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di Sud

Che cosa c’entrano i “gianchetti” col “Golpe Borghese”? Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, un’accolita di fascisti e militari iniziò una serie di manovre, a un certo punto sospese, per occupare con le armi un paio di Ministeri e la RAI. A organizzare il golpe era stato Junio Valerio Borghese, ex militare ed ex repubblichino. Fin qui niente che non sia ormai scritto nei libri di storia. E i “gianchetti”?
Si tratta di uno dei tanti nomi con cui sono conosciuti gli avannotti, i piccoli dei pesci, nella fase in cui hanno assunto le forme dell’adulto. In Sicilia li chiamano “neonata”, in Campania “cicinielli”, nel Lazio e nelle Marche per lo più “lattarini”, in Romagna “uomini nudi”, e altri nomi ancora si incontrano nel resto d’Italia. “Gianchetti” (cioè “bianchetti”) sono detti in Liguria, dove vengono scottati in acqua salata e poi, così sbiancati, conditi con olio e limone.
L’insolito accostamento viene dalla penna di Mario Melloni, giornalista e deputato democristiano, divenuto comunista e, col nomignolo di Fortebraccio, popolare ed estrosa firma dell’Unità. In un corsivo del 28 agosto 1974 (poi pubblicato in volume dagli Editori Riuniti), commentò la notizia del giorno: l’arresto di Andrea Maria Piaggio, esponente del ramo cantieristico e chimico della celebre famiglia di imprenditori genovesi.
Accusato di aver finanziato i golpisti, il miliardario si difese così: «Dicono che avrei proibito a mia moglie di ordinare al ristorante i gianchetti per risparmiare 50 lire, e poi sostengono che avrei dato centinaia di milioni per un golpe. Come è possibile?». «È possibilissimo», ribatte Fortebraccio, perché il genovese è tirchio ma, quando serve, sa spendere. E se «risparmiare sui gianchetti è un affare, piccolo ma pur sempre un affare… per i golpe quello che ci vuole ci vuole».