di Sud
Il 2023 sta per finire e nessuno si è ricordato che quest’anno ricorre il cinquantenario della tragica e prematura morte di Giovanni Pirelli (saremo grati a chiunque segnalerà una menzione sfuggita alla nostra ricerca). Eppure questo è un paese che ricorda anche gli infimi e anche per anniversari meno rotondi. Pare che a lui, tutt’altro che ignavo, sia toccata la maledizione dantesca di spiacere a Dio «ed a’ nemici sui».
Qual è il “peccato” di Pirelli? Essere il primogenito di una grande famiglia di imprenditori e aver lasciato la guida dell’impresa al fratello minore per seguire l’ideale del socialismo e la passione per la letteratura. E così accadde che, sul “Candido”, Montanelli lo trattasse da traditore quando nel 1948 aderì al Fronte, e, su “Rinascita”, Manacorda annoverasse il suo primo romanzo tra le «opere assolutamente inutili o addirittura nulle».
Così Giovanni è ricordato più per il suo ingombrante cognome che per aver partecipato alla nascita dei “Quaderni Rossi” di Panzieri, per aver curato le Lettere dei condannati a morte della Resistenza, per il suo sostegno al Nuovo Canzoniere Italiano e alla lotta di liberazione algerina, per i suoi deliziosi racconti per bambini, e per i suoi quattro romanzi brevi pubblicati da Einaudi.
Il terzo, L’entusiasta, uscì per i “Gettoni” nel 1958.
Lo scrisse di getto sentendo un alpino raccontare di quando, alla notizia che un figlio di Pirelli era in Albania, i soldati decisero di farlo fuori; e Giovanni confessò: «quello ero io». Nel racconto la disfatta dell’esercito italiano e la presa di coscienza antifascista vivono nei fatti. E su tutti si impone la fame, che, svuotate le acquose marmitte, divorati i fichi secchi e la cioccolata della razione K, fa sognare il minestrone della moglie, con quel «bell’odore umido di fagioli, di verze, di patate sfatte nel brodo».