di Gabriella Mecucci
Paolo Mieli aveva ragione quando ha previsto che dopo qualche ora di emozione, sarebbe partito l’attacco contro Israele. In Umbria c’è stato perfino chi ha lasciato ad un simpatizzante di Hamas, a lui e a lui solo, il compito di spiegare le ragioni di quanto sta accadendo. Siamo venuti così sapere che i 250 ragazzi uccisi mentre erano ad un concerto e i 40 bambini con la testa mozzata non sono frutto di una violenza e di un abominio paragonabili solo all’orrore nazista, ma trovano la loro scaturigine nelle malefatte di Israele. Non trovano spiegazione nel fanatismo politico-religioso e negli interessi perversi dell’Iran e di parti del mondo arabo, ma nell’estremismo ebraico.
I torti e le ragioni – come è ovvio – non stanno mai tutti da una parte, ma non è possibile accettare questa demonizzazione di Israele da parte di chi ne vuole l’annientamento. Perché il primo punto da chiarire è che lo statuto di Hamas fissa come principio fondante la distruzione di Israele che, sulla base di un feroce integralismo religioso, viene considerato un’impurità che inquina il sacro suolo dell’Islam. Altro che due stati per due popoli!
Ma raccontiamola allora la storia che c’è dietro a questa ultima, terribile aggressione agli ebrei.
Il principio delle due entità statuali era già stato messo nero su bianco dall’Onu nel 1947. Le Nazioni Unite, infatti, quando autorizzarono la nascita di uno stato ebraico, autorizzarono contestualmente pure quella di uno stato palestinese. E ne definirono i territori e i confini. Gli arabi reagirono dichiarando guerra a Israele. Uno stato palestinese vero e proprio non è mai esistito né prima né dopo la seconda guerra mondiale e non perché non lo volessero gli ebrei, ma perché non lo vollero gli altri paesi arabi e perché i palestinesi non hanno mai cercato con forza e determinazione di realizzare il deliberato dell’Onu. Dopo il primo conflitto arabo-israeliano del 1948, ce ne sono stati altri tre: quello di Suez (1956), “la guerra dei sei giorni” (1967) e la “guerra del Kippur” (1973), che finirono con la vittoria di Israele e con la conquista da parte di questo paese di quelli che vengono definiti i “territori occupati”.
Archiviata la guerra del Kippur iniziò una fitta rete di trattative per arrivare ad un’intesa che consentisse una convivenza pacifica dei due popoli. E si arrivò, grazie alla mediazione del presidente americano Bill Clinton, agli accordi di Oslo che portarono alla nascita dell’Autorità palestinese – non ancora dunque un vero e proprio stato – governata da Arafat. Il territorio era quello di una parte della Cisgiordania con capitale Ramallah e della striscia di Gaza. L’Autorità palestinese non è stata distrutta da Israele ma si è resa invisa al suo popolo a causa di una corruzione dilagante. Per questo non conta più niente.
Con i governi Netanyahu iniziò la teoria degli insediamenti dei coloni nei territori occupati da Israele a seguito delle vittorie in guerra, mentre sarebbe stata una politica saggia imboccare la strada di un graduale ritiro. Questo è stato un grave errore. Nonostante ciò nel 2005 l’esercito di Tel Aviv uscì da Gaza. I palestinesi vennero massicciamente finanziati non solo dai paesi arabi – alcuni dei quali hanno tutto l’interesse però a mantenere nell’area una situazione di guerra – ma anche dall’Unione europea. Nelle tasche di Hamas sono arrivati soldi persino dallo stato di Israele.
Questo breve racconto inevitabilmente sommario dimostra che – come si diceva all’inizio – non sono mancati gli errori e le responsabilità anche di Tel Aviv. Nessuno è perfetto. E la storia non è o bianca o nera, contiene un’infinita gamma di grigi: arabi e palestinesi dal canto loro di colpe ne hanno davvero parecchie. È vero che a Gaza la gente soffre molto, ma è anche vero che Hamas non ha mai smesso di costruire tunnel sotterranei per attaccare Israele che ha il sacrosanto diritto di difendersi.
Nulla può giustificare le stragi efferate di questi giorni. La condanna non può che essere senza appello. I massacratori sono così fieri di loro che hanno ripreso e trasmesso le loro tragiche prodezze perché vogliono terrorizzare tutti, compresi eventuali palestinesi dissenzienti. E questa è forse la cosa più grave. Che nessuno si schieri contro Hamas – vogliono dirci – perché la vendetta sarebbe terribile. Un messaggio identico a quello dell’Isis.
Il governo Netanyahu viene criticato anche in patria, con analisi dure, impietose da parte di molti giornali. Ciò è possibile perché Israele è una democrazia. L’unica democrazia del Medio Oriente. Ed è questa la ragione principale per cui va difesa.