di Sud
Forse perché è anche un nome di donna, di una regina, di una pizza e di un fiore, ma ricercando il termine “Margherita” tra i milioni di occorrenze proposti da Google, non ci è riuscito di trovarne una che corrispondesse a un salume. Eppure un insaccato emiliano con questo nome dovrebbe esistere, volendo credere alla parola (non sempre affidabile) di Gian Carlo Fusco, uno dei personaggi più curiosi e inclassificabili della nostra letteratura.
Prima di diventare scrittore Fusco ha avuto una vita così avventurosa da risultare quasi incredibile: pugile e fachiro, partigiano e attore, ballerino e clochard, anarchico e comunista. La sua carriera di scrittore, se si esclude una raccolta di novelle pubblicata a vent’anni e censurata dal fascismo, inizia nei giornali del dopoguerra. Il suo stile, fantasioso e soggettivo era perfetto per raccontare certe pieghe grottesche dell’umanità. Da quello stile nacquero Le rose del ventennio, serie di racconti usciti nel 1949 sul “Mondo” di Pannunzio, poi nei “Coralli” di Einaudi. Una piccola ma efficacissima storia tragicomica del fascismo, colto in quei dettagli trascurati spesso anche dai grandi storici.
Una storia che inizia con l’adunata del ‘21, quella che sancì la nascita del Partito Nazionale Fascista. E tra i dettagli di questo storico congresso non potevano mancare quelli gastronomici. Giunta l’ora del pranzo qualcuno va per ristoranti: il Fedelinaro (i fedelini erano una sorta di spaghettini) a Fontana di Trevi o il San Carlo al Corso. Ma la maggior parte dei delegati apre i cartocci con le provviste portate da casa. In quelli degli emiliani ci sono soprattutto insaccati: «se li scambiavano, li confrontavano, ciascuno diceva le lodi della propria specialità». Ed è qui che, tra un culatello e un fiorettino (un tipo di salame), spunta la misteriosa “margherita”.