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Il consigliere regionale del Pd, Fabio Paparelli ha inviato a Passaggi Magazine l’analisi dettagliata della ripartizione dei fondi del Pnrr umbro (ndr. Arriverebbero a 5 miliardi) dalla quale risulta che è molto ridotto il finanziamento alla sanità regionale, che versa in condizioni particolarmente critiche, e che scarsa è anche l’attenzione verso le imprese e il lavoro. L’articolo contiene inoltre lo stato di avanzamento dei progetti. Volentieri pubblichiamo questo intervento.

di Fabio Paparelli*

Di recente, la Presidente della Regione Donatella Tesei, è tornata a parlare delle risorse che l’Umbria avrebbe intercettato in materia di PNRR. Lo ha fatto in Assemblea Legislativa, dopo essere stata sollecitata da due interrogazioni: una presentata dalla maggioranza, l’altra dall’opposizione. Più che un aggiornamento sullo stato dell’arte, il suo intervento è apparso quasi una rappresentazione scenica priva di sostanza. Ci auguriamo che ciò non sia il preludio di una vera e propria farsa. La Presidente ha parlato infatti di una ricaduta diretta di 3,5 miliardi di euro. Una cifra considerevole, che arriverebbe addirittura a 5 miliardi di euro, tenendo conto dei cofinanziamenti. Buona parte di quelle risorse, però, sempre se saranno effettivamente spese in tempo, hanno a che vedere con progetti nazionali e interregionali che rimangono ancora sulla carta, il cui il valore non è stato quantificato, né ripartito, e, quindi, effettivamente attribuito all’Umbria. Ma prima di entrare nel merito delle scelte compiute dalla Giunta Tesei, intendo soffermarmi sulle caratteristiche generali dell’impianto del PNRR umbro. Scorrendo i dati pubblicati dall’osservatorio Openpolis emerge con chiarezza che l’Umbria ha compiuto scelte diverse rispetto al resto del Paese. Il sistema regionale ha deciso di investire maggiormente sulla transizione ecologica, quasi il doppio rispetto alla media nazionale e poi sulla digitalizzazione, tralasciando quasi completamente il mondo dell’impresa e del lavoro (solo il 3,47% delle risorse disponibili a fronte del 16,62% nazionale). Lo stesso dicasi per la scuola e la ricerca (il 4,75% rispetto al 13,32%) e, addirittura, per la sanità, a cui è stato riservato solo l’1,43% dei finanziamenti, ovvero, quattro volte meno rispetto alle altre regioni. L’Umbria appare sostanzialmente in media solo nel campo delle infrastrutture e sulle misure per la coesione sociale. Risultano inoltre del tutto assenti gli interventi classificati nell’ambito della giustizia e della pubblica amministrazione.
Ma andiamo per ordine: nel campo della transizione ecologica, che in Umbria vale 2,4 miliardi di euro per 653 progetti, solo una quindicina di questi hanno un valore superiore al milione di euro. Alla data del 13 giugno scorso, la metà di questi, non risultavano ancora validati. L’unico progetto in linea con le scadenza fissate è quello di Umbria Acque, con interventi di riduzione delle perdite sulla rete idrica, gli altri, viaggerebbero con un ritardo che varia tra il 30% e il 50%. Ma il vero problema è dato dai restanti 630 piccoli e piccolissimi progetti, la maggior parte dei quali, riguardano il recupero architettonico e non tanto quello ambientale: sono, per lo più, in capo ai comuni e risultano sostanzialmente fermi. L’altro tema su cui sembra voler puntare la Regione Umbria è quello della digitalizzazione. Curioso il fatto che si decida di investire buona parte dei 780 milioni previsti dalla misura sulla copertura di rete, quando, la stessa Regione, dal 2019 ad oggi, non è riuscita, a completare gli investimenti previsti e finanziati attraverso il Piano Nazionale della Banda Ultra Larga. Basta consultare online lo stato di avanzamento della BUL per accorgersi che meno della metà del territorio regionale risulta, ad oggi, coperto dalla fibra. Ci sono territori come quello di Spoleto che sono ancora in fase di progettazione. Terni, Norcia e Gubbio, dopo 4 anni, vedono i lavori di stesura della fibra in fase di esecuzione. Città come Foligno e Città di Castello e mezzo territorio del Trasimeno attendono ancora i collaudi. Nessun occhio di riguardo è stato riservato alle aree industriali così come era stato invece deciso a suo tempo. Nel frattempo, si dà il via libera a Tim per un ulteriore investimento di 700 milioni di euro finalizzato alle stesse coperture di rete e allo sviluppo del 5G. Una scelta a dir poco discutibile, sulla quale ci sono responsabilità sia nazionali che regionali.
Ma veniamo alle infrastrutture. Oggi possiamo ormai dire con certezza che l’unica vera opera che sarà finanziata con i fondi PNRR riguarda l’elettrificazione della Ferrovia Centrale Umbra e il conseguente acquisto dei nuovi convogli. Ma occorre ricordare che si tratta di un progetto approvato anni fa dal Ministro dei Trasporti Del Rio. Tutti gli altri possibili interventi di rilevo sulla rete ferroviaria sono fermi e ciò porta a pensare che sarà impossibile realizzarli entro il 2026. In questo già misero e sconfortante contesto brilla, in negativo, il fallimento consumato sulla Orte Falcona, dopo che il governo ha scippato risorse in favore del Nord Italia. Sempre in tema di infrastrutture ci limitiamo a registrare l’avvio dei lavori relativi al programma regionale Vivere l’Umbria, con la ristrutturazione delle stazioni ferroviarie locali. Apprezzabile l’intento di recuperare parte del patrimonio delle ex FS, ma non saranno certo i lavori sulle stazioni di Marsciano e Todi a far uscire l’Umbria dall’isolamento. Nulla pare muoversi neppure su operazioni meno complesse come l’acquisto di autobus elettrici.
Sul settore dell’inclusione sociale registriamo circa 100 progetti che, per la maggior parte, hanno a che vedere con interventi di rigenerazione urbana, come, ad esempio, nel caso di Piazza 40 Martiri a Gubbio, Piazza del Mercato ad Orvieto e poi tanti campi e campetti di calcio, ecc. Mancano però veri e propri interventi strutturali sul sociale. Sul tema della disabilità, ad esempio, i progetti sono in grave ritardo.
E’ paradossale anche il fatto che i settori individuati come prioritari sono quelli che stanno riscontrando i maggiori ritardi. Nel campo dell’impresa e del lavoro, invece, ambito a cui è stata riservata una quota marginale, buona parte delle misure autorizzate risultano ben avviate, sia sul fronte aziendale che universitario. Meno bene le scuole.
Anche nell’ambito sanitario, ancor più residuale, gli interventi, seppur a rilento, si attengono alle scadenze prefissate. Risultano però del tutto insufficienti a risollevare le sorti di una sanità che versa in una grave crisi di sistema.
A valle di questa breve disamina, certamente non esaustiva e perfettamente aggiornata data la difficoltà oggettiva a reperire informazioni puntuali sullo stato di avanzamento del PNRR umbro, ritengo sia consentito esprimere anche un giudizio di merito su ciò che sta accadendo sotto il profilo politico.
A ben guardare, ciò che è stato presentato in pompa magna dalla Presidente Tesei, appare piuttosto un quadro assai modesto, con poche luci e molte ombre. Sul PNRR si procede sostanzialmente a tentoni. Registriamo con preoccupazione il fatto che non ci sia vero progetto interregionale legato all’Italia mediana, né una strategia di sviluppo utile a far uscire l’Umbria dall’isolamento. Non rileviamo nessun progetto vero sull’idrogeno, solo 20 milioni attribuiti al CNR per uno studio preliminare interregionale. Ancor più grave il fatto che uno dei temi centrali della transizione ecologica, ovvero quello della chiusura del ciclo dei rifiuti, è naufragato sull’onda di un Piano regionale che pensa più agli inceneritori che all’ambiente. Sulla transizione digitale ci affidiamo ai soli investimenti riservati agli operatori di rete privati senza nemmeno aver concluso il piano per la Banda Ultra Larga già finanziato dal Governo Renzi.
Come detto, ma vale la pena ripeterlo ancora una volta, gli investimenti sulla sanità risultano del tutto insufficienti, specie per quanto riguarda la medicina di territorio e le case della salute. Così come sul lavoro e sull’impresa, maggiori risorse avrebbero consentito di sfruttare la leva del PNRR per aumentare il grado di competitività del sistema umbro.
Insomma, l’Umbria aveva di fronte a se’ un’occasione storica. Non aver gestito questa opportunità tenendo debitamente conto del contributo che poteva offrire la società regionale, ha portato la Giunta Tesei a ripiegare su interventi spot che appaiono del tutto slegati da una vera logica di sistema. Lo stesso si può dire per la mancanza di una pianificazione integrata con le altre regioni del Centro Italia. La Giunta regionale, invece che limitarsi ad assumere 100 consulenti per la gestione delle pratiche del PNRR, avrebbe dovuto, più proficuamente, svolgere un ruolo di promozione delle opportunità e di mediazione rispetto ai diversi interessi, in una logica di sviluppo complessivo del territorio. Quello che rimane è una piano senza visione da cui emerge una prospettiva di piccolo cabotaggio che, a mio avviso, è del tutto incapace di imprimere la svolta annunciata.
*Fabio Paparelli, Consigliere Regionale PD