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di Sud

Uno dei tratti caratteristici della mafia corleonese è la sua ascendenza contadina. I covi disadorni, gli abiti dimessi, l’ignoranza e la rozzezza dei “viddani” Riina e Provenzano, hanno alimentato la loro leggenda, ma hanno anche fatto nascere qualche dubbio sul loro effettivo potere e sulla loro ricchezza. Com’è possibile che un vecchietto, arrestato mentre lessa la cicoria, possa comandare un impero criminale ed economico come quello di Cosa nostra?
È possibilissimo; e Laura Prosperi, una brava studiosa di storia dell’alimentazione, lo ha dimostrato, scrivendo che la cicoria non testimonia il «carattere arcaico e contadino» dei corleonesi, ma la loro sfiducia verso un mercato alimentare da loro stessi contaminato «in maniera perversa e capillare». La cicoria del boss, simbolo apparente di arretratezza, è in realtà modernissima e raffinata, e anticipa di vent’anni il trend della “filiera corta”. Difficile immaginare una filiera più corta di quella della cicoria, raccolta, magari da Provenzano stesso, durante una passeggiata nei campi. Come quella che sperano di fare i tre carabinieri nelle prime pagine di Una storia semplice, l’ultimo romanzo di Sciascia. Gli agenti, a seguito di una segnalazione, devono fare un sopralluogo in una masseria, dopo il quale «il loro proposito era di darsi a raccogliere asparagi e cicorie, festosamente».
La cicoria compare anche nel Giorno della civetta; non nel romanzo, il primo del grande scrittore; bensì nel film del 1968. Rosa, una conturbante Claudia Cardinale, è nei pressi di un cantiere gestito dalla mafia. Il marito, testimone di un duplice omicidio è scomparso, e Rosa è lì per avere notizie. Ma ai carabinieri bisogna dare un’altra spiegazione, e la raccolta di cicoria e cavuliceddi (broccoletti selvatici comuni in Sicilia) è la più plausibile.