di Sud
Bei tempi quelli in cui le Rose nell’insalata erano semplici gambi di lattuga, usati come timbri da quel genio di Bruno Munari per riprodurre fiori e alberi. Oggi non c’è cuoco con un minimo di velleità che non adorni i suoi piatti di fiori eduli. Sanno di poco ma aggiungono colore, evitando i rischi (ma, parere personalissimo, anche le opportunità di sapore) che offrono il rosso di un peperone crusco di Senise o il giallo di un limone di Procida.
Prima dell’avvento della moda i fiori da mangiare erano al massimo quelli di zucca, fritti con la pastella; il resto era mitologia, con i lotofagi dell’Odissea.
Altrimenti c’era la letteratura. Come nell’Amore ai tempi del colera, dove un personaggio, sconvolto di felicità per una lettera d’amore, passa il giorno a mangiare rose. Oppure nella Casa incantata, storia per bambini scritta da
Furio Jesi nel 1960 a diciannove anni e pubblicata postuma nel 1982. Tanto affascinante quanto difficile da classificare, Furio Jesi ha lasciato nella sua breve vita una moltitudine di tracce. Egittologo precocissimo, pubblica il suo primo libro a diciassette anni; poi germanista, studioso di miti e della cultura di destra. Mai laureato né diplomato, ottiene per chiara fama la cattedra di Letteratura tedesca all’Università di Genova, dove muore in un incidente domestico a soli trentanove anni.
La casa incantata, scritta a Micene durante il viaggio di nozze, uscì nel 1982, due anni dopo la sua scomparsa, con le seducenti illustrazioni di Emanuele Luzzati. Nel 2000 Mondadori ha affidato la riedizione a un altro grande
illustratore: Franco Matticchio. Nel libro un bambino viaggia negli scaffali di una dispensa, dove incontra un poeta che trova l’ispirazione mangiando un’insalata di «orchidee selvagge, screziate di verde e di bruno».