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di Sergio Zoppi

Credo possa far bene oggi all’Italia riportare l’attenzione su l’integrità morale, l’intransigenza sui valori che danno l’impronta alla vita democratica, la dedizione al bene comune, i servizi allo Stato resi come un dovere e un onore. Intendo riferirmi all’opera di due persone, Umberto Zanotti-Bianco a sessant’anni dalla morte e a Pasquale Saraceno del quale, in questo stesso 2023, ricorrono i centoventi anni dalla nascita. Il primo, nato a Torino nel 1889, figlio di un diplomatico e di una madre di origine scozzese, per l’intera sua vita si dedicò al riscatto del Mezzogiorno all’indomani del terrificante terremoto che nel 1908 devastò Messina e Reggio Calabria. Facendo nascere, con l’ausilio di poche decine di volontari, uomini e donne, numerose scuole per l’infanzia, curando centinaia di scuole elementari, dotando molti paesi di piccole biblioteche, realizzando il sorgere e l’operatività di presidi sanitari per contrastare il dilagare di malattie sociali, favorendo la costituzione di cooperative tra i pescatori.
Promotore e realizzatore di molteplici iniziative per contrastare l’analfabetismo, educare alla lettura, addestrare al lavoro produttivo svolto con dignità, è sempre pronto a sostenere le amministrazioni locali prive di ogni tipo di risorse e, in particolare, di apparati tecnici, insidiate dal parassitismo e dalla sopraffazione criminale. Uomo di pace si rivela ardimentoso combattente nel corso della Grande guerra che lo farà tornare a casa con una profonda ferita all’addome le cui sofferenze non cesseranno per l’intera vita. È un dichiarato antifascista, amico di Gaetano Salvemini e del giornalista Giuseppe Donati. Non si piegherà mai alla dittatura, sforzandosi di continuare, anche in anni ostili, l’azione a favore del Mezzogiorno, e della Calabria in particolare, facendo affidamento, per la realizzazione dei suoi progetti sulla generosità dei privati, principalmente del Nord. Aveva trovato il Sud, e per prima la “sua” Calabria, un «deserto spirituale». Constata che la mancanza di strade, la scarsità di acqua, la rete ferroviaria mal servita, la deficienza di presidi sanitari, non danno luogo solo a povertà, nella limitatezza delle occasioni di lavoro, ma comportano pure l’inaridimento delle coscienze. Si sente «fisicamente infelice» e «moralmente stanco» ma non viene meno al suo impegno. La seconda guerra mondiale lo annovera tra i resistenti all’interno del Partito liberale per il quale scriverà un lungimirante saggio L’autonomia regionale ispirato alla difesa delle libertà, a partire da quelle locali, del cittadino, viste come il più saldo limite all’onnipotenza e all’arbitrio dello Stato centrale. Sarà anche un rivoluzionario presidente della Croce Rossa Italiana.
Nel 1952 è destinatario di un provvedimento inaspettato. Il presidente della Repubblica Luigi Einaudi, suo antico estimatore, lo nomina senatore a vita. Si sorprende, si stupisce per la rilevanza dell’emolumento (che in larga misura dedicherà a sostenere scavi archeologici) ma si cala pienamente dentro il nuovo ruolo. Da quel momento e sino alla data della morte, avvenuta a Roma il 28 agosto 1963, dividerà il tempo tra palazzo Madama, l’Animi, l’associazione fondata nel 1910 per soccorrere il Mezzogiorno, e Italia Nostra, costituita nel 1955 per la tutela del patrimonio storico, artistico e naturale della nazione i cui promotori vollero, e alla fine ottennero, che Zanotti- Bianco ne fosse il primo presidente, rivelatosi subito la guida di memorabili convegni.
Nato 14 anni dopo in Valtellina, da genitori di origine meridionale e marito di Giuseppina Vanoni, sorella dello statista, Pasquale Saraceno, economista industriale di vaglia, anch’egli esemplare meridionalista, ha dato un contributo di assoluto rilievo alle politiche a favore del Mezzogiorno, al generoso ma non fortunato tentativo di realizzare in Italia la programmazione economica, con l’impegno, sempre mantenuto, di formare persone con elevato bagaglio culturale e professionale in grado di arricchire la ristretta classe dirigente del paese. Saraceno partecipò da protagonista alle vicende della politica economica nazionale a partire dall’occupazione alleata sino al termine della sua vita, potendo contare sulla Svimez, l’associazione per lo sviluppo dell’industria nelle regioni meridionali, sorta nel 1946 per volontà di Rodolfo Morandi, che ne fu il primo presidente, e di altri protagonisti della vita italiana, tra i quali Saraceno che della stessa Svimez fu il primo segretario generale. Un impegno il suo secondato solo parzialmente dalla classe politica dell’epoca e dallo stesso mondo imprenditoriale, pubblico e privato. Agì sempre da innovatore, con la capacità di applicare alla questione meridionale una visione di matrice cattolica illuminista – tipica della grande cultura lombarda – dell’industria come motore dello sviluppo, con la concezione del piano quale fattore decisivo della razionalizzazione dell’azione pubblica. Avrebbe meritato di essere annoverato, tra i senatori a vita. Visse quasi trent’anni più di Zanotti-Bianco. Decenni di grandi progressi economici e sociali ma caratterizzati anche dall’irrisolta questione meridionale, dalla crisi istituzionale di tutto il paese, dall’ondata, che pareva senza fine, della criminalità organizzata e dal terrorismo politico, rosso e nero. L’amarezza accompagnò gli ultimi anni di vita di Saraceno. Come Zanotti-Bianco, non venne mai meno all’impegno per un’Italia pienamente democratica. Ambedue eroi civili, al cui magistero sarà sempre vantaggioso ricorrere per accelerare e raddrizzare un percorso che, pur tra tante incertezze e contraddizioni, l’Italia aveva saputo intraprendere, dando contributi rilevanti all’avvio della costruzione, quasi un miracolo, dell’Europa.