembre dall’Assessore Francesco Zuccherini, competente per materia (Agenda Urbana, Lavori Pubblici, piano strade e marciapiedi, edilizia privata, Protezione Civile).

La prima che è di interesse generale è quella dell’Accordo istituzionale tra Comune di Perugia e il MIT (Ministero Infrastrutture e Trasporti) per i lavori di consolidamento e restauro di un tratto dell’acquedotto medievale di Perugia fuori dalle mura del Centro Storico, nonché per la realizzazione di un percorso ciclopedonale che lo affianchi e che ne consenta la piena fruibilità sotto il profilo culturale e turistico. Il tutto per l’importo di Euro 900.000,00 (Novecentomila!). Accordo firmato dalla nuova Sindaca di Perugia Vittoria Ferdinandi, dal Soprintendente Archeologia Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria e dal Provveditorato interregionale alle opere pubbliche Toscana – Marche –Umbria.

Dopo anni di incuria si apre finalmente una fase operativa decisiva per la sopravvivenza dell’acquedotto. E mi azzardo a pensare che a tanto si è giunti anche per l’opera di quei cittadini che hanno restituito l’attenzione che merita all’acquedotto medievale di Perugia. La seconda notizia è che a quei cittadini, con la Delibera n. 247 della nuova Giunta, viene confermato il ruolo che già era stato loro assegnato con il patto di collaborazione del 14 Giugno 2023[1], ribadendo il senso della loro proposta e cioè che, oltre all’obiettivo da essi indicato della sopravvivenza “di alcune parti in condizioni di estremo degrado dell’antico acquedotto”[2], si dovesse “individuare la collocazione ed i resti anche interrati dei manufatti acquedottali”, la loro fruizione mediante la sistemazione di un percorso di pedonale nonché un centro di documentazione digitale e una mostra permanente sull’acquedotto (e la Fonte).

Fermo restando che sarà del Comune la titolarità di un progetto di fattibilità – tecnico economica e di ogni altro strumento di divulgazione quali la mostra permanente o il centro di documentazione – a questo fine i soggetti contraenti il patto di collaborazione forniranno ulteriormente al Comune “studi progettuali, ricerche storico culturali, documentazione fotografica “ oltre a promuovere “iniziative culturali, didattiche e tecniche” per avviarne e collaborare alla loro formazione. Tutto risolto dunque?

I lineamenti progettuali

In gran parte certamente sì e non si può che salutare questa ultima fase con grande ottimismo. E però credo che il percorso operativo non possa aprirsi se non dopo aver risposto ad alcune domande.
Intanto: come sarà fatto il restauro? Secondo quali principi? Prendiamo il caso dei resti delle arcate dello Spinello. Quella che segue è la ricostruzione della consistenza originale delle arcate.

Fatta salva la necessità di averne conferma (in particolare per le ipotizzate opere di fondazione) come sarà eseguito, dopo la indispensabile ripulitura dalla vegetazione rampicante/infestante, il restauro di ciò che ne resta e che è riportato qui sotto?

Ci si limiterà soltanto (previa messa in sicurezza del tutto) a consolidare le arcate A e D, nonché i piloni B e C oltre a ricercare gli eventuali spezzoni di piloni e loro fondazioni da 1 a 6  (e sarebbe già un’operazione di non poco conto) oppure si punterà a ricostruire almeno parzialmente le arcate unendo tra loro i tratti A, B, C, rimontando gli archi che li univano in muratura? Dunque operando l’ “anastilosi”, cioè la ricomposizione di parti esistenti ma smembrate di un antico manufatto.

Le arcate dello Spinello in una foto degli anni ’90 del secolo scorso

Del resto le arcate ancora esistenti dimostrano che ininterrotti interventi di riparazione (fra l’altro tutti documentati) dopo crolli o altri danneggiamenti sono stati fatti anche in passato, sempre con materiali di recupero (e sotto le arcate ci sono ancora, oggi che per fortuna i furti di pietre sono un po’ desueti, cumuli di materiali a suo tempo distaccati dal corpo degli archi o dei piloni). E fare ovviamente altrettanto per tutte le altre arcate ancora esistenti come quelle di Ponte D’Oddi, mentre per quelle delle Piagge di cui restano solo i piloni si potrebbe ricostruirne il profilo con sagome d’acciaio. E’ questo comunque il percorso progettuale che intende percorrere il Comune di Perugia come affermato nella conferenza stampa di mercoledì 25 settembre, cui si aggiunge un’ipotesi estremamente suggestiva: quella di ricostruire sugli arconi gli antichi “parapetti mancanti” in modo da ricostruire un percorso pedonale “in quota”come accade già in Via dell’acquedotto alla Conca, inclusa la “realizzazione di scale/rampe esterne per consentirne l’accesso”. In altri termini la sommità degli arconi entrerebbe a far parte integrale del percorso pedonale, consentendo fra l’altro allo Spinello il superamento del Torrente Rio, fermo restando un sentiero ciclopedonale che affiancherà le arcate a livello terreno. Inoltre in almeno una delle arcate, a mio avviso, andrebbe riprodotto anche a scopi didattici, un tratto dello specus con le relative tubature di piombo prodotte secondo le tecniche descritte nei capitolati di allora.
E’ bene capire che la scelta delle alternative di intervento ha un valore prima di tutto culturale ben più che tecnico, e andrà fatta insieme alla Soprintendenza, ma è del tutto evidente che a seconda di come ci orienterà per il progetto le cifre in gioco non saranno le stesse.
Ed allora un’altra domanda: la cifra di 900mila euro sarà sufficiente al completamento dell’opera di restauro? Una prima valutazione si rende certamente necessaria per capire fin d’ora se ci si dovrà mettere alla ricerca delle somme eccedenti quella cifra, per quanto cospicua e provvidenziale essa sia.
Ed ancora: nell’accordo Istituzionale con il MIT tra le attività di competenza del Comune, oltre a molti aspetti tecnico-burocratici tra cui la ricostruzione del quadro catastale e l’ottenimento delle autorizzazioni di accesso delle aree interessate dagli interventi per cui già si è positivamente attivato sia il Comune sia i componenti del Gruppo c’è l’esecuzione delle attività prodromiche quali “sfalci, potature, approntamento di piazzole di piazzamento e sistemazione delle vie di accesso” che richiederanno una posta nel bilancio comunale non elevatissima ma comunque sensibile ancora da definire ma che nel corso della Conferenza Stampa è stato assicurato che verrà individuata. Quest’altra foto che evidenzia ad esempio lo stato delle arcate dello Spinello su cui crescono addirittura alberi, ci dice che quelle attività propedeutiche (sfalci e potature) non saranno cose da poco. Fra l’altro, nel progetto di restauro andrà inserito un progetto vegetazionale che valuti come e se eliminare le piante rampicanti che oggi avvolgono i piloni e, forse, li sostengono.

Ed ancora, quali saranno gli obiettivi da perseguire con le prime poste del bilancio MIT che vengono indicate in 50mila euro sia nel 2024 che nel 2025 mentre per il 2026 sarà possibile utilizzare l’intera residua somma di 800mila Euro? Oltre alla progettazione degli interventi di restauro non sarebbe il caso di approfondire da subito il tante volte proposto intervento di messa in sicurezza delle arcate residue sia dello Spinello che di Ponte D’Oddi per evitare che, mentre se ne studia il restauro, non abbiano a crollare definitivamente?
Va comunque rilevato che il percorso pedonale, che dovrebbe riunire la parte sommitale dell’acquedotto (o meglio degli acquedotti) con la Fontana Maggiore, a partire da Ponte D’Oddi dovrebbe entrare nel più generale Piano dei marciapiedi di cui ho parlato in un precedente articolo. Insomma, il percorso progettuale è ormai saldamente “incardinato” e, in prossime riunioni tra Comune e componenti del patto di collaborazione si spera che verrà definita la collocazione (Una biblioteca comunale? Oppure online in “Perugia Comunica” giornale online dell’Amministrazione Comunale o in tutti e due?) del Centro di Documentazione e l’impostazione della Mostra permanente sulla storia dell’acquedotto e della Fonte maggiore.

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A titolo puramente informativo riporto qui i Soggetti attivi del patto di Collaborazione

Circolo ponte D’Oddi A.P.S, Centro Socio – Culturale Monte Grillo, A.P. Associazione per il parco del Rio e del Bulagaio, Deputazione di Storia patria dell’Umbria, A.P.S. Associazione Vivi il Borgo, Associazione Culturale Monti del Tezio, Club Alpino Italiano SEz. di Perugia “G. Bellucci”, Sig. Olindo Stefanucci, Sig.a Cinzia Cicognola, Ing. Fabio Maria Ciuffini oltre a – last but not least – Cesare Barbanera e Mario Fondacci.

 

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[1] Il nome dei soggetti coinvolti è riportato alla fine di questo articolo.

[2] Tutti i virgolettati sono tratti da documenti presentati nella conferenza stampa.