Salta al contenuto principale

di Assunta Pierotti*

Trenta anni fa ero presidente del centro Pari Opportunità della Regione Umbria, e il giudice Paolo Vadala accolse la nostra richiesta di costituzione di parte civile in un processo che riguardava una giovane donna che era stata violentata dal suo compagno.
In quella occasione, grazie al nostro aiuto, aveva avuto il coraggio di arrivare al processo. La sensibilità e la professionalità del giudice e la nostra vicinanza permisero a quella donna di non sentirsi sola e le fu risparmiata quella dolorosa esperienza che hanno vissuto tante donne in processi in cui l’umiliazione, e la colpevolizzazione, avevano la meglio. Avevamo allora aperto uno dei primi servizi di aiuto alle donne: il telefono rosa e offrivamo un sostegno psicologico e l’assistenza legale. Ricordo ancora lo slogan: “Tra il silenzio e il pianto scegli la parola”. Delle tante donne che si rivolsero a noi, mi colpì in particolare, la storia di una suora settantenne, che venne violentata ad Assisi. Il suo abito e la sua vita non potevano certo giustificare gli argomenti grossolani, ma molto diffusi e condivisi, con cui venivano commentati questi fatti: la colpa è delle donne che indossano le minigonne, sono i loro atteggiamenti seduttivi che provocano gli uomini e li spingono ad agire violentemente. Sempre in quegli anni ho cominciato ad occuparmi di una patologia molto grave, difficile da curare, che ancor oggi colpisce prevalentemente le donne. Parlo dell’anoressia e della bulimia e anche nelle storie di molte di loro, dopo un lungo e profondo lavoro di analisi, c’erano racconti di abusi e violenze.
Cosa è accaduto, cosa è cambiato da allora? Come è cambiata la società, come sono cambiati i ruoli e le relazioni tra gli uomini e le donne? Proverò brevemente ad elencare alcuni punti: c’è sicuramente una maggiore consapevolezza, e sensibilità sono molto più le donne che hanno il coraggio di sporgere denunce, ci sono più servizi, anche se non sufficienti, ci sono leggi migliori. La morte recente di Giulia ha ampliato l’attenzione su questi temi e spero che si arrivi all’approvazione di misure condivise da tutte le forze politiche, misure di prevenzione, di tutela e di
educazione. Ma i dati dimostrano che tutto ciò non basta: i casi di violenza sono in crescita nel nostro paese e nel mondo, e troppo frequentemente ci ritroviamo a piangere sui corpi di donne brutalmente uccise. A questo va aggiunta una nuova casistica: i casi in cui i mariti, i fidanzati, i partner si tolgono la vita dopo averle uccise Siamo in presenza del fatto che l’aggressività è direttamente proporzionale alla fragilità e che per questo assume anche le forme dell’autoaggressività.
Come leggiamo queste tragedie? A quali riflessioni conducono?
Nel clima culturale violento che caratterizza il nostro tempo, il problema ha assunto dimensioni di una vera e propria emergenza, ma anche di una grande complessità. Un problema che non è possibile affrontare in modo superficiale, occasionale, emotivo, come a me sembra stia accadendo per questo e altri problemi. E non è tollerabile che qualcuno, ancor oggi, possa permettersi di scaricare sulle donne la responsabilità di questi crimini.
Vorrei però, e proprio per queste ragioni, parlare di questo tema, provando ad andare un pò oltre, aggiungendo qualcosa in più a quello che sentiamo continuamente ripetere in dibattiti che prevalentemente assumono toni e contenuti polemici.
Mi riferisco alla discussione sul modello sociale del patriarcato che ha assunto in occasione di questo ultimo caso le forme di uno scontro politico, penso agli slogan “bruceremo tutto”, urlati nei cortei di questi giorni. Siamo ben lontani dall’elaborazione teorica del femminismo anche italiano, che parlava della politica della differenza . Penso che tutto ciò non serva, che sia dannoso, pericoloso, considerata la gravità dei fatti e la violenza del tempo che viviamo.
Non è così che potremo arrivare a comprendere le ragioni che impediscono oggi alle persone di vivere relazioni di reciprocità e di rispetto: non è questa la via che ci porterà a migliorare le cose. Lo spazio a disposizione non consente un’analisi esaustiva delle radici psicologiche, sociali, economiche, culturali di ciò che sta accadendo, tratterò per questo solo un tema che a me sembra fondamentale. Di fronte alla violenza bestiale che sempre più spesso viene esercitata dagli uomini sulle donne, non si deve pensare che si tratti di un problema soltanto maschile e neppure di un problema solo psicologico e psicopatologico.
Penso che abbiamo a che fare con un problema della società in quanto tale, la quale non essendo più sostenuta da idee autentiche, che propongano principi e valori in grado di ispirare i comportamenti delle persone, va precipitando verso la barbarie.
Una cultura che si fondi sulla ricerca della Verità e che da tale ricerca tragga alimento, nel senso di domandarsi se quelle che vengono presentate come verità lo siano veramente e nel senso di riconoscere che solo intendendo la verità come fondamento indeterminabile di ogni determinazione, è possibile cogliere il senso delle verità relative e parziali.
Eliminato l'Assoluto dall'universo degli uomini, sono stati assolutizzati gli aspetti solo parziali e sono state promosse a verità le opinioni che per loro natura sono sempre discutibili.
Vorrei porre alla vostra attenzione il tema della cultura dello Spirito, grande assente nella cultura del nostro tempo, di una cultura non intesa come la riproposizione dogmatica di verità sancite dall’autorità, ma di una cultura che faccia emergere la consapevolezza del valore del “so di non sapere” socratico.
Un sapere. cioè, che ci fa comprendere che ciò che si cerca, la Verità appunto, non può mai venire ridotto a ciò che si trova, alle singole opinioni dei soggetti. E che la loro differenza rende inesauribile la ricerca, che ci permette di riconoscere i nostri limiti e ci impedisce di ritenere che vera sia solo la mia verità o se volete che vero sia solo il mio Dio. il So di non sapere che ci ha insegnato Sacrate inoltre costituisce il fondamento del dialogo sul quale deve ergersi la società degli uomini.
Chi sa di non sapere infatti è pronto a mettersi in gioco nel dialogo, è pronto a mettersi in discussione e si lascia fecondare dall’opinione dell’altro.
Mediante il dialogo la verità soggettiva, cioè la certezza, l’opinione, che ognuno di noi possiede, si confronta con l’opinione, la certezza dell’altro, alla ricerca di quella verità oggettiva che costituisce il fine autentico di ogni ricerca.
Mediante il dialogo siamo spinti e interessati a discutere le opinioni degli altri, per tornare a mettere in discussione le nostre, per convincerci, nel senso etimologico del vincere insieme, le grandi difficoltà e le sfide che il mondo ogni giorno ci pone davanti.
Invece si vuole soprattutto vincere, sopraffare, possedere…
Chi invece pretende di sapere, o nei casi di cui oggi stiamo parlando, pretende di possedere l’altro, non solo smette di cercare, ma pretende di imporre agli altri la propria verità e così diventa cieco e violento.
Credo che l’assenza di una cultura autentica sia il vero male dell’epoca contemporanea ,un modo di vivere che spinge gli uomini a mille forme di violenza, dalle quali non sono immuni nemmeno le donne, che scelgono uomini violenti, che praticano esse stesse la violenza sul proprio corpo mediante rischiosi interventi volti a migliorarlo esteticamente ,che addirittura lo violentano non mangiando o sottoponendolo a fatiche improbe, pur di bruciare calorie, scarnificandolo come nel caso delle anoressiche.
Cosa c’è nella testa di queste ragazze? I pensieri che le dominano non sono molto diversi da quelli che sono presenti in buona parte degli uomini di oggi. Queste donne sono soggiogate da un sogno onnipotente, sono schiave di un ideale irrealistico a cui tendere in forme ossessive e deliranti, un sogno che rapidamente si capovolge nel suo contrario, in una condizione di impotenza, dipendenza e rovina.
Questi ideali sono alimentati dal pensiero nichilista, dagli imperativi categorici che spingono ad essere giovani, magri, belli e importanti. Per raggiungere i quali devi pensare solo al tuo utile, devi sopraffare, sottomettere l’altro: quello fuori e quello che è dentro di noi.
Se non li raggiungi non sei nessuno, non vali nulla. Fino a che non si capirà che solo una cultura nobile ed ideale può indurre comportamenti giusti e sani, si cercheranno soluzioni parziali che non colgono la natura vera del problema. E saranno il conflitto, la violenza e la guerra che si annidano dentro di noi, dentro e fuori le nostre case, che continueranno a dominare la nostra vita.

*Psicologa. Il Pellicano, Associazione per la cura dei disturbi alimentari