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di Fabio Maria Ciuffini

Il Parlamento europeo ha definitivamente approvato il taglio delle emissioni di CO2 per auto e veicoli commerciali leggeri al 2035. Quel taglio equivale allo stop alla vendita dei veicoli a motore termico, alimentati a benzina o diesel. Da quella data potranno essere vendute solo auto ad azionamento elettrico. Una decisione fortemente contrastata (340 voti favorevoli contro 279 contrari e 21 astenuti, non proprio l’unanimità) in cui però la dividente tra destra e sinistra tra conservatori e progressisti – con confini molto mescolati tra loro – è stata non tanto sul decarbonizzare le auto, ma sul come farlo!
Ed a mio parere, al di là dei pro e dei contro che hanno agitato il dibattito, questa decisione risolve solo in parte i problemi della mobilità urbana e rischia, per questo, di lanciare un
messaggio sbagliato.
Ed io mi domando: perché ci si accapiglia solo su come decarbonizzare le auto piuttosto che pensare (anche) a come farne a meno?
Mi spiego meglio: guardiamo questo grafico, proveniente da fonti europee. La decisione del Parlamento Europeo si basa sul seguente postulato: visto che il 71,7% delle emissioni di CO2 provengono dal trasporto su strada e ben il 60,6% dalle automobili, rendiamo elettrici tutti i veicoli stradali ed avremo raggiunto la decarbonizzazione totale del trasporto stradale! E, siccome le auto servono soprattutto per muoversi in città o andarci, avremo così decarbonizzato anche la mobilità urbana!
Nemmeno da lontano si pensa a ridurre tutto quel rosso che impera sulla destra di quel grafico spostando domanda da qualche altra parte, che so io, su ferrovie, metropolitane e tram che sono praticamente ad emissioni zero.
Insomma il senso di quella decisione sembra essere: facciamole pure elettriche, le auto, purché restino la colonna portante della mobilità urbana e dunque cambiamo tutto – gli azionamenti delle auto – per non cambiare niente – la dominanza dell’auto privata ad uso individuale sul sistema della mobilità urbana!
Non certo uno spettro, ma un netto sapore gattopardesco s’aggira dunque per l’Europa! E naturalmente l’attenzione dei media e del mondo politico italiano si sta concentrando in questi giorni “solo” sul tema auto. Chi le fa, chi le vende, dove si fanno, chi ci guadagna (l’industria tedesca e cinese) chi ci rimette (tutti gli altri) e così via. Come se l’elettrificazione della mobilità sia l’unica via da seguire per risolverne i problemi. Come se non esistessero alternative di trasporto che potrebbero cambiare il segno della mobilità oltre che elettrificarla raggiungendo, fra l’altro più a breve, il traguardo della salvaguardia climatica.
E ve ne voglio dare qui un breve elenco:
Per primo ridurla, la mobilità: ci si può muovere meno, molto meno, senza rinunciare a nulla, ad es. rendendo i servizi urbani accessibili a piedi in non più di un quarto d’ora di cammino. Favorendo lo smart working, rivalutando – o meglio riaprendo – il negozio sotto casa piuttosto che il Centro Commerciale fuori città. Che peraltro potrebbe consegnare a domicilio le ordinazioni fatte online. Ovviamente il tutto con ampie
pedonalizzazioni e ovunque con marciapiedi ben transitabili e mezzi ettometrici per superare i dislivelli.
Poi muovendosi di più in bicicletta. La stragrande maggioranza degli spostamenti urbani si svolge su distanze alla portata di qualsiasi ciclista. Rendiamoli possibili e sicuri costruendo piste ciclabili messe a rete e non solo ridicoli tronconi qua e là, per servire l’intera città e, intanto, cominciamo ad ampliare le zone 30 a tutte le aree urbane!
Poi compiere un maggior numero di spostamenti urbani con mezzi collettivi elettrici in sede propria (metro, tram, mezzi ettometrici) o anche stradali, meglio se elettrici certo, ma soprattutto condivisi da più persone (dagli autobus, ai taxi) piuttosto che da auto individuali ad uso privato, lasciando comunque all’auto solo quegli spostamenti in cui il mezzo individuale risulta indispensabile. E, naturalmente,
mettendoli in campo quei mezzi, dove non ci sono.
Il tutto, ovviamente, senza integralismi di nessun tipo. Nessuno può essere obbligato ad usare solo un mezzo di trasporto come spesso accade oggi con l’auto! Piuttosto, ognuno dovrebbe avere ovunque – sia in centro che in periferia – un’ampia panoplia di mezzi a diposizione. Chi vorrà muoversi in auto lo faccia pure, l’importante è che chi non vuole farlo possa muoversi lo stesso e possibilmente a parità di costi. E’ il succo della “Città oltre l’auto”, come la definisco nel mio ultimo libro.
E va anche detto che le emissioni climalteranti di CO2 emesse dai trasporti sono tra i problemi principali per la salvaguardia del clima del pianeta, ma non sono le sole. Molte città nel mondo, e tutte quelle italiane, sono oggi in difficoltà quando non invivibili a causa del traffico congestionato e dell’inquinamento atmosferico e sonoro che ne deriva, dai connessi sprechi energetici e dall’incidentalità che si traducono poi nelle difficoltà quotidiane di milioni di persone ed in costi diretti ed indiretti.
Usando il mix di alternative che ho appena indicato, non solo la mobilità si riduce e ciò che resta diviene sostenibile – meno CO2, meno inquinanti, meno rumore – ma è di qualità infinitamente migliore perché si perde meno tempo abbattendo o eliminando del tutto la congestione, si consuma minore energia, si consuma meno di quello spazio pubblico oggi destinato alla sola mobilità automobilistica.
Dunque l’obiettivo della decarbonizzazione della mobilità può essere meglio raggiunto utilizzando quel mix e, in aggiunta, si risolverebbero tutti gli altri gravissimi problemi delle nostre città legati oggi ad una mobilità espressa prevalentemente da auto private ad uso individuale. Insomma, elettrificare la congestione non basta!
E questo obiettivo potrebbe essere raggiunto praticamente subito usando mezzi già esistenti e in uso, senza dover inventare nulla. Esistono infatti molte città e metropoli (non italiane purtroppo) in cui tutto ciò avviene già. Dove la grande maggioranza degli spostamenti (oltre il 60%) si svolge a piedi o in bici, un’altra quota significativa si svolge in metropolitana, tram o autobus e l’auto ha un ruolo del tutto marginale.
Guida autonoma di auto e mezzi pubblici
Se poi diamo uno sguardo al futuro vediamo come si possa aggiungere a quel mix l’uso di mezzi stradali elettrici, condivisi ed a guida automatica che potrebbero aggiungersi alla panoplia dei mezzi collettivi e semicollettivi già esistenti. Ci sono simulazioni e sperimentazioni sul campo che dimostrano come dei taxi ad uso singolo o anche collettivo a guida autonoma potrebbero diventare il pilastro portante della mobilità urbana ed a costi accettabili. Potremmo così liberarci dall’obbligo di usare un’auto di proprietà, ma avvalerci di un’auto ad uso semi-collettivo sfruttando l’enorme capitale di strade che la civiltà del “tutto auto” ci ha lasciato.
A questo punto mi pare di sentire già l’obiezione: i costi! Quanto costerebbe riorganizzare i servizi urbani, realizzare metropolitane, tram, marciapiedi funzionanti, piste ciclabili, taxi a guida automatica e così via, insomma rendere una città non solo sostenibile dal punto di vista climatico, ma anche sotto tutti gli altri profili: risparmio di tempo di salute e di spazio pubblico, minori consumi energetici?
E rispondo: quanto costerà realizzare la mobilità elettrica? Solo in Italia si dovranno comprare milioni e milioni di nuove auto elettriche, installare migliaia di torrette di ricarica, il tutto con costi stratosferici per i privati e per il pubblico. Una specie di superbonus elettrico!
Se agissimo su più tasti, oltre l’elettrificazione degli azionamenti, non potremmo risparmiare tante risorse quanto basta per realizzare una città certamente migliore?
E vengo ad un’altra obiezione: l’occupazione, fin qui usata per bloccare qualsiasi tentativo di cambiare segno alla mobilità urbana. Si dice: solo in Europa ci sono 16 milioni di occupati nell’industria dell’auto. Ridurne la produzione significherebbe creare disoccupazione e compromettere il PIL.
Ma ahimé, fare auto elettriche, molto più semplici di quelle termiche, richiederà comunque molto meno mano d’opera ed una parte di questa non starà nemmeno in Europa ma in Cina o in altre plaghe dove si accetta senza discutere l’inquinamento prodotto dall’estrazione e dalla raffinazione delle terre rare e del litio necessarie alla costruzione delle batterie. Nella “città oltre l’auto”, la minore occupazione per costruire automobili elettriche (che saranno comunque necessarie) potrebbe invece essere tutta compensata da quella necessaria per costruire e gestire le infrastrutture ed i mezzi per una mobilità più condivisa.
Insomma si potrebbe raggiungere un migliore equilibrio tra qualità della mobilità e delle città e costi per ottenerla, salvaguardando il clima senza ridurre l’occupazione.
E, in ogni caso, diciamola tutta: la transizione energetica è necessaria per salvare il pianeta, ma non potrà essere indolore a meno che non si avvii un processo di programma (oddio!) per ridurre al massimo le contraddizioni.
Che non mancano, anzi, visto che non c’è quasi nulla che non abbia i suoi pro ed i suoi contro: ad es., cogliendo fior da fiore su internet.
“A New York, con lo smart working, la città perde 12 miliardi di dollari l’anno. Che probabilmente si spenderanno non più nella metropoli ma nei suoi suburbia”. Dunque milioni di persone dovrebbero quotidianamente affrontare lo strazio del pendolarismo per salvare i negozi di Manhattan? Del resto anche Sala a Milano fece la stessa osservazione sul lavorare “a casa”, salvo poi correggere il tiro.
Ed ancora: “È boom di auto elettriche, ma ora gli ambientalisti, in America, le combattono”. Federico Rampini, autore dell’articolo, espone le “contraddizioni di cui siamo prigionieri” – e ci racconta di Biden che “da un lato tenta di ridurre lo schiacciante monopolio cinese nelle tecnologie verdi – batterie elettriche o pannelli fotovoltaici” dall’altro “cede alle pressioni di alcune lobby ambientaliste e dissemina ostacoli contro lo sfruttamento di risorse locali. A cominciare da terre rare e minerali strategici usati nelle batterie o nei pannelli solari. Rampini conclude attaccando “i guardiani della purezza… Sono contrari all’auto elettrica e propongono come alternativa un mondo popolato di pedoni, di biciclette e treni. È la loro idea della mobilità. Un’idea molto tipica da “ZTL”, da privilegiati che abitano in centri urbani ben serviti dai mezzi pubblici”. A parte il fatto che la ZTL mi perseguita, prima come iscritto al PD ed ora, secondo Rampini, come presunto esponente, vedi in po’, “delle frange più estremiste dell’ambientalismo”, vorrei dirgli che sono ben consapevole che chi abita in periferia ha spesso solo l’auto come mezzo per andare al lavoro in centro. La rivolta dei Gilet gialli in Francia lo testimonia. Ma non è vendendogli auto elettriche che si risolvono i loro problemi. Per esempio lo smart working e una redistribuzione dei servizi nelle periferie potrebbe ottenere lo stesso risultato, pur lasciandoli comodamente a casa loro.
Infine non mi sembra che si possano sottovalutare le obiezioni di chi pensa che l’uso dell’idrogeno prodotto da fonti rinnovabili possa essere utilizzato in motori termici innovativi. Lo si pensa già per camion ed aerei perché non pensarlo anche per le auto? La Toyota, per esempio, lo sta già sperimentando, ma lo stanno studiando anche a Torino. Però bruciare idrogeno con l’ossigeno dell’aria, se non produce CO2, fa emettere un po’ di NOx, il gas che fece giallo il cielo di Los Angeles. Dunque bisognerebbe trovare il modo di eliminarlo …
Infine un’ultima considerazione. L’industria tedesca dell’auto ha scelto, insieme alla Cina e prima di tutti gli altri in Europa, la sua via alla transizione energetica: auto elettriche a batteria. Ha un vantaggio e intende mantenerlo. In una Europa dove non si muove foglia che Germania non voglia, non si sfugge all’impressione che quel divieto datato 2035 serva molto all’industria tedesca. Non a caso da quelle teutoniche parti si va rassicurando l’industria italiana che avrà la sua parte nella costruzione di componenti. E che nessuno metterà comunque in discussione il primato dell’industria dell’auto sull’economia e sulla politica.
Certo l’UE, molto più sommessamente, avvia anche contenuti programmi in favore della ciclabilità e propone ricerche sulla guida autonoma, ma senza la terribile cogenza di quel divieto! Che ci fa pensare che l’Europa dei divieti è fortissima, molto meno quella della proposta.
Occorre dunque, per sfuggire ad ogni sospetto che l’Europa governi il processo di transizione in tutti i suoi aspetti. Che magari proponga ulteriori obiettivi per il 2035: sulla riduzione della mobilità, sulla quota minima di trasporto pubblico sul totale, sulla costruzione di piste ciclabili e marciapiedi. E magari finanzi pure, con fondi comunitari, i relativi programmi di potenziamento. Una sorta di PNNR-2.
E potremmo anche sperare che il Governo italiano, oltre a sollecitare l’Europa, si dia da fare per migliorare il sistema dei trasporti nazionale per renderlo più sostenibile con più ferrovie, più metropolitane, più mezzi pubblici, più marciapiedi e piste ciclabili? Che si vada oltre le polemiche e si faccia finalmente qualche proposta?